TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


domenica 21 aprile 2019

il mistero della cattedrale




L'invisibile essenza di Notre-Dame non scompare tra le fiamme.

Raffaele K. Salinari

Il mistero della cattedrale

Il fuoco ha bruciato Notre Dame nella materia della sua forma visibile, il legno secolare, le antiche trame dei dipinti e degli arazzi, mentre il fumo anneriva le pietre millenarie, oscurando gli ori degli arredi sacri. Tutto questo è andato perduto per sempre, evaporato in un rogo come quelli ai quali legargoyle dell’antica Cattedrale hanno assistito per secoli. Non è la prima volta, e forse non sarà neanche l’ultima. I rivoluzionari francesi volevano addirittura raderla al suolo, dopo averla spogliata e depredata per anni. Ma perché il suo corpo mistico rimanga intatto, in attesa di reincarnarsi in una nuova struttura, come la Fenice che risorge dalle sue stesse ceneri, noi che la amiamo, che abbiamo avuto il previlegio di ammirarla ancora intatta, dobbiamo ora renderci testimoni della sua invisibile essenza. Il corpo sottile della Cattedrale, dunque, vivrà in noi e come ognuno di noi, poiché se essa è certo un monumento della cristianità, chi l’ha costruita ne ha voluto fare anche una vera e propria arca della Sapienza Tradizionale, di ciò che è sempre stato e sempre sarà, un’epitome dei simboli che fanno capo all’Arte Regia ed alla Libera Muratoria, alla quale l’ultimo suo restauratore, Eugène Emmanuel Viollet-le-Duc era iniziato.



Il Mistero della Cattedrale

Ci sono dunque due letture di Notre Dame, una esoterica ed una essoterica. Questa verità era, è, chiaramente effigiata sul pilastro centrale della Cattedrale, quello che sostiene il Portale del Giudizio Universale. Qui si vede una figura femminile la cui più fulgida descrizione viene fatta dal misterioso alchimista che si celava sotto il nome di Fulcanelli, l’autore del celeberrimo libro Il mistero delle Cattedrali, dal quale la traiamo: «Il pilastro di mezzo, che divide in due il vano d’ingresso, ci offre una serie di rappresentazioni allegoriche delle scienze medioevali. Di fronte al sagrato, ed al posto d’onore, l’Alchimia è raffigurata da una donna la cui fronte tocca le nubi. Seduta in trono, ella ha nella mano sinistra uno scettro, segno di sovranità, mentre con la destra tiene due libri, uno chiuso (esoterismo) e l’altro aperto (essoterismo). Mantenuta tra le sue ginocchia e poggiata sul suo petto si eleva la scala dai nove gradini, la scala philosophorum, geroglifico della pazienza che deve essere posseduta dai suoi fedeli nel corso delle nove successive operazioni della fatica ermetica.

 Tale è il titolo del capitolo filosofale, di quel Mutus Liber rappresentato dal tempio gotico. Tale il frontespizio di questa Bibbia occulta dai massicci fogli di pietra. Questa l’impronta, il sigillo della Grande Opera laica sul frontone stesso della Grande Opera cristiana. Non poteva essere meglio situato se non sulla soglia stessa dell’ingresso principale. Così la Cattedrale ci appare basata sulla Scienza Alchemica, investigatrice delle trasformazioni della sostanza originale, della Materia elementare (Materia dal latino Mater). Perché la Vergine-Madre, spogliata del suo velo simbolico, non è altro che la personificazione della Sostanza Primitiva, di cui si è servito, per realizzare i suoi fini, il Principio creatore di tutto ciò che esiste».

Dopo questa descrizione della figura portante di tutta la Cattedrale, Fulcanelli chiarisce la relazione tra la Madre di Dio, la Grande Madre, e la Madre Materia, tanto cara a Giordano Bruno che, per amore della verità e del libero pensiero fu arso vino a Campo dei Fiori. «Questo è il significato, del resto assai chiaro, di quella singolare epistola che viene letta alla messa dell’Immacolata Concezione della Vergine ed eccone il testo: “Il Signore mi ha posseduta all’inizio delle sue vie. Io ero prima che egli plasmasse qualsiasi altra creatura. Io ero nell’eternità prima che venisse creata la terra. Gli abissi non erano ancora ed io ero già concepita. Le sorgenti non erano ancora uscite dalla terra; la pesante massa delle montagne non era stata ancora formata; ero già nata prima delle colline. Egli non aveva ancora creato ne la terra, ne i fiumi, ne consolidato la terra mediante i due poli. Quando egli preparava i Cieli, io ero presente; quando circoscrisse gli abissi con i loro limiti e stabilì una legge inviolabile; quando stabilizzò l’aria attorno alla terra; quando equilibrò l’acqua delle sorgenti; quando rinchiuse il mare nei suoi limiti e quando impose una legge alle acque perché non superassero i confini loro assegnati; quando gettò le fondamenta della terra, io ero con lui e regolavo tutte le cose”. 

