TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


venerdì 4 maggio 2012

Andrea Costa e la crisi del Partito Socialista Rivoluzionario



Giorgio Amico

Alle origini del socialismo italiano
4. Andrea Costa e la crisi del Partito Socialista Rivoluzionario

Il primo congresso del Partito socialista rivoluzionario italiano

Come si è visto una delle principali differenze fra i socialisti costiani e gli operaisti lombardi consisteva proprio nella accettazione da parte dei primi di una politica di alleanza elettorale con le forze della sinistra borghese ed in particolare con i gruppi repubblicani assai forti in Romagna. Proprio su questo terreno si era consumata la rottura con il movimento anarchico che imputava a Costa l’abbandono di una posizione classista intransigente in favore di un atteggiamento legalitario ed evoluzionista e proprio per discutere di questi temi si tenne a Forlì nel luglio 1884 il terzo congresso del Partito socialista rivoluzionario di Romagna. Gran parte dei lavori del congresso fu dedicata alla definizione dell’atteggiamento da prendere rispetto al cosiddetto Fascio della democrazia, l’associazione dei radicali che dopo le elezioni del 1882 aveva preso il posto della Lega della democrazia di origine mazziniana e garibaldina. 

Nonostante le critiche degli esponenti del POI che lo accusavano di trasformare il Partito socialista in un partito parlamentare, Costa si rendeva perfettamente conto dell’insidioso tentativo dei radicali di recuperare politicamente il movimento operaio, trasformando le nascenti organizzazioni proletarie in un’appendice della democrazia borghese. Altrettanto chiara restava però la comprensione dell’estrema complessità della fase attraversata e della necessità per il movimento operaio di non rompere totalmente con il campo radicale. Almeno fino a che non si fosse raggiunto un punto più avanzato di consolidamento politico ed organizzativo delle forze socialiste. Fino a quel momento l’alleanza tattica con i radicali andava mantenuta, ma con tutte le precauzioni del caso. 

Dopo un vivacissimo dibattito non privo di aspre polemiche il congresso deliberò la partecipazione critica delle organizzazioni del partito al Fascio della democrazia, mantenendo però la più completa libertà d’azione e non rinunciando a sostenere fino in fondo il proprio autonomo punto di vista socialista sia per quanto riguardava le questioni economiche che per quelle politiche. Su insistenza di Costa e Musini il congresso deliberò anche di assumere il nome di Partito socialista rivoluzionario italiano, proprio al fine di rispondere all’esigenza di unità che pareva con forza provenire dal basso. A tal fine venne deliberato di organizzare quanto prima un congresso costitutivo nazionale in Roma a cui invitare i gruppi socialisti di tutta Italia. Alleanza tattica con la sinistra borghese e costruzione di un autonomo partito di classe su scala nazionale queste le coordinate entro cui si compendia alla fine del 1884 l’azione politica costiana. Un amalgama di difficile gestione come i fatti avrebbero presto dimostrato.



La dissoluzione del Partito Socialista Rivoluzionario

Di fronte allo sviluppo del Partito Operaio che alla metà degli anni ’80 sembra essere in grado di radicarsi in profondità anche nelle masse bracciantili del Parmense e del Mantovano fino ad allora campo d’azione dei socialisti rivoluzionari, Andrea Costa inizia a considerare la possibilità che la costruzione su scala nazionale del Partito socialista rivoluzionario debba necessariamente passare attraverso la fusione del PSRI con il POI. Così, nell’aprile del 1885, la Commissione federale del Partito Socialista Rivoluzionario invia un caldo saluto al Congresso del POI, auspicando una prossima fusione dei due partiti. In realtà, al di là delle frasi di circostanza, le differenze fra le due organizzazioni permanevano profonde e non si trattava solo di questioni organizzative. 

