1957. La CIA rovescia
con un minigolpe il governo neoeletto di San Marino. Gli americani
non potevano accettare un governo comunista (per quanto in miniatura)
in Italia. Dagli USA furono spediti in Italia migliaia di immigrati
sanmarinesi perchè votassero per la DC. Le foto dei rivoltosi e degli operai armati. Una storia completamente rimossa.
Daniele Combierati
Titano rosso, il colpo
di stato dimenticato
Nel Queens di New York il
quartiere di Astoria è ormai di moda da anni. Qui piccoli commerci
proliferano senza sosta, le case ancora relativamente basse sembrano
dare le spalle alla downtown di Manhattan, giovani hipster già
stanchi di Brooklyn cercano nuovi luoghi da gentrificare in fretta.
Quando l’ho attraversato, più di due anni fa, mi avevano colpito i
muri giallastri delle case, i bar mediorientali con i narghilé in
bella vista e soprattutto la sede dell’Associazione. Incuneata fra
un locale dove fanno cus cus a tutte le ore e una specie di discoteca
balcanica, la Fratellanza Sanmarinese sembra abbandonata. Una targa
dorata accoglie i visitatori («Fratellanza Sanmarinese» c’è
appunto scritto), ma nessuno mi sa dire che orari abbia e quando
apra. Su internet i pochi segni di vita del luogo risalgono a diversi
anni prima.
«È un club», mi dice
un ragazzo che lavora al bar balcanico accanto, mentre una signora
che entra nella porta dello stesso palazzo sostiene che ci vadano a
volte gli anziani per ballare «il tango o quelle cose lì, delle
musiche così». Ho provato per tre giorni di seguito, finché
finalmente una signora mi ha aperto. «Sto scrivendo un libro su San
Marino», le ho detto subito. «Sul colpo di stato del 1957, sui
fatti della Rovereta. Ma non è un libro di storia, è un romanzo.
Che però prende spunto da fatti reali. Colpo di stato nella San
Marino rossa, si intitolerà. Volevo sapere se avevate ancora
archivi, giornali dell’epoca, fotografie. E se potevo dargli
un’occhiata».
La signora sembra non
capire. Poi mi dice che è una storia vecchia, che non la ricorda più
nessuno ormai (non la ricorda lei, in ogni caso) e che comunque la
Fratellanza era stata fondata prima, ed era attiva fin dal 1954. Nel
1955, aggiunge, molti compatrioti tornarono in Repubblica. Per le
elezioni.
Le elezioni del 1955 sono
particolarmente accese a San Marino e portano già i segni del golpe
del 1957. La giunta comunista-socialista stavolta sembra poter ambire
alla maggioranza assoluta, così la DC si mobilita, mandando a San
Marino pezzi grossi come Amintore Fanfani a fare campagna elettorale.
Siamo in piena Guerra fredda, persino i servizi segreti del Sifar
iniziano a controllare i futuri governanti, mentre da oltreoceano si
mobilitano il Dipartimento di Stato Americano e la Cia, che come
vedremo avranno un ruolo decisivo in questa vicenda. Le elezioni sono
alle porte, ma la cosiddetta Repubblica del Titano ha non poche
contraddizioni al suo interno: c’è già la legge sul divorzio, per
esempio, ma le donne ancora non possono votare. A favore del
suffragio universale femminile si schiera la democristiana Myriam
Michelotti, ma Pcs e Pss sono contrari, convinti, come scrive Claudio
Visani nel bel libro Gli intrighi di una Repubblica, che le donne
sanmarinesi «non sono ancora mature politicamente e verrebbero
perciò condizionate dalla Chiesa a favore della Dc».
È qui che entrano in
gioco gli emigranti. Comunisti e socialisti mobilitano i sanmarinesi
andati a spaccarsi schiena e polmoni nelle miniere belghe e francesi
per tornare a votare, ma i democristiani pensano in grande. La
Michelotti ha un fratello emigrato a New York che un giorno riceve la
visita di due poliziotti in borghese. Sono del Fbi. Vogliono sapere i
nomi degli emigranti sanmarinesi simpatizzanti comunisti, ma lui si
rifiuta di darglieli, perché l’amore patrio vale più delle
differenti posizioni politiche. All’interno della Fratellanza di
New York però ci sono giochi di potere in cui, da oltreoceano, si
cercano di decidere le sorti del piccolo stato, fra infiltrati,
delatori e resistenti.
Dall’America
organizzano un avventuroso viaggio verso la Repubblica: duecento
sanmarinesi con volo di andata pagato dagli Stati Uniti raggiungono
il Titano accolti da una festante delegazione democristiana proprio
il giorno prima delle elezioni, per respingere in massa l’assalto a
quello che potrebbe diventare lo stato più comunista d’occidente,
come aveva scritto anche il Detroit News dell’epoca.