Chiaramente qui si tratta dell’essenza stessa delle cose. E, infatti, le litanie c’insegnano che la Vergine è il Vaso che contiene lo Spirito delle cose: Vas spirituale. Gli stessi testi chiamano Maria anche Sede della Saggezza, in altri termini Soggetto della Scienza Ermetica, della sapienza universale. Nel simbolismo dei metalli planetari è rappresentata dalla Luna, che riceve i raggi del Sole e li conserva segretamente nel suo seno. È la dispensatrice della sostanza passiva, animata dallo spirito solare. Quindi Maria, Vergine e Madre, rappresenta la forma; mentre Elia, il Sole, Dio, il Padre è l’emblema dello spirito vitale. Dall’unione di questi due principi scaturisce la materia vivente, sottomessa alle vicissitudini delle leggi di mutazione e di progressione. È, cioè, Gesù, lo spirito incarnato, il fuoco corporificato nelle cose che ci sono familiari quaggiù. Queste sono le riflessioni suggerite dall’espressivo bassorilievo che accoglie il visitatore sotto il portico della basilica. La Filosofia ermetica gli dà il benvenuto nella chiesa gotica, tempio alchemico per eccellenza. Perché la cattedrale tutt’intera non è altro che una glorificazione muta, ma espressa con immagini, dell’antica scienza di Ermes».

Qui troviamo riassunto tutto il significato esoterico della costruzione, la sua sconvolgente attualità di rispetto per tutte le forme del vivente. Ma Notre Dame, ci dice ancora Fulcanelli, è un vero e proprioMutus Liber, un libro di pietra, le cui pagine sono (erano?) ben visibili ai due lati della figura della Nostra Signora. Ed infatti, percorrendo con lo sguardo le basi della navata centrale, ritrovavamo una serie di splendidi bassorilievi che, con magistrale accuratezza, riproducevano ogni fase dell’Opera, dalla scelta della Prima Materia, simboleggiata dalla Vergine stessa, sino al compimento della Pietra, cioè al ritrovamento di quella Occultum Lapidem che rappresenta il compimento di un cammino di elevazione spirituale proprio ad ogni essere nato per «seguir virtute e canoscenza»; ci torneremo più avanti.

Perché, in realtà, l’alchimista mette nel crogiolo anche se stesso; è lui una parte imprescindibile della Prima Materia che andrà, attraverso le operazioni successive agite su ciò che giace nel fuoco dell’alambicco, purificata dalle passioni che imprigionano l’anima e la rendono schiava della materialità. Non è questa la sede per andare oltre, ma ognuno di noi sentirà risuonare in queste arcane formule una corda intima, spirituale, che celebra quella Natura Naturans di cui siamo tutti figli, e che ha nella Cattedrale un luogo eletto. Se vogliamo dare un futuro a Notre Dame dobbiamo dunque costruire il nostro tempio interiore, farci pietre di una costruzione che ci comprende come parti di un tutto, ognuno singolarmente insostituibile, ma necessitato a sgrezzarsi per complementarsi con gli altri.



L’Alchimista di Notre Dame

E allora, tra le statue che ornavano (ornano?) la Cattedrale, oggi annerite dal fumo oscuratore, ve n’è una particolarmente emblematica di tutto questo: l’Alchimista col suo berretto frigio.

