"Salambó Unbounded" di
Raffaele K. Salinari per le Edizioni Punto Rosso. Nella ricchezza
delle informazioni, del sapere contenuto in questo testo a emergere
con maggiore prepotenza sono le domande senza risposta: perché le
donne non guardano con così tanto ardore gli uomini che camminano?
Laura Marzi
Sguardi sull’incedere
delle donne
L’oggetto che fa da
fulcro a Salambó Unbounded di Raffaele K. Salinari
(Edizioni Punto Rosso, pp. 96, euro 9) è una catenella, quella che
nel romanzo di Gustave Flaubert lega le due caviglie di Salambò e
che verrà rotta nel momento in cui la donna-divinità cartaginese si
unirà con il guerriero Matho nell’amplesso. Questo libro stesso di
Salinari è una catenella che si compone di una serie di riferimenti
disparati, che spaziano dalla Bibbia a Truffaut, tracciando
una mappatura dell’incedere delle donne.
Si tratta di un
tema tanto specifico quanto universale, tanto – è il caso di
dirlo – sotto gli occhi di tutti quanto trascurato come oggetto di
studio, almeno intellettuale. Se si osserva, infatti, la foto di Ruth
Orkin riportata nel testo, scattata a Firenze nel 1951, è evidente
come le donne che camminano siano davvero oggetto di studio. Anche se
nell’istantanea in questione a colpire più che la dedizione è la
prepotenza degli uomini che guardano e la sofferenza fuggitiva di lei
che deve camminare, costretta seppur donna a muoversi. La foto
dimostra quanto anche quello al movimento sia stato un diritto da
conquistare per il genere femminile e come esso non fosse ancora così
pacificamente acquisito in Italia, a Firenze, nella metà del XX
secolo.
Ovviamente nel testo di
Salinari troviamo un riferimento a Gradiva, la novella di inizio
‘900 che nella sua semplicità racconta una storia mirabolante: da
bassorilievo scolpito in una città abbandonata come Pompei, quella
donna che incede diventa l’ossessione di un uomo in carne e ossa:
«Wilhelm Jensen lascia che il suo protagonista, Norbert Hanold, si
invaghisca di una virgo pompeiana che vede scolpita su di un
bassorilievo: mentre avanza con passo misterioso, o forse misterico,
appena immaginato tra le pieghe di un velo leggero, lo avvolgerà in
un turbine di sogni e visioni».
Poi c’è l’immagine
proposta da un personaggio del film di Truffaut L’uomo che
amava le donne, che ha colpito anche Donata Feroldi autrice
dell’introduzione al testo, che descrive le gambe delle donne come
compassi che misurano il tempo.
A dare una possibile interpretazione dell’erotismo atavico individuato dagli uomini nei passi delle donne sono i versi riportati da Salinari del componimento di Baudelaire À une passante: «car j’ignore où tu fuis / tu ne sais pas où je vais».
La malia insita nella
visione di una donna che cammina deriverebbe allora dall’estraneità
e dall’assenza di vincoli affettivi: la totale mancanza di una
qualsiasi forma di responsabilità nei confronti dell’Altra perché
non c’è relazione, se non quella visiva con l’oggetto ammirato,
sarebbe fonte di erotismo puro. Ti guardo e potrei amarti scrive
Baudelaire alla passante e in questa libertà sconfinata
dell’indefinito si accende il desiderio.
Come scrive Donata
Feroldi: «noi, soggetti contemporanei iperconnessi, ci scopriamo
così miseramente sconnessi da quanto autenticamente ci muove».
Nella ricchezza delle informazioni, del sapere contenuto nel testo di
Salinari a emergere con maggiore prepotenza sono le domande senza
risposta: perché le donne non guardano con così tanto ardore gli
uomini che camminano? Mentre, seppur misera, si condensa una
certezza, che quel vizio di alcuni uomini di lumare le donne non è
affatto innocente come vogliono farci credere: millenni di
letteratura, di arte, lo testimoniano.
il manifesto - 5 maggio
2020