Gli USA li hanno lasciati
partire anche senza i documenti in regola e persino senza aver
regolato i conti con il fisco. Sono troppo importanti per la
vittoria. Ma perdono lo stesso. Dal 1959, per evitare scherzi del
genere, si potrà votare per corrispondenza solo da oltreoceano, per
bloccare il voto operaio «europeo». La giunta comunista-socialista
ha la maggioranza, gli accordi internazionali sono da riscrivere e
una nuova era sembra aprirsi per la Repubblica. Agli emigranti della
Fratellanza partiti per votare, invece, gli Stati Uniti si rifiutano
di pagare il viaggio di ritorno. La maggior parte di loro dovrà
rimanere un mese intero prima di trovare i soldi per tornare. Il
timore degli Stati Uniti è che l’alleanza fra comunisti e
socialisti faccia da apripista per altre coalizioni simili
nell’Europa occidentale.
Il Titano è un piccolo
laboratorio politico che potrebbe rivelarsi decisivo per le sorti
della Guerra fredda, ma è proprio la Storia esterna a entrare
prepotentemente in gioco. Kruscev nel 1956 svela i crimini di Stalin
e le azioni dell’Urss in Polonia e soprattutto in Ungheria spingono
i socialisti sanmarinesi ad abbandonare la coalizione. Il Pcs rimane
il primo partito, ma ora ha esattamente la metà dei seggi: 30 contro
30, governare in queste condizioni, e con le pressioni straniere
sempre più forti, diventa difficile. Per democristiani e americani
però non è ancora abbastanza: vogliono la capitolazione totale, San
Marino è un altro di quei conflitti (insieme alla Corea e al
Vietnam) che devono essere vinti, anche simbolicamente.
Così
convincono Attilio Giannini, eletto con i voti dei comunisti, a
passare con la Dc. Si dice, con la promessa di un lavoro, una casa e
ben tre fucili da caccia. A questo punto l’opposizione ha la
maggioranza, 31 seggi contro 29 e il governo popolare
democraticamente eletto nel 1955 indice nuove elezioni. Ma
l’opposizione non si ferma: si autoproclama governo provvisorio e
mentre i comunisti chiudono il palazzo del governo, gli anticomunisti
occupano la fabbrica della Rovereta, che diventa così la sede del
nuovo governo, un governo che nessun cittadino ha mai votato.
La strategia politica per
rovesciare la giunta socialista-comunista era stata studiata e
concepita all’ambasciata americana di Firenze: l’Italia infatti
riconosce subito il nuovo governo fantasma e in Repubblica si respira
un’aria pesantissima. Il governo democristiano italiano manda
carabinieri e blindati ad assediare la città, i comunisti resistono
due settimane e la guerra civile sembra davvero ad un passo. Anche a
livello internazionale la tensione non accenna a sgonfiarsi: solo
l’anno prima, nel 1956, il New York Times aveva titolato a tutta
pagina, dopo il rifiuto dell’apertura della nuova ambasciata a New
York, La rossa San Marino nella rete sovietica; il segretario del
Partito Comunista locale, Gasperoni, racconta invece di aver
assistito durante un incontro internazionale all’appello accorato
di Ho Chi Minh, che denunciava il complotto imperialista e chiedeva
aiuti internazionali per i compagni sanmarinesi assediati.
A inizio ottobre, con la
garanzia dell’impunità, i comunisti depongono le armi, dopo che
nei giorni precedenti compagni armati dall’Emilia Romagna avevano
tentato di raggiungere il Titano. Giancarlo Pajetta, allora
responsabile della stampa del Pci, grida al golpe con parole molto
dure, nelle quali accusa direttamente Foster Dulles, allora
segretario di stato degli Usa. L’impunità tra l’altro si rivela
una presa in giro: dopo il primo processo politico della storia
sanmarinese, 27 consiglieri vengono condannati a 238 anni di prigione
in totale e due capitani reggenti a 15 anni ciascuno. Egidio
Belisardi, un militante che nel 1957 pubblicherà un toccante diario
dal titolo Anni rossi, parla della possibilità svanita di fare di
San Marino «il piccolo modello della più grande aspirazione».
Oggi nella sede americana
della Fratellanza Sanmarinese non c’è quasi più traccia di questa
storia. La signora mi mostra solo alcune fotografie familiari.
Prima di andarmene la
aiuto a pulire, perché non sa quando il locale riaprirà. È una
specie di club, mi conferma, dove ogni tanto gli anziani vanno a
ballare, ma che può anche essere affittato. Pochi giorni dopo, alla
National Library, trovo il comunicato finale del Pcs, in cui il
governo popolare dichiarava la sconfitta e ammetteva di «cedere alla
sopraffazione e di cessare ogni resistenza, facendo offerta di questo
sacrificio al bene supremo della Patria». Era l’11 ottobre 1957.
il Manifesto – 15
gennaio 2019