Un amico ha chiesto su
FB per una sua ricerca chi dei suoi contatti avesse frequentato la
scuola dalle suore e quali ricordi ne avesse mantenuto. Gli ho
risposto che io lo avevo fatto e da allora odiavo la minestra di
riso. Ma la storia, come sempre accade, è molto più complessa.
Giorgio Amico
Di minestre di riso,
comunisti feroci e amori sacrileghi
Mio padre era un
militare, soggetto a frequenti trasferimenti. La cosa non fu senza
conseguenza per la mia vita scolastica. Nell'autunno 1955 iniziai le
elementari a Porto Maurizio, ma finii l'anno scolastico a Quiliano,
in provincia di Savona, dove nel frattempo mio padre era stato
trasferito a comandare la locale stazione dei carabinieri. A ottobre
1956 iniziai la seconda, ma a marzo 1957 ero già dall'altra parte
della Liguria, ad Ameglia, ultimo comune prima della Toscana. Neanche
il tempo di farmi delle amicizie, ricordo solo una bambina, molto
carina, di nome Magda che abitava in una villotta vicino alla
caserma. Alle Elementari di Ameglia finii la seconda, ma con esiti
non proprio positivi.
A furia di cambiar scuole
in due anni non avevo imparato quasi nulla. Ma quello del trasferimento forse è un alibi, a nascondere il mio istintivo rifiuto della disciplina scolastica. Infatti, mia sorella, che pure aveva subito le stesse perizie, non ne aveva particolarmente risentito. Comunque sia, mia madre,
consigliata non so bene da chi, decise di iscriverci alla scuola
privata gestita dalle suore che si diceva fornisse un insegnamento
migliore della scuola pubblica ove avevamo frequentato gli ultimi mesi
della seconda classe. Così ad ottobre 1957 io e mia sorella
iniziammo a frequentare la terza nella nuova scuola. Il perché della
stessa classe è semplice, io e mia sorella siamo gemelli.
L'orario era più lungo,
ci si fermava a mensa e nel pomeriggio si facevano i compiti. Una
mensa spartana. Da allora odio la minestra di riso piatto pressoché fisso e praticamente unico, spesso accompagnato da fettine di un
formaggio, molto diverso dai nostri, salato e di un colore giallastro tendente all'arancione. Le suore lo estraevano da grandi latte con la
scritta UNRA e il disegno di due mani che si stringevano. Chissà perché quel
formaggio mi piaceva molto, tanto da ricordarne ancora oggi con nostalgia il sapore. Scoprii molti anni dopo, ormai adulto, che a dodici anni dalla
fine della guerra stavamo smaltendo quello che restava degli aiuti
alimentari inviati nel 1945-46 dal governo americano ad un'Italia in
rovina ed affamata.
Sempre in quell'anno un
bambino più grande, penso di quinta, mi fece provare a fumare la mia
prima sigaretta. Vomitai per due ore. Era la primavera del 1958. In
quell'anno si votava per le politiche. Le suore ci ripetevano spesso
di dire a casa di non votare i comunisti che avrebbero chiuso le
scuole cattoliche e le chiese. Ci chiedevano anche di pregare perché la Madonna proteggesse l'Italia dai "senzadio". Non so se
la cosa abbia funzionato davvero, ma i comunisti non vinsero le
elezioni e le scuole cattoliche restarono aperte. Non per noi,
comunque. Mia madre, molto attenta al bilancio famigliare, decise che
avevamo recuperato abbastanza e che era inutile continuare a pagare
una retta per i tempi piuttosto salata. Così tornammo a frequentare
la scuola pubblica.
La cosa non mi fece
piacere. Mi ero fatto degli amici, ma soprattutto mi ero pazzamente
innamorato della mia maestra, Suor Agnese, di cui ancora ricordo i
bellissimi occhi azzurri e il sorriso dolce. Allora sognavo di portarla via dal convento e di fuggire con lei in paesi lontani, popolati da tigri e da indigeni feroci, come nei romanzi di Salgari di cui ero un lettore insaziabile. Sarà per questo che ho
sempre avuto un debole per le donne bionde e dagli occhi chiari,
tanto da finire per sposarne una. Se poi anche la mia lunga militanza
comunista sia stata il frutto perverso, ma alla fin fine logico, di
quell'anno non so dire. Materia per strizzacervelli in cui non mi
azzardo ad entrare.