L'invisibile essenza
di Notre-Dame non scompare tra le fiamme.
Raffaele K. Salinari
Il mistero della
cattedrale
Il fuoco ha bruciato
Notre Dame nella materia della sua forma visibile, il legno secolare,
le antiche trame dei dipinti e degli arazzi, mentre il fumo anneriva
le pietre millenarie, oscurando gli ori degli arredi sacri. Tutto
questo è andato perduto per sempre, evaporato in un rogo come quelli
ai quali legargoyle dell’antica Cattedrale hanno assistito per
secoli. Non è la prima volta, e forse non sarà neanche l’ultima.
I rivoluzionari francesi volevano addirittura raderla al suolo, dopo
averla spogliata e depredata per anni. Ma perché il suo corpo
mistico rimanga intatto, in attesa di reincarnarsi in una nuova
struttura, come la Fenice che risorge dalle sue stesse ceneri, noi
che la amiamo, che abbiamo avuto il previlegio di ammirarla ancora
intatta, dobbiamo ora renderci testimoni della sua invisibile
essenza. Il corpo sottile della Cattedrale, dunque, vivrà in noi e
come ognuno di noi, poiché se essa è certo un monumento della
cristianità, chi l’ha costruita ne ha voluto fare anche una vera e
propria arca della Sapienza Tradizionale, di ciò che è sempre stato
e sempre sarà, un’epitome dei simboli che fanno capo all’Arte
Regia ed alla Libera Muratoria, alla quale l’ultimo suo
restauratore, Eugène Emmanuel Viollet-le-Duc era iniziato.
Il Mistero della
Cattedrale
Ci sono dunque due
letture di Notre Dame, una esoterica ed una essoterica. Questa verità
era, è, chiaramente effigiata sul pilastro centrale della
Cattedrale, quello che sostiene il Portale del Giudizio Universale.
Qui si vede una figura femminile la cui più fulgida descrizione
viene fatta dal misterioso alchimista che si celava sotto il nome di
Fulcanelli, l’autore del celeberrimo libro Il mistero delle
Cattedrali, dal quale la traiamo: «Il pilastro di mezzo, che
divide in due il vano d’ingresso, ci offre una serie di
rappresentazioni allegoriche delle scienze medioevali. Di fronte al
sagrato, ed al posto d’onore, l’Alchimia è raffigurata da una
donna la cui fronte tocca le nubi. Seduta in trono, ella ha nella
mano sinistra uno scettro, segno di sovranità, mentre con la destra
tiene due libri, uno chiuso (esoterismo) e l’altro aperto
(essoterismo). Mantenuta tra le sue ginocchia e poggiata sul suo
petto si eleva la scala dai nove gradini, la scala philosophorum,
geroglifico della pazienza che deve essere posseduta dai suoi fedeli
nel corso delle nove successive operazioni della fatica ermetica.
Tale è il titolo
del capitolo filosofale, di quel Mutus Liber rappresentato
dal tempio gotico. Tale il frontespizio di questa Bibbia occulta dai
massicci fogli di pietra. Questa l’impronta, il sigillo della
Grande Opera laica sul frontone stesso della Grande Opera cristiana.
Non poteva essere meglio situato se non sulla soglia stessa
dell’ingresso principale. Così la Cattedrale ci appare basata
sulla Scienza Alchemica, investigatrice delle trasformazioni della
sostanza originale, della Materia elementare (Materia dal latino
Mater). Perché la Vergine-Madre, spogliata del suo velo
simbolico, non è altro che la personificazione della Sostanza
Primitiva, di cui si è servito, per realizzare i suoi fini, il
Principio creatore di tutto ciò che esiste».
Dopo questa descrizione
della figura portante di tutta la Cattedrale, Fulcanelli chiarisce la
relazione tra la Madre di Dio, la Grande Madre, e la Madre Materia,
tanto cara a Giordano Bruno che, per amore della verità e del libero
pensiero fu arso vino a Campo dei Fiori. «Questo è il significato,
del resto assai chiaro, di quella singolare epistola che viene letta
alla messa dell’Immacolata Concezione della Vergine ed eccone il
testo: “Il Signore mi ha posseduta all’inizio delle sue vie. Io
ero prima che egli plasmasse qualsiasi altra creatura. Io ero
nell’eternità prima che venisse creata la terra. Gli abissi non
erano ancora ed io ero già concepita. Le sorgenti non erano ancora
uscite dalla terra; la pesante massa delle montagne non era stata
ancora formata; ero già nata prima delle colline. Egli non aveva
ancora creato ne la terra, ne i fiumi, ne consolidato la terra
mediante i due poli. Quando egli preparava i Cieli, io ero presente;
quando circoscrisse gli abissi con i loro limiti e stabilì una legge
inviolabile; quando stabilizzò l’aria attorno alla terra; quando
equilibrò l’acqua delle sorgenti; quando rinchiuse il mare nei
suoi limiti e quando impose una legge alle acque perché non
superassero i confini loro assegnati; quando gettò le fondamenta
della terra, io ero con lui e regolavo tutte le cose”.