Nel programma del Partito Operaio mancava completamente ogni accenno, anche gradualista o riformista, al socialismo: scopo del partito era “ottenere un reale e positivo miglioramento economico, a ciò che tutti i lavoratori possano raggiungere la loro emancipazione”. Ma neppure una parola era dedicata a chiarire meglio di quale emancipazione si trattasse. Ciononostante, pur provenendo da una esperienza politica diversissima, Costa appare affascinato dalla forza del Partito Operaio, che come abbiamo visto in quel momento parlava a nome di decine di migliaia di operai membri delle leghe affratellate. Così, invece che evidenziare i limiti politici degli operaisti e il loro sostanziale economicismo, egli riprende la tesi caratteristica del POI di un partito capace di essere al tempo stesso organizzazione politica e lega di resistenza. Sfugge a Costa, che pure in questi anni si era sensibilmente avvicinato al marxismo, il fatto che, a differenza del sindacato tenuto assieme dal collante oggettivo degli interessi economici immediati, il partito di classe si caratterizza per il programma, cioè per una più generale visione del mondo che trascende la contingenza. Accade così - e sarà una costante nella storia del socialismo e poi del comunismo in Italia da Costa alla cosiddetta “nuova sinistra” degli anni ‘70 – che in nome di un esasperato pragmatismo dovuto all’ansia di costruire hic et nunc “il partito di massa”, si sostituisca ad un lavoro in profondità di analisi e di intervento sulle tendenze spontaneamente emergenti a livello di classe l’esaltazione della contingenza, il tatticismo politico, l’improvvisazione organizzativa. 

Invece di un processo lungo e faticoso di accumulo di forze a livello politico, teorico ed organizzativo, la costruzione del partito è concepita pressocchè esclusivamente a livello ideologico-politico, come una serie di pronunciamenti verbali e di svolte tattiche ciascuna delle quali considerata risolutiva. Manca in sostanza ai padri fondatori del socialismo italiano – da Costa a Turati a Labriola che pure fu eminente marxista - quella visione dialettica della prospettiva che quasi nello stesso periodo porterà Lenin ad analizzare in profondità lo sviluppo del capitalismo in una Russia da tutti considerata arretrata e semi-feudale e ad impostare sulle risultanze scientifiche di tale ricerca gli assi di costruzione del partito e la concreta definizione del “che fare”.

Il problema dei rapporti con il Partito Operaio fu al centro del IV Congresso del PSR (di fatto il II del PSRI) che si svolse a Mantova nell’aprile del 1886 radunando delegati provenienti oltre che dalla Romagna, dall’Emilia (Mantova, Parma e Reggio), dal Piemonte (Torino, Asti, Alessandria), dalla Liguria (Genova e Sanremo), dal Veneto (Rovigo), dalla Toscana (Livorno) e dall’Italia centro-meridionale (Roma, Napoli, Brindisi e Palermo). Si tratta, dunque, del primo congresso a carattere realmente nazionale di un partito, il PSRI, che al di là del nome aveva fino ad allora mantenuto un impianto prevalentemente limitato alla Romagna. 

Ma proprio questo risultato, tenacemente perseguito dal Costa e che appariva finalmente raggiunto, doveva paradossalmente evidenziare la debolezza del partito e le numerose contraddizioni irrisolte che questo si portava dietro fin dalla sua fondazione. Intanto lo scopo centrale del congresso – l’unificazione o almeno il raggiungimento di una larga unità d’azione con il POI – non fu raggiunto e non solo per la manifesta indisponibilità dei lombardi. Fatto ben più preoccupante la crescita del partito, che pure c’era stata e aveva spinto Costa a bruciare le tappe della costruzione del partito nazionale, apparve più un fatto numerico che organizzativo. Il PSRI aveva moltiplicato le sezioni, costruendo legami con i gruppi più disparati dispersi ai quattro angoli d’Italia, ma a scapito della chiarezza politica e nell’assoluta mancanza di una rete organizzativa che permettesse poi la gestione centralizzata e unitaria delle forze così largamente raccolte. 

Al congresso di Mantova apparve chiaro che non solo non esisteva un progetto organizzativo vero e proprio, ma che anche sul piano programmatico l’identità del partito tendeva ad appannarsi parallelamente al dilatarsi della sua presenza sul territorio nazionale e sempre più si riduceva al mero rapporto che i singoli gruppi locali avevano stretto con la figura carismatica di Costa. Un partito, dunque, privo di una identità definita, contenitore di istanze diversissime e fortemente connotate in senso localistico. Un partito più grande sul piano numerico e più influente sul terreno elettorale, ma molto fragile sul piano teorico ed organizzativo. Lo stesso accresciuto peso elettorale, frutto anche del patto d’unità d’azione con la democrazia radicale che imponeva vincoli all’azione parlamentare e amministrativa del partito, creava oggettivamente le condizioni di una crescente divaricazione fra le aspettative e i comportamenti di una base, fatta prevalentemente di braccianti e di piccoli artigiani in rovina, tanto combattiva quanto politicamente primitiva e le complesse - e spesso per questa base incomprensibili - tattiche portate avanti dagli eletti.

