E' fresco di
pubblicazione il volume che raccoglie i materiali dell'incontro di
Cosio d'Arroscia del 28-29 luglio 2017, quarto punto della
situazione. Proponiamo il nostro contributo relativo alla Conferenza
di Cosio del 1957. Le foto di Pino Bertelli sono tratte dall'ampio
servizio fotografico in appendice al volume.
Giorgio Amico
Un'estate
indimenticabile. Storia in quattro atti (e un passo indietro) della
Conferenza di Cosio d'Arroscia
Primo atto: Alba
“Quella del '57 fu
veramente un'estate storica: innanzi tutto il due di giugno, Elena ed
io ci sposammo, nella cattedrale d'Alba. (…) Erano presenti, come
spesso avviene, amici e parenti, tra gli altri amici c'erano Jorn e
Debord, che si erano comprati un vestito uguale per l'occasione:
pantaloni grigi, giacca giallo chiaro-canarino, farfallino su camicia
bianca, erano molto bellini, in chiesa e fuori. Ho ancora le foto per
la storia”.1
Chi racconta è Piero
Simondo in un piccolo libro del 2004 destinato, come recita il
sottotitolo “l'infondata fondazione dell'Internazionale
situazionista”, a smontare il mito di una Internazionale
situazionista fondata con tanto di “Conferenza” e documenti
preparatori a Cosio d'Arroscia negli ultimi giorni del luglio 1957.
Foto pubblicate in bella
evidenza da Donatella Alfonso nella sua appassionata ricostruzione
dei fatti (chiamiamoli così per non far torto a Simondo) di Cosio
uscita in occasione del sessantesimo anniversario della nascita
dell'I.S. Nel libro si parla di “un bel matrimonio, per quanto
semplice” e si riportano ampi brani di un colloquio con l'artista
torinese.2 E di foto storiche si tratta davvero, ché mai prima
(e sicuramente mai dopo) si erano visti Asger e Guy così tirati a
lucido, senza i soliti maglioni d'ordinanza per l'occasione
sostituiti da farfallini da cerimonia e con corredo di sorrisini
imbarazzati di circostanza. E fino a qui tutto bene, il racconto
regge senza bisogno di ulteriori verifiche.
Secondo atto: Albisola
Terminato il pranzo di
nozze, fatte le foto di cui sopra, archiviate le pratiche
burocratiche, i due sposi si trasferiscono con gli amici per qualche
giorno ad Albisola, dove Jorn ha casa e dove li raggiungeConstant
Anton Nieuwenhuys, meglio conosciuto come Constant. Proprio
nella cittadina ligure tra grandi bevute, pranzi in trattoria e
qualche imbarazzo dovuto a storie matrimoniali pregresse fra Jorn e
Constant, matura la decisione di ritrovarsi a Cosio. Per Simondo
l'idea nasce quasi per caso:
«La frequentazione più
assidua avveniva con Debord, partivamo, a piedi, per i cinque
chilometri necessari a raggiungere il porto di Savona e il relativo
luogo di sosta dove bevevamo un (e più d'uno) Australian rum,
scoperto fra le bottiglie del bar portuale... Eravamo giovani e
incuranti, più che insolenti, tutto ci divertiva e ci rallegrava...
Fu in quei lunghi e pigri conversari che si profilò l'idea di
ritrovarci verso la fine di luglio a Cosio, dove Elena e io saremmo
andati per l'estate, dopo la parentesi albissolese, mentre Debord
dopo un soggiorno presso la nonna a Cannes avrebbe risalito la valle
Arroscia. Dovevamo trovarci a Cosio, tra i soliti amici e in vacanza,
ignoro se Guy avesse già in testa un retro pensiero fondante, noi
certamente no».3
E qui il dubbio che i
ricordi si siano con il tempo un poco appannati sorge spontaneo, a
maggior ragione dopo che nel 2010 Fayard fa uscire, a completamento
dell'imponente raccolta in sette volumi della corrispondenza di
Debord, un ulteriore volume, il numero «0», contenente un centinaio
di «lettere ritrovate» fino ad allora sconosciute anche agli
studiosi più coscienziosi. Un materiale molto interessante che aiuta
a ricostruire nei particolari cosa veramente accadde in quei mesi.