Chiaramente
qui si tratta dell’essenza stessa delle cose. E, infatti, le
litanie c’insegnano che la Vergine è il Vaso che contiene lo
Spirito delle cose: Vas spirituale. Gli stessi testi chiamano
Maria anche Sede della Saggezza, in altri termini Soggetto della
Scienza Ermetica, della sapienza universale. Nel simbolismo dei
metalli planetari è rappresentata dalla Luna, che riceve i raggi del
Sole e li conserva segretamente nel suo seno. È la dispensatrice
della sostanza passiva, animata dallo spirito solare. Quindi Maria,
Vergine e Madre, rappresenta la forma; mentre Elia, il Sole, Dio, il
Padre è l’emblema dello spirito vitale. Dall’unione di questi
due principi scaturisce la materia vivente, sottomessa alle
vicissitudini delle leggi di mutazione e di progressione. È, cioè,
Gesù, lo spirito incarnato, il fuoco corporificato nelle cose che ci
sono familiari quaggiù. Queste sono le riflessioni suggerite
dall’espressivo bassorilievo che accoglie il visitatore sotto il
portico della basilica. La Filosofia ermetica gli dà il benvenuto
nella chiesa gotica, tempio alchemico per eccellenza. Perché la
cattedrale tutt’intera non è altro che una glorificazione muta, ma
espressa con immagini, dell’antica scienza di Ermes».
Qui troviamo riassunto
tutto il significato esoterico della costruzione, la sua sconvolgente
attualità di rispetto per tutte le forme del vivente. Ma Notre Dame,
ci dice ancora Fulcanelli, è un vero e proprioMutus Liber, un libro
di pietra, le cui pagine sono (erano?) ben visibili ai due lati della
figura della Nostra Signora. Ed infatti, percorrendo con lo sguardo
le basi della navata centrale, ritrovavamo una serie di splendidi
bassorilievi che, con magistrale accuratezza, riproducevano ogni fase
dell’Opera, dalla scelta della Prima Materia, simboleggiata dalla
Vergine stessa, sino al compimento della Pietra, cioè al
ritrovamento di quella Occultum Lapidem che rappresenta il
compimento di un cammino di elevazione spirituale proprio ad ogni
essere nato per «seguir virtute e canoscenza»; ci torneremo più
avanti.
Perché, in realtà,
l’alchimista mette nel crogiolo anche se stesso; è lui una parte
imprescindibile della Prima Materia che andrà, attraverso le
operazioni successive agite su ciò che giace nel fuoco
dell’alambicco, purificata dalle passioni che imprigionano l’anima
e la rendono schiava della materialità. Non è questa la sede per
andare oltre, ma ognuno di noi sentirà risuonare in queste arcane
formule una corda intima, spirituale, che celebra quella Natura
Naturans di cui siamo tutti figli, e che ha nella Cattedrale un luogo
eletto. Se vogliamo dare un futuro a Notre Dame dobbiamo dunque
costruire il nostro tempio interiore, farci pietre di una costruzione
che ci comprende come parti di un tutto, ognuno singolarmente
insostituibile, ma necessitato a sgrezzarsi per complementarsi con
gli altri.
L’Alchimista di Notre
Dame
E allora, tra le statue
che ornavano (ornano?) la Cattedrale, oggi annerite dal fumo
oscuratore, ve n’è una particolarmente emblematica di tutto
questo: l’Alchimista col suo berretto frigio.
«Se, spinti dalla
curiosità, o per dare uno scopo piacevole alla passeggiata senza
meta d’un giorno d’estate, salite la scala a chiocciola che porta
alle parti alte dell’edificio, percorrete lentamente il passaggio,
scavato come un canale per lo smaltimento delle acque, sulla sommità
della seconda galleria, giunti vicino all’asse mediano del grande
edificio, all’altezza dell’angolo rientrante della torre
settentrionale, noterete, in mezzo ad un corteo di chimere, il
sorprendente rilievo d’un grande vecchio di pietra. È lui, è
l’Alchimista di Notre Dame. Con il capo coperto dal cappello
frigio, attributo dell’Adepto, posato negligentemente sulla lunga
capigliatura dai grandi riccioli, il saggio, avvolto nel leggero
camice di laboratorio, s’appoggia con una mano alla balaustra,
mentre con l’altra accarezza la propria barba abbondante e serica.