«Se, spinti dalla curiosità, o per dare uno scopo piacevole alla passeggiata senza meta d’un giorno d’estate, salite la scala a chiocciola che porta alle parti alte dell’edificio, percorrete lentamente il passaggio, scavato come un canale per lo smaltimento delle acque, sulla sommità della seconda galleria, giunti vicino all’asse mediano del grande edificio, all’altezza dell’angolo rientrante della torre settentrionale, noterete, in mezzo ad un corteo di chimere, il sorprendente rilievo d’un grande vecchio di pietra. È lui, è l’Alchimista di Notre Dame. Con il capo coperto dal cappello frigio, attributo dell’Adepto, posato negligentemente sulla lunga capigliatura dai grandi riccioli, il saggio, avvolto nel leggero camice di laboratorio, s’appoggia con una mano alla balaustra, mentre con l’altra accarezza la propria barba abbondante e serica. Egli non medita, osserva. L’occhio è fisso; lo sguardo possiede una straordinaria acutezza. Tutto, nell’atteggiamento del Filosofo, rivela una estrema emozione… Che splendida figura questa del vecchio maestro che scruta, interroga, curioso ed attento, l’evoluzione della vita minerale e poi, infine, abbagliato, contempla il prodigio che solo la propria fede gli faceva intravedere». Con queste parole Fulcanelli introduce la figura dell’Alchimista sulla torre settentrionale della grande cattedrale gotica, la cui figura è riconoscibile appunto dal cappello frigio «attributo dell’Adepto».

Anche nel mosaico bizantino della basilica di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna, i Re Magi adoranoGesù calzati dei loro cappelli frigi. Essi rivolgono lo sguardo al Salvatore mentre sopra di loro brilla la stella d’oro, chiaro riferimento sia alla stella cometa che li indusse a mettersi in cammino, sia alla stella del Compost-stella, cioè alla Stella di San Giacomo di Compostela che compare su innumerevoli facciate di chiesee palazzi sparsi per tutta l’Europa, ad indicare sia un rifugio per i pellegrini sulla via del celebre Santuario sia le fasi della Grande Opera, come chiaramente leggibile sui bassorilievi scolpiti ai lati dell’ingresso principale di Notre Dame.

Se li osserviamo bene troveremo, ad un certo punto, la figura dell’alchimista che difende l’Atanor, la fornace alchemica, e che indossa il berretto frigio, lo stesso che abbiamo visto sul capo della scultura sul torrione settentrionale.

D’altra parte la sovrapposizione tra il Cristo ed il Lapis, cioè la Pietra Filosofale, è la chiave dell’alchimia medioevale, sia per evitare le ire dell’Inquisizione, sia come linguaggio iniziatico alle operazioni di trasmutazione della materia. Non a caso nel famoso romanzo Notre Dame di Parigi, Victor Hugo pone al centro della storia il delirante e malvagio arcidiacono della cattedrale, Monsignor Claude Frollo, un aspirante alchimista che però, accecato dalla sua passione impura per la bella Esmeralda, non ricambiato da lei, è incapace di leggere compiutamente le formule della Grande Opera. Nel romanzo tutto è alchimia, dal linguaggio dei popolani della corte dei miracoli, l’argot da cui deriverebbe la parola gotico, sino alle corrispondenze astrali, arrivando a Quasimodo ed alla sua storia d’amore con l’egiziana Esmeralda, lo smeraldo posto sulla fronte dell’Angelo Caduto, della Tavola Smeraldina, della pietra stessa in cui è stato scolpito il Graal. Nel maestoso affresco che Hugo descrive magistralmente tutto è simbolo sottile ed al tempo stesso carnale, sacro e profano, iniziatico e palese. Donata Feroldi, nel suo La chiave della porta rossa, avanza una affascinante e documentata lettura alchemica dell’insieme, messo in risalto nel titolo, la porta rossa, forse ancora visibile sul lato sinistro della cattedrale, presso la quale, il giorno di saturno, si ritrovavano gli adepti.



L’architetto Viollet le Duc

Ciò che abbiamo visto bruciare per prima, e cadere in preda alle fiamme, è la guglia della Cattedrale. La sua storia è indissolubilmente legata all’ultimo architetto che l’ha restaurata, (1845-64), dopo l’abbandono seguito alla Rivoluzione. Il suo capolavoro fu proprio la guglia posta all’incrocio fra la navata principale ed il transetto. Realizzata in ghisa, la struttura reca alla base dodici figure di apostoli ed uno di essi riproduce le fattezze di Viollet le Duc in una posa particolare. Egli, inoltre, ha in mano un regolo con la scritta Non Amplius Dubito, la formula della giusta proporzione muratoria. Alla base, oggi perduta, c’era una lapide che recava la scritta A.G.D.G.A.U., riconoscimento all’appartenenza iniziatica dell’architetto. Sulla guglia spiccava una stella, la stessa dei Magi e dell’Opera, ed alla sua base un Oroboro, il serpente cosmico, vegliava sulla ciclicità del tempo. Ricordiamo tutto questo affinché chi porrà mano al restauro restauri anche i simboli della Scienza Sacra, senza i quali la Cattedrale non avrebbe più la sua anima.

Il Manifesto/Alias – 20 aprile 2019