«Le ceneri di Guy
Debord», di Afshin Kaveh, edito da Catartica. Afshin Kaveh, un giovane e promettente ricercatore, è un
caro compagno e un fraterno amico. Per questo sono particolarmente
lieto di riprendere la bella recensione del suo ultimo libro apparsa
oggi sul Manifesto. Un libro da leggere e a cui sono particolarmente affezionato anche perché contiene una mia prefazione frutto delle discussioni avute con l'autore al momento della stesura.
Alberto Giovanni Biuso
Nella biografia di un
«dottore in niente» dedito alle imprese smisurate
Il «pensiero
furiosamente variegato» di Guy Debord sembra inseparabile dalla sua
persona, altrettanto molteplice, disseminata, estrema. Afshin Kaveh
gli ha dedicato un libro dal titolo Le ceneri di Guy
Debord (Catartica, pp. 164, euro 14) in cui compare in modo
plurale.
«Il più grande avventuriero della nostra epoca», capace di crearsi avventure e non semplicemente viverle. Un «accanito e appassionato lettore» in grado di metabolizzare tutto ciò che leggeva in una costante pratica o di disprezzo o di détournement, di deviazione, trasformazione, inglobamento, metamorfosi dentro la propria scrittura ed esistenza. Uno stratega «della rivoluzione, della sovversione, in cui la definizione di strategia è il regno della sorpresa e dell’imprevisto». Un «dottore in niente», avverso all’accademia, all’università, a ogni istituzione culturale.
Un «burattinaio egocentrico», secondo l’accusa che gli rivolsero i situazionisti di Strasburgo quando furono espulsi dall’organizzazione, come accadde a numerosi altri che vennero cacciati prima dall’Internazionale Lettrista e poi da quella Situazionista, tanto che nel periodo dal 1957 al 1969 «fecero parte dell’Internazionale Situazionista 70 persone in tutto – le donne furono sette soltanto – di cui 45 furono escluse e 19 si dimisero».
«Il più grande avventuriero della nostra epoca», capace di crearsi avventure e non semplicemente viverle. Un «accanito e appassionato lettore» in grado di metabolizzare tutto ciò che leggeva in una costante pratica o di disprezzo o di détournement, di deviazione, trasformazione, inglobamento, metamorfosi dentro la propria scrittura ed esistenza. Uno stratega «della rivoluzione, della sovversione, in cui la definizione di strategia è il regno della sorpresa e dell’imprevisto». Un «dottore in niente», avverso all’accademia, all’università, a ogni istituzione culturale.
Un «burattinaio egocentrico», secondo l’accusa che gli rivolsero i situazionisti di Strasburgo quando furono espulsi dall’organizzazione, come accadde a numerosi altri che vennero cacciati prima dall’Internazionale Lettrista e poi da quella Situazionista, tanto che nel periodo dal 1957 al 1969 «fecero parte dell’Internazionale Situazionista 70 persone in tutto – le donne furono sette soltanto – di cui 45 furono escluse e 19 si dimisero».
Debord fu soprattutto un «teppista delle situazioni» che costruiva ambienti momentanei di vita dentro i quali avveniva la metamorfosi dell’esistenza individuale e collettiva, trasformata «in una qualità passionale superiore».
AMBIENTI E SITUAZIONI non
escludenti nessuna circostanza, luogo, funzione, istituzione.
Strutture dentro le quali il teppistaggio diventa per Debord un modo
d’essere, divertirsi, immergersi nel nichilismo consapevole delle
risse, dell’alcol, della violenza e nella lucidità strategica
della loro trasformazione in azioni irrecuperabili da qualunque
polizia, gerarchia, ideologia, dottrina, arte, rappresentazione.
Se quest’uomo/opera
contribuì in modo determinante all’inizio e alla tensione del
Maggio francese, si pronunciò assai presto contro la sostanza
autoritaria e insieme imbelle del Movimento, contro il suo precoce
diventare «moda». Legato soltanto alla radicalità del proprio
sguardo/azione, Debord riconobbe «l’esaurimento irreversibile del
proletariato, del classico movimento operaio o dei movimenti di
liberazione terzomondisti» e il dominio dello spettacolare, prima
nelle due forme dello Spettacolare diffuso (capitalista-occidentale)
e concentrato (burocratico-sovietico), poi convergenti nello
spettacolare integrato «ormai imbattibile e penetrato in ogni dove,
in ogni spazio, in ogni angolo, dilatazione oggi sempre più
manifesta soprattutto negli attuali rapporti sociali di consumo e
produzione della realtà digitalizzata e virtuale».
È ANCHE A
CAUSA dell’attuale dominio della sostanza spettacolare che
Debord può apparire un visionario e «un insolitamente piacevole e
armonioso disco rotto», risuonante la canzone di una rivoluzione
necessaria e impossibile. Di se stesso Debord disse infatti: «Bisogna
dunque ammettere che non c’erano né successo né fallimento per
Guy Debord e per le sue imprese smisurate».
Questo avventuriero, lettore, stratega, egocentrico, teppista, è diventato a pochi anni dalla morte (1994) un classico. Sì proprio un autore ufficialmente definito dal governo francese tra i più grandi del suo tempo e il cui archivio personale venne acquistato dallo Stato nel 2010 per la cifra di 2,7 milioni di euro, versati alla vedova Alice Becker-Ho.
Questo avventuriero, lettore, stratega, egocentrico, teppista, è diventato a pochi anni dalla morte (1994) un classico. Sì proprio un autore ufficialmente definito dal governo francese tra i più grandi del suo tempo e il cui archivio personale venne acquistato dallo Stato nel 2010 per la cifra di 2,7 milioni di euro, versati alla vedova Alice Becker-Ho.
Una classicizzazione che sembra confermare il titolo-palindromo di uno dei suoi film: In girum imus nocte et consumimur igni, «‘Giriamo in tondo nella notte e veniamo consumati dal fuoco’. Che altro si potrebbe aggiungere?» si chiede Kaveh a chiusura del suo libro. Solo questo, forse: si tratta in ogni caso di un fuoco che dà luce.
il Manifesto del 26
maggio 2020