E' morto Giancarlo
Biamonti, il fratello di Francesco. Riprendiamo una riflessione in
merito dello scrittore Marino Magliani.
Marino Magliani
Ricordo di Giancarlo Biamonti
Oggi Claudio Panella mi
citava Francesco Biamonti. Sono rimasto a lungo con quelle parole, e
ho ragionato su altre cose.
L'Edoardo di Attesa
sul mare, e tutta la sapienza marina che traspare dalle pagine di
Francesco Biamonti... Un giorno a Giancarlo glielo chiesi. Sai,
io non riesco a credere che un uomo di mare possa sentire tanto il
salso solo perché l'ha respirato così a lungo. Giancarlo sorrise e
mi guardò. Infatti, mi rispose. Guarda che è una leggenda che siano
tutte cose mie. E in effetti doveva essere così, e l'ho sempre
continuato a pensare: lo scrittore s'è imbevuto del mare di
Giancarlo, la prateria dei diamanti e i venti improvvisi che soffiano
da ogni angolo, i venti larghi, ma come attraverso il silenzio di
quel fratello che tornava, a ondate...
A volte, direbbe Gabriel
Miró, è proprio vero che tutto tace tranne il silenzio. Eppure, c'è
qualcosa, ad esempio c'è che non sono mica del tutto sicuro che sia
solo questo... Che ci sia stato solo, insomma, un
fratello-scrittore-lettore, col suo immenso mare letterario fatto
di studi sulla luce e sui venti e sulle onde delle parole, che ha
popolato i suoi stessi capolavori, e un fratello imbarcato e
ufficiale di coperta (di coperta?) che per lungo tempo ha
portato al di qua della rupe di San Biagio, tra fruscii di ginestre e
mimose, la sola, liquida, coscienza di un mare reale. No, il
Giancarlo che hanno conosciuto in molti è stato anche lui avidissimo
lettore, custode di un giacimento. In una mail molto toccante,
Giorgio Loreti me lo conferma: «... gli stessi libri che Giancarlo
aveva utilizzato per il suo lavoro erano stati letti e 'studiati'
anche da Francesco (il Portolano, ad esempio, vedi Attesa sul
mare...»
Che bello, sarebbe,
saperne di più su quelle letture.
Quanto a me, ora che
Giancarlo se n'é andato mi accorgo di non sapere neppure se era
capitano di coperta o di macchine.
E ora che se n'è andato,
solo ora mi sembra di poter dire che ora resterà. Il
Giancarlo-Edoardo, il Giancarlo-Gregorio, e poi semplicemente il
Giancarlo Biamonti, quello che sorrideva guardando i suoi talenti
sudare nello sferisterio, e che con una grazia immensa ti versava la
misura giusta del vino che non sia mai tanto, che niente sia tanto
perché la vita è solo quel poco; il Giancarlo che vivrà sempre in
quella luce che rotola nel solco della valle...
Lo farà, in fondo, senza
neanche troppo assomigliare agli uomini di mare che leggiamo nei
romanzi di Francesco. O forse sì, il senso di colpa che non ti togli
di dosso per non essere tornato in tempo... Forse quello sì, è ben
inciso nelle pareti di una cabina contaminata dal mal di ferro, e
nella biografia di un figlio la cui vita lo vedeva in Giappone quando
per sua sua madre era giunta l'ora. Ma la nullità del mare e quella
della terra delle radici di Romanzo di Gregorio, no, quella che
lui, Gregorio, non riuscirà mai a elaborare come si elabora davvero
un lutto, no, Giancarlo, per quanto ne possa sapere io, dalla
terra aveva avuto tanto, o quello che bastava per sorriderle: l'aveva
saputa coltivare e amare e ascoltare.
Aveva sempre avuto un bel
rapporto con la vegetazione e la mineralità delle sue fasce. Una
consolazione. O forse mi sbaglio di nuovo, e del resto, sì, sto
scoprendo di scrivere queste parole col rischio di essere
ripetutamente smentito. Lo ricordo bene però quando mi portò a
vedere gli uliveti, una delle poche volte in cui siamo stati davvero
da soli, perché altrimenti lo trovavo sempre in quel salone delle
parole, lui uomo di mezzi silenzi e di sguardi azzurri, in mezzo ai
lettori, che forse non c'era mai tempo per dirsi qualcosa, ma solo
per ascoltare.
Capitan Audouard, la mar
au-jour-d'uei es pleno de graci. Nous navegan vers uno terro
souleianto e graciouso.