Coronavirus e economia mondiale
Raffaele K. Salinari
Lo starnuto di Wuhan e
il raffreddore mondiale
Il coronavirus è
arrivato in Italia mentre l’Oms dichiarava l’epidemia cinese da
2019-nCoV una «emergenza globale» elevandola così al rango di
pandemia. La sua genesi sembra oramai accertata come proveniente
dalla carne di pipistrello macellata a mani nude, il cui sangue ha
poi infettato il paziente zero.
La densità di
popolazione, l’iniziale cautela dei dirigenti cinesi e la virulenza
del virus ha poi fatto il resto, scatenando l’epidemia che è già
costata centosettanta morti e oltre ottomila persone colpite, un
migliaio delle quali in gravi condizioni. Il contagio si è
velocemente propagato al di fuori della città di Wuhan, epicentro
del problema, raggiungendo, seppur ancora con pochi casi, tutti gli
altri continenti. La memoria risale subito all’epidemia causata da
un altro coronavirus, la Sars (Severe acute respiratory syndrome) del
novembre 2002 iniziata nel Guangdong, e che uccise ottocento persone.
Quella storia fu molto diversa dall’attuale: il paziente zero poco
dopo i sintomi morì, ma non fu fatta una diagnosi precisa sulle
cause del decesso. In quell’occasione i responsabili del governo
cinese non informarono l’Oms fino al febbraio 2003, coprendo la
notizia per questioni di ordine pubblico.
Quelle reticenze
permisero al virus di diffondersi creando un’altra pandemia che si
spense progressivamente, ma dopo ave creato un’ondata di panico
globale. In questo caso invece, nonostante le lentezze iniziali,
dovute anche all’elefantiaco apparato del Partito ed alla non
sempre facili relazioni tra centro e periferia, la dirigenza ha
dimostrato un’apertura rispetto ai dati clinici, e soprattutto alla
loro condivisione, che ha permesso di organizzare, a livello
mondiale, una rete di ricerca che indaga la natura mutante del virus
e come contrastarlo. Ma non è certo solo questa la differenza, come
pure la capacità dimostrata dai cinesi di governare l’emergenza
sanitaria approntando presidi sanitari eccezionali, come la
costruzione di ospedali ad hoc a Wuhan.
Dalla dinamica
complessiva, infatti, e non solo dal punto di vista epidemiologico,
possiamo dire che siamo di fronte alla prima vera pandemia globale
nel senso più ampio della parola. Ciò che la globalizza non è
dunque solo la diffusione intercontinentale, ma le relazioni
economiche che legano il suo andamento ai mercati mondiali. La Cina
della Sars, infatti, non era ancora quel gigante che rivaleggia con
gli Usa e l’Europa per la supremazia economica, politica e
militare.
Fu agli inizi degli anni
dieci di questo secolo, con le olimpiadi di Pechino del 2008, che la
Cina si preparò al sorpasso o almeno a diventare il global player
che è oggi. Era l’anno che vide la Grande Crisi dell’economia
finanziaria che dura ancora oggi con i suoi meccanismi di divisione
internazionale del lavoro sempre più escludenti ed iniqui. Per
capire quella temperie, ed ancora una volta la sua relazione con la
pandemia di coronavirus, basti ricordare le affermazioni che
all’epoca fece l’economista Nouriel Roubini:«Vi ricordate il
detto che quando gli Usa starnutiscono, il mondo si prende il
raffreddore? Ebbene: adesso gli Usa hanno la polmonite!».
Oggi la polmonite, non
solo in senso figurato, ce l’hanno i cinesi, e la metafora, anche
dal punto di vista economico, è più valida che mai. Non a caso le
notizie che riguardano l’andamento della pandemia sono sempre più
affiancate da quelle sull’andamento delle borse valori di tutto il
mondo. Esiste infatti un nesso oramai più che evidente tra le
percentuali del contagio ed il calo del Pil cinese che, a cascata, si
ripercuote su quello mondiale. Se la «fabbrica del mondo» rallenta,
o i suoi cittadini non si arricchiscono più con le percentuali a due
cifre, tutto il sistema globalizzato dell’economia commerciale e
finanziaria si ammala.
Se la «piccola» città
di Wuhan viene isolata, o addirittura l’intera Cina restringe gli
spostamenti interni o internazionali, la decrescita, infelice, della
produzione si infrange come uno tsunami sulla già fragile economia
mondiale, sempre sull’orlo della recessione. Ecco , allora, oltre
alla solidarietà internazionale ed alla collaborazione tra
scienziati, spiegata questa corsa ad annientare il virus, perché
quando si è più fragili i danni possono essere letali.
il Manifesto, 1 febbraio
2020