Già dal 1922
l'emergere di un crescente contrasto fra il partito italiano e la
direzione russa dell'Internazionale comunista porta ad una dura
battaglia interna e all'ascesa del gruppo de l'Ordine Nuovo alla
guida del Pcd'I.
Giorgio Amico
Bordiga, Gramsci, l'Internazionale e la "questione italiana"
Le vicende del Partito
comunista italiano e del suo gruppo dirigente non possono essere
analizzate in modo avulso dal contesto internazionale. Il PCd'I nasce
a Livorno come sezione italiana dell'Internazionale Comunista, vero e
proprio partito mondiale della rivoluzione, ragion per cui è solo
nel quadro dell'evoluzione del Comintern e della sua sezione guida,
il Partito comunista russo, che si possono comprendere le convulsioni
che scuotono il partito italiano e che porteranno nel giro di pochi
anni al tramonto della leadership bordighiana e alla formazione di un
nuovo gruppo dirigente attorno alla figura di Gramsci. E' un percorso
quello dei rapporti fra il PCd'I e l'Internazionale assolutamente non
lineare, segnato fin dalle origini da incomprensioni e sospetti
derivanti dalla vecchia polemica sull'astensionismo tra Bordiga e
Lenin, aggravati dalla scarsa manovrabilità del gruppo dirigente
italiano che pure non perde occasione per dichiararsi interprete
fedele del bolscevismo. (38)
Nell'estate del 1921, a
pochi mesi dalla scissione di Livorno, l'Internazionale Comunista
tiene il suo Terzo Congresso in cui di fronte al riflusso dell'ondata
rivoluzionaria si inizia a riconsiderare la questione dei tempi della
rivoluzione in Occidente. La risposta verrà trovata nella tattica
del fronte unito, vigorosamente caldeggiata da Trotsky. (39) Lo
sconcerto è enorme. Terracini ricorda come i delegati italiani
fossero colti di sorpresa dalla relazione introduttiva di Radek.
"Ci sembrò una
richiesta assurda, stupefacente. Riunii la delegazione, che
presiedevo come membro dell'Esecutivo del Partito, e fummo tutti
d'accordo nell'opporre il nostro rifiuto". (40)
Il fatto è che la svolta
è vissuta come una sconfessione implicita della scissione di
Livorno, come una manifestazione di pentimento che pare giovare solo
ai serratiani o a chi, come Tasca, dentro al partito non ha mai
accettato la scissione come un fatto definitivo. La risposta di
Bordiga e, bisogna dirlo, di larghissima parte del nucleo dirigente
italiano, consisterà nelle Tesi di Roma, documento base del Secondo
Congresso del PCd'I (Roma marzo 1922). E' la nascita di una
"questione italiana" che si protrarrà per l'intero arco
degli anni '20 per chiudersi solo nel 1930 con l'espulsione dei "Tre"
e la definitiva stalinizzazione del partito.(41)
Alla redazione delle Tesi
di Roma partecipa, nonostante l'affiorare di qualche dissenso,
l'intero gruppo dirigente. E' Gramsci a darci il quadro chiaro della
situazione:
"A Roma abbiamo
accettato le tesi di Amadeo perchè esse erano presentate come
un'opinione per il Quarto Congresso e non come un indirizzo d'azione.
Ritenevamo di mantenere così unito il partito attorno al suo nucleo
fondamentale, pensavamo che si potesse fare ad Amadeo questa
concessione, dato l'ufficio grandissimo che egli aveva avuto
nell'organizzazione del partito: non ci pentiamo di ciò,
politicamente sarebbe stato impossibile dirigere il partito senza
l'attiva partecipazione al lavoro centrale di Amadeo e del suo
gruppo. (...) Allora ci ritiravamo e si doveva fare in modo che la
ritirata avvenisse ordinatamente, senza nuove crisi e nuove minacce
di scissione nel seno del nostro movimento, senza aggiungere mai
nuovi fermenti disgregatori a quelli che la disfatta determinava di
per sè nel movimento rivoluzionario". (42)
Il contrasto degli
"italiani" con il Comintern esplode nel novembre 1922 in
occasione del Quarto Congresso, quando nell'ambito della politica di
fronte unito accettata per disciplina da Bordiga ma mai messa in
pratica, Mosca impone al PC l'apertura di una trattativa con Serrati
in vista di una rapida fusione dei due partiti. Con l'eccezione di
Tasca, il partito è ancora una volta compattamente schierato con il
suo capo.
"L'opposizione di
Bordiga alla politica dell'Internazionale - ricorda Terracini - era
sostenuta dalla convinzione, pressochè unanime nel nostro partito,
che da Mosca si analizzassero le cose in modo distorto. In sintesi,
anche noi di 'Ordine nuovo' stentavamo a credere che fosse possibile
ricomporre l'unità della sinistra italiana con un'operazione di
vertice, trascurando le differenze profonde, non solo tattiche, ma
anche strategiche, che c'erano tra noi e i socialisti". (43)
A fatica, dopo estenuanti
contatti individuali, Lenin e Trotsky riescono a strappare l'assenso
dei delegati italiani. Bordiga, per la prima volta messo in
minoranza, minaccia le dimissioni e chiede un congresso straordinario
del partito con un linguaggio pesante ai limiti del ricatto che
allarma i russi ormai convinti della necessità di un cambiamento
nella direzione del PCd'I. Durante le sedute del Congresso Gramsci
viene avvicinato da Rakosi che gli propone "di diventare il capo
del partito eliminando Amadeo, che sarebbe stato addirittura escluso
dal Comintern se continuava nella sua linea".