In queste condizioni a far funzionare il partito non poteva di certo bastare il carisma e la capacità di mediazione di Andrea Costa. Pochi mesi dopo la conclusione del congresso, nell’agosto del 1886, la Commissione Federale che dirigeva il partito si dimetteva in blocco denunciando l’impossibilità di svolgere a pieno il proprio mandato a causa della “nessuna cooperazione di coloro che pure avrebbero dovuto e potuto aiutarci, l’apatia, l’insofferenza generale contro cui ogni energia vien meno, ogni buona volontà è inutile”.

Questo documento rappresenta l’atto di morte del PSRI che di fatto rapidamente si dissolse come organizzazione unitaria. Il congresso, immediatamente convocato per procedere alla riorganizzazione del partito, non si tenne mai. Gran parte delle sezioni al di fuori della Romagna, venute al partito negli ultimi due anni, interruppero quasi totalmente i rapporti con il centro. Molti gruppi in Piemonte e Liguria passarono al POI che pure, come abbiamo visto, soffriva degli stessi mali. Di fatto, almeno dalla fine del 1886, diventava impossibile parlare di un Partito Socialista Rivoluzionario Italiano come di un organismo realmente esistente e operante.

Il partito, che formalmente continuava ad esistere, era tornato ad essere poco più di una corrente di idee e un’insieme di gruppi federati su direttive generiche, uniti soltanto da un comune riferimento al ruolo parlamentare svolto dal Costa. Anche nell’ambito romagnolo, vero nocciolo duro del partito, il PSR era praticamente soltanto più una sigla che copriva le iniziative di una miriade di circoli e di associazioni locali. Paradossalmente, almeno in Romagna, questa situazione non significava la scomparsa del partito. Espressione di una base “fluttuante”, legata alla precarietà del lavoro bracciantile e delle grandi opere pubbliche di bonifica delle paludi, il partito avvertiva meno la necessità di una stabile struttura organizzativa e di un centro autorevole. Ma il proletariato industriale delle fabbriche di quello che si avviava a diventare il “triangolo industriale”, non più legato al carattere stagionale del lavoro bracciantile o all’individualismo tipico del piccolo artigiano, necessitava di altri strumenti. A questa richiesta né l’operaismo economicista del POI né il movimentismo localistico del PSR erano in grado di dare risposte. I tempi erano maturi per il partito, ma i gruppi che per un decennio si erano battuti per costruirlo apparivano ormai più un retaggio del passato, sia pure di un passato eroico, che il simbolo del nuovo che tuttavia da ogni lato premeva.



















Epilogo

Nonostante questa situazione, Andrea Costa continuò con tenacia il suo lavoro. Già nel 1885 in Parlamento aveva richiesto con forza il richiamo delle truppe dall’Africa e si era opposto con coraggio alle avventure coloniali del governo Depretis. Nel 1887, all’indomani del massacro di Dogali, egli rinnovò con coraggio la sua condanna del colonialismo, presentando un ordine del giorno in cui si affermava che “il prestigio militare e l’onore della bandiera sono i soliti pretesti con cui tutti i governi cercano di far passare le loro imprese criminali o pazze”. 

Rifiutando il voto alla richiesta del governo di un nuovo credito per inviare in Africa nuove truppe, Costa lanciava una parola d’ordine destinata a diventare celebre: “Per continuare le criminose pazzie africane noi non daremo né un uomo, né un soldo”. Denunciato, condannato, costretto ad un nuovo esilio in Francia, egli continua a perseguire il progetto di costruzione di un vero partito socialista rivoluzionario su scala nazionale. Ma senza risultati apprezzabili. Anche il congresso svoltosi a Ravenna alla fine del 1890, nonostante le entusiastiche proclamazioni, di fatto non andò oltre, come il quasi contemporaneo congresso del POI, alla enunciazione scontata della necessità di convocare al più presto un convegno nazionale. 

Pure, in questa situazione di sostanziale immobilismo qualcosa di nuovo era accaduto. Largo spazio era stato concesso nell’ambito dei lavori congressuali alla lettura di un messaggio di solidarietà inviato, a nome di una da poco costituita lega Socialista Milanese considerata da tutti assai vicina alle posizioni dei socialdemocratici tedeschi e del vecchio Engels, da un giovane Filippo Turati, da poco passato dalla scapigliatura letteraria alla militanza di classe. Andrea Costa e i delegati romagnoli non potevano saperlo, ma sotto i loro occhi era avvenuto un ideale passaggio di consegne. Il partito tanto atteso e così tenacemente voluto sarebbe nato prima di quanto sperato, ma Andrea Costa, che forse più di tutti si era speso per costruirlo, non sarebbe stato fra i suoi fondatori.