Egli non medita, osserva. L’occhio è fisso; lo sguardo possiede
una straordinaria acutezza. Tutto, nell’atteggiamento del Filosofo,
rivela una estrema emozione… Che splendida figura questa del
vecchio maestro che scruta, interroga, curioso ed attento,
l’evoluzione della vita minerale e poi, infine, abbagliato,
contempla il prodigio che solo la propria fede gli faceva
intravedere». Con queste parole Fulcanelli introduce la figura
dell’Alchimista sulla torre settentrionale della grande cattedrale
gotica, la cui figura è riconoscibile appunto dal cappello frigio
«attributo dell’Adepto».
Anche nel mosaico
bizantino della basilica di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna,
i Re Magi adoranoGesù calzati dei loro cappelli
frigi. Essi rivolgono lo sguardo al Salvatore mentre sopra di loro
brilla la stella d’oro, chiaro riferimento sia alla stella cometa
che li indusse a mettersi in cammino, sia alla stella del
Compost-stella, cioè alla Stella di San Giacomo di Compostela che
compare su innumerevoli facciate di chiesee palazzi sparsi per tutta
l’Europa, ad indicare sia un rifugio per i pellegrini sulla via del
celebre Santuario sia le fasi della Grande Opera, come chiaramente
leggibile sui bassorilievi scolpiti ai lati dell’ingresso
principale di Notre Dame.
Se li osserviamo bene
troveremo, ad un certo punto, la figura dell’alchimista che difende
l’Atanor, la fornace alchemica, e che indossa il berretto frigio,
lo stesso che abbiamo visto sul capo della scultura sul torrione
settentrionale.
D’altra
parte la sovrapposizione tra il Cristo ed il Lapis, cioè la Pietra
Filosofale, è la chiave dell’alchimia medioevale, sia per evitare
le ire dell’Inquisizione, sia come linguaggio iniziatico alle
operazioni di trasmutazione della materia. Non a caso nel famoso
romanzo Notre Dame di Parigi, Victor Hugo pone al centro
della storia il delirante e malvagio arcidiacono della
cattedrale, Monsignor Claude Frollo, un aspirante alchimista che
però, accecato dalla sua passione impura per la bella Esmeralda, non
ricambiato da lei, è incapace di leggere compiutamente le formule
della Grande Opera. Nel romanzo tutto è alchimia, dal linguaggio dei
popolani della corte dei miracoli, l’argot da cui deriverebbe
la parola gotico, sino alle corrispondenze astrali, arrivando a
Quasimodo ed alla sua storia d’amore con l’egiziana Esmeralda,
lo smeraldo posto sulla fronte dell’Angelo Caduto, della Tavola
Smeraldina, della pietra stessa in cui è stato scolpito il Graal.
Nel maestoso affresco che Hugo descrive magistralmente tutto è
simbolo sottile ed al tempo stesso carnale, sacro e profano,
iniziatico e palese. Donata Feroldi, nel suo La chiave della
porta rossa, avanza una affascinante e documentata lettura alchemica
dell’insieme, messo in risalto nel titolo, la porta rossa, forse
ancora visibile sul lato sinistro della cattedrale, presso la quale,
il giorno di saturno, si ritrovavano gli adepti.
L’architetto Viollet le
Duc
Ciò che abbiamo visto
bruciare per prima, e cadere in preda alle fiamme, è la guglia della
Cattedrale. La sua storia è indissolubilmente legata all’ultimo
architetto che l’ha restaurata, (1845-64), dopo l’abbandono
seguito alla Rivoluzione. Il suo capolavoro fu proprio la guglia
posta all’incrocio fra la navata principale ed il transetto.
Realizzata in ghisa, la struttura reca alla base dodici figure di
apostoli ed uno di essi riproduce le fattezze di Viollet le Duc in
una posa particolare. Egli, inoltre, ha in mano un regolo con la
scritta Non Amplius Dubito, la formula della giusta proporzione
muratoria. Alla base, oggi perduta, c’era una lapide che recava la
scritta A.G.D.G.A.U., riconoscimento all’appartenenza iniziatica
dell’architetto. Sulla guglia spiccava una stella, la stessa dei
Magi e dell’Opera, ed alla sua base un Oroboro, il serpente
cosmico, vegliava sulla ciclicità del tempo. Ricordiamo tutto questo
affinché chi porrà mano al restauro restauri anche i simboli della
Scienza Sacra, senza i quali la Cattedrale non avrebbe più la sua
anima.
Il Manifesto/Alias – 20 aprile 2019