Un passo indietro
Giunti a questo punto
occorre, come nei romanzi d'appendice di una volta, fare un passo
indietro. In una lettera a Simondo, in data 29 marzo e dunque ben
prima delle giornate albisolesi, Debord presenta un quadro
dettagliato della situazione parigina a partire dalla risoluzione
positiva del contrasto con Jorn, quella famosa e piuttosto ambigua
litigata meglio conosciuta come l'affaire de Bruxelles.
Tranquillizzato l'amico sul fatto che i rapporti con Jorn sono
ritornati buoni e che il contrasto è rientrato, Guy aggiunge un paio
di annotazioni che rendono la lettera molto interessante:
«Successivamente ho
incontrato Ralph Rumney, Yves Klein, Mariën e due altri Belgi [sic],
Kotik. In generale, tutto bene. Dobbiamo avanzare insieme verso
un'unità teorica rigorosa. Io credo che sia possibile. Ma è
urgente».4
Ma unità su cosa? É a
questo punto che Debord accenna a un documento in gestazione, lo
scritto che poi, diventato il Rapporto sulla costruzione delle
situazioni, vedremo rispuntare a Cosio:
«Appena possibile, ti
spedirò ad Alba un manoscritto di circa quaranta pagine che
rappresenta la piattaforma che noi proponiamo per la nuova
organizzazione internazionale. Dovrete studiarlo, e inviarmi le
vostre critiche».5
«Nuova organizzazione
internazionale»: la frase è chiara e non lascia dubbi in proposito.
Dunque, già dal mese di marzo Debord ha avviato a Parigi un
confronto con esponenti di altri gruppi di avanguardia finalizzato
alla fondazione di una nuova organizzazione internazionale. Un
processo da svolgersi in tempi brevi, come evidenzia il riferimento
all'urgenza. Checchè ne dica Simondo, il retro pensiero fondante
dunque c'era davvero e non era nemmeno poi tanto «retro», visto che
Debord già tre mesi prima ne discuteva nei dettagli con lui e
un'altra mezza dozzina di artisti che pensava di poter coinvolgere
nell'impresa.
Terzo atto: Bruxelles
Ai primi di giugno 1957
esce a stampa in mille esemplari il Rapport sur la construction
des situations et sur les conditions de l’organisation et de
l’action de la tendance situationniste internationale. La
gestazione dell'opuscolo è stata lunga e travagliata, come
documentato dalle lettere con cui Debord tempesta Marcel Mariën,
direttore di Les Lèvres nues, che, forse un po'
incautamente, si è assunto la responsabilità della pubblicazione.
