Carlo Carrà, L'attesa (1926) |
Come è letto il paesaggio nell'arte? Il più delle volte, banalizzandolo, come semplice rappresentazione di un dato oggettivo esistente al di fuori dell'artista, come mero sfondo. Per questo ci ha colpito questa riflessione di Lia Franzia che illustrava la sua ultima mostra. Una lettura affascinante che proponiamo agli amici del nostro blog.
Lia Franzìa
Scrittura/ paesaggio
Il paesaggio per un
artista, prima di essere pittura, è grafia. Non disegno, ovvero
un'azione ispirata e coerente, nello spazio temporale e nel risultato
formale. E' grafia: concatenazione di segni anche lontani fra loro
nel tempo (ere, secoli, giorni) non necessariamente omogenei e ben
disposti, ma coesi da una tangibile reciprocità.
Penso alle
stratificazioni delle rocce, con tutte le diversità di composizione
e di consistenza, alle dune di sabbia condannate ad effimere forme
sinuose, all'accavallarsi dei ghiacciai modellati dall'aria e
dall'acqua, alle rughe dei calanchi e delle crete, ai ricami dei
fiordi, ai graffi dei torrenti.
Su questi fogli aperti,
già ricchi di lettura profonda, si aggiunge il gesto dell'uomo: i
campi arati, i sentieri, le risaie, le saline, le strade, i muretti a
secco che ben conosciamo. Segni forti o sottili, nervosi o delicati.
Segni di necessità. Segni di insulto. Segni di ingordigia. Segni di
rispetto. La trama si arricchisce, si dirada, scompare, riappare,
come un impetuoso fiume carsico. Si nega e si rivela, pretende
attenzione. Ci intriga e ci coinvolge, come una leggenda misteriosa.
Ci irretisce e ci imprigiona. Senza possibilità di fuga.