Anche in questa occasione
Gramsci rifiuta, ma questa volta più per la paura di non essere
all'altezza che per fedeltà a Bordiga. Il fatto è che
l'atteggiamento tenuto da Bordiga a Mosca ha rinfocolato le
perplessità che Gramsci già nutriva ai tempi del Congresso di Roma
sull'efficacia politica dell'intransigenza bordighiana. In
particolare lo turba l'idea di una possibile scontro frontale con il
Comintern, così come lo allarma il tentativo della destra e di Tasca
in particolare di accreditarsi agli occhi dei russi come possibile
carta di ricambio da utilizzarsi in caso di rottura definitiva con
Bordiga.
Amadeo Bordiga
Amadeo Bordiga
"Io dissi - afferma
Gramsci - che avrei fatto il possibile per aiutare l'Esecutivo
dell'Internazionale a risolvere la questione italiana, ma non credevo
che si potesse in nessun modo (tanto meno con la mia persona)
sostituire Amadeo senza un preventivo lavoro di orientamento del
Partito. Per sostituire Amadeo nella situazione italiana bisognava,
inoltre, avere più di un elemento perchè Amadeo, effettivamente,
come capacità generale di lavoro, vale almeno tre". (44)
L'occasione per mettere
in pratica il cambiamento auspicato la fornisce la polizia fascista
che arresta Bordiga al suo rientro in Italia. Questa volta Gramsci
non può più "anguilleggiare" ed è costretto a prendere
una posizione chiara in un momento che vede il partito in grave
difficoltà.
"Essendo stato
arrestato l'esecutivo nelle persone di Amadeo e di Ruggero - scrive
Gramsci - si attese invano per circa un mese e mezzo di avere delle
informazioni che stabilissero con esattezza come i fatti si erano
svolti (...) Invece dopo una prima lettera scritta immediatamente
dopo gli arresti e nella quale si diceva che tutto era stato
distrutto e che la centrale del partito doveva essere ricostruita ab
imis, non si ricevette più nessuna informazione concreta, ma solo
delle lettere polemiche sulla questione della fusione (...) La
questione fu posta brutalmente di ciò che valesse il centro del
partito italiano. Le lettere ricevute furono criticate aspramente e
si domandò a me che cosa intendessi suggerire....Anch'io ero rimasto
sotto l'impressione disastrosa delle lettere... E perciò arrivai
fino a dire che se si riteneva che veramente la situazione fosse tale
come obbiettivamente appariva dal materiale a disposizione, sarebbe
stato meglio farla finita una buona volta e riorganizzare il partito
dall'estero con elementi nuovi scelti d'autorità
dall'Internazionale". (45)
Bordiga, in carcere,
viene escluso dal nuovo Esecutivo, ma questo atto d'imperio non è
sufficiente a mutare la linea del PCd'I che almeno per tutto il 1923
resta sostanzialmente bordighiano, anche per le esitazioni di Gramsci
ancora fiducioso nella possibilità di recuperare Bordiga alla
politica dell'Internazionale. Pesa, inoltre, il timore che una aperta
rottura del gruppo dirigente uscito dal Congresso di Livorno non
possa che agevolare il tentativo della destra di Tasca di candidarsi
alla direzione del partito. E' una situazione di stallo che inizia a
chiarirsi alla fine del 1923, quando Bordiga fa uscire dal carcere un
manifesto in cui senza mezze parole afferma che la crisi di direzione
del partito non ha origine da dissensi interni, ma dalle divergenze
tra il partito italiano e l'Internazionale Comunista. Divergenze
causate dall'abbandono non solo delle linee tattiche, ma anche del
programma e delle norme organizzative su cui l'Internazionale era
nata.
Le conclusioni di Bordiga
sono drastiche, in piena coerenza con le caratteristiche del
personaggio: la sinistra italiana non può gestire una politica che
non solo non condivide, ma che considera potenzialmente pericolosa.
Disciplinatamente si accettano le decisioni di Mosca, ma si declina
ogni responsabilità diretta nella guida del partito. (46)
Incalzato da Bordiga, il
partito sbanda. Terracini, Scoccimarro e lo stesso Togliatti paiono,
pur con mille esitazioni, disposti a firmare il manifesto. Solo
Gramsci si dichiara nettamente contrario all'iniziativa, ben sapendo
per i colloqui avuti durante il soggiorno a Mosca che questa strada
non può che portare fuori dall'Internazionale. Un'ipotesi che lo
spaventa e lo spinge decisamente dalla parte dei russi.
Umberto Terracini
Umberto Terracini
"In verità - scrive
a Scoccimarro - dopo la pubblicazione del manifesto la maggioranza
potrebbe essere squalificata del tutto e anche esclusa dal Comintern.
Se la situazione politica dell'Italia non si opponesse a ciò io
ritengo che l'esclusione avverrebbe. Alla stregua della concezione di
partito che deriva dal manifesto l'esclusione dovrebbe essere
tassativa. Se una nostra federazione facesse solo la metà di