Il pamphlet, corredato da una squillante copertina rossa, esce a
Bruxelles senza data, ma tre lettere di Debord permettono di datarlo
con assoluta sicurezza intorno alla metà di giugno. L'11 giugno Guy
invia a Mariën le bozze corrette insieme alle ultime
raccomandazioni:
«Cercate di ottenere, ve
ne prego, la stampa nel più breve tempo possibile di almeno trecento
primi esemplari, di cui ho urgente bisogno (mi sarebbe molto utile
anche averne una dozzina di esemplari un poco prima di questi
trecento). Invece, gli altri settecento non sono così urgenti. Di
solito gli stampatori amano questo genere di concessioni».6
Il 19 giugno il libro non
è ancora pronto, ma Debord scrive a Pinot Gallizio preannunciandogli
l'invio a breve di alcune copie del Rapporto da far
circolare fra gli artisti che fanno riferimento al Laboratorio di
Alba.7
Quattro giorni più tardi
l'attesa ha finalmente termine. É domenica, ma Debord non
aspetta il lunedì e scrive immediatamente a Simondo:
«Caro Piero, dopo molto
ritardo dello stampatore belga, è solamente oggi che ho cominciato a
ricevere il mio Rapporto. Te ne invio immediatamente un primo
esemplare, perchè ne ho solo qualcuno: nello spazio di qualche
giorno te ne spedirò un'altra dozzina».8
Dunque il Rapporto esce
tra l'11 e il 23 giugno e Simondo è tra i primi a riceverlo, non si
capisce dunque perchè tanti anni dopo egli insista a sostenere che
il testo è uscito dopo l'incontro di Cosio:
«Il testo di G.E. Debord
(…) è stato pubblicato come un opuscolo con copertina in brossura
rossa e senza data d'edizione. (…) Una data è fornita da Gallizio,
nella traduzione italiana e bruttina come ho detto in nota, ma si
tratta di un falso costruito per creare una coerenza ed una veste di
battesimo storica alla neonata IS. Tale testo è stato, in ogni caso,
pubblicato dopo l'incontro estivo di Cosio – avvenuto, lo ripeto a
scanso d'equivoci, a casa d'Elena e mia e su nostro invito, a partire
dal 22-23 luglio».9
Forse Simondo ricorda
male, sono passati tanti anni. Ci può stare. Ma ora occorre fare un
altro piccolo passo avanti.
Quarto atto: Cosio
d'Arroscia
A Cosio in quella fine di
luglio del 1957 si ritrovano in otto, divisi in tre gruppi: c'è
Ralph Rumney del Comitato psicogeografico di Londra di cui è l'unico
membro; ci sono i rappresentanti del M.I.B.I., Asger Jorn, Piero
Simondo, Elena Verrone, Walter Olmo e Pinot Gallizio che arriva
l'ultimo giorno giusto per votare; e infine Guy Debord e Michèle
Bernstein per l'Internazionale lettrista. Per Simondo ciò che accade
a Cosio è tutto meno che una conferenza:
«In quella settimana non
c'eravamo mai raccolti in tavola rotonda, solo in rettangolo a bere e
a mangiare; soltanto l'ultimo giorno ci riunimmo per votare sul
cambiamento d'etichetta, proposto da Guy. Devo riconoscere che la
morte del MIBI fu inavvertita e del tutto indolore (...) e l'IS
fu!»10
A differenza delle
affermazioni sulla data del Rapporto, qui siamo di fronte a una
mezza verità. Se cerchiamo dei riscontri, immediatamente troviamo
che la versione di Ralph Rumney, l'altro degli otto partecipanti che
ha lasciato una memoria scritta di quei fatti , non è poi molto
diversa. Per l'inglese, che immortalò quei giorni con una serie di
foto straordinarie, a Cosio la discussione ci fu davvero, ma limitata
ad una cerchia ristretta di persone:
«All'interno di questo
gruppo c'era un piccolo clan che faceva la sua conferenza, una
conferenza nella conferenza, costituito da Debord, Michèle
Bernstein, Jorn e me. Non mi ricordo di interventi di Olmo, né di
Elena. Gallizio spiegava la sua pittura industriale. E Piero sembrava
inquietarsi per l'idea del superamento dell'arte. Non è che ci siano
stati imbrogli o azioni segrete. Semplicemente, non mi ricordo che
essi siano stati molto presenti nel dibattito teorico».11 Quanto
a Jorn «egli adorava tutto ciò che somigliasse a un movimento o a
una conferenza... Aveva circa vent'anni più di noi ma ci lasciava
parlare. Ci osservava»12. Rumney conferma che il Rapporto di
Debord non fu oggetto di una discussione formale: «Non mi ricordo di
sedute in cui questo testo sia stato votato all'unanimità, nella
misura in cui Olmo ascoltava Vivaldi, gli altri, non so a che cosa
pensassero o se l'avessero compreso».13
L'affermazione ci pare
ragionevole, tenuto anche conto del fatto che, sempre secondo
Simondo, almeno due dei partecipanti, Gallizio e Olmo, non parlavano
francese e il testo, già di suo non facile, non era ancora stato
tradotto in italiano. Non abbiamo dubbi sul fatto che l'incontro di
Cosio non rassomigliasse in nulla a una conferenza, almeno nel senso
che solitamente si da al termine: un incontro formale, con inviti e
manifesti pubblici, relatori ufficiali ed invitati. Come era stato,
tanto per fare un esempio, un anno prima il congresso di Alba. È
altamente probabile che del manifesto programmatico di Debord non si
sia in effetti molto discusso e che addirittura a qualcuno non
importasse neppure poi tanto. La cosa non ci turba. Anzi ci piace
molto perché rende perfettamente il senso giocoso di quei giorni che
Donatella Alfonso ha ricostruito così bene nel suo libro. E
d'altronde, a parte Gallizio e Jorn che erano di un'altra
generazione, di un incontro di giovani si trattava, di una festa
mobile tra Alba, Albisola e Cosio.
Il punto è un altro. Nel
suo libro del 2004 Simondo dimostra a distanza di quasi cinquant'anni
un coinvolgimento emotivo e un disincanto che il tono volutamente
provocatorio del testo non riesce a coprire del tutto. Ed in effetti
per lui dovremmo parlare di un epilogo, l'espulsione nel gennaio 1958
la prima di una lunga serie, decisa dall'alto e nemmeno comunicata
agli interessati a cui si accompagnò la totale e immediata
rescissione di ogni rapporto personale.
«Simondo e Olmo –
ordina da Parigi Debord a Gallizio – non sono solamente degli
idioti, ma delle persone ripugnanti da trattare esattamente allo
stesso modo, e questo ci pare sia il caso, anche negli aspetti della
vita quotidiana. Si deve togliere loro il saluto».14
Una condanna a morte
simbolica che colpì Simondo, la moglie Elena e l'amico Olmo. Una
brutta pagina, insomma, da cui Debord e Pinot Gallizio, che la
avvallò, non escono bene.15 A volerla buttare in psicoanalisi,
si può anche pensare che a Simondo, a cui era mancata la figura
paterna, e che aveva vissuto in casa di Gallizio per cinque anni, il
tradimento del suo mentore non fece di certo piacere. Donatella nel
suo libro racconta che Simondo la prese abbastanza bene. A lui,
scrive, stavano a cuore altre cose, «l'università, i suoi studi, la
pittura, Elena e la nuova vita a due».16 Ci permettiamo di
dubitarne. Nei ricordi di Simondo avvertiamo forte il retrogusto
amaro di una ferita ancora aperta, di una storia d'amore finita male.
1. Piero Simondo, Guarda
chi c'era, guarda chi c'è, Ocra Press, Genova 2004, p. 16.
2. Donatella
Alfonso, Un'imprevedibile situazione, Il melangolo, Genova 2017,
p. 13.
3. Piero Simondo, cit.,
pp. 19-20.
4. Guy
Debord, Correspondance, volume «0», Fayard, Paris 2010, epub.
p.97.
5. Ibidem
6. Ivi, p. 100.
7. Guy
Debord, Correspondance, volume 1, Fayard, Paris 1999, p.16.
8. Guy
Debord, Correspondance, volume «0», cit., p.102.
9. Piero Simondo, cit.,
p.53.
10. Ivi, p.23.
11. Ralph Rumney, Le
consul, Allia, Paris 1999, p.43.
12. Ivi, p. 45.
13. Ivi, p. 46.
14. Guy
Debord, Correspondance, volume I, cit., p. 64.
15. Anche in questa
occasione Asger Jorn si mostrò il migliore. A differenza di Gallizio
e nonostante l'interdetto di Debord, egli continuò a mantenere con
Piero ed Elena i fraterni rapporti di prima.
16. Donatella Alfonso,
cit., p.80.
(Da : Roberto
Massari, Da Cosio nasce cosa..., Massari Editore, Bolsena 2019, pp.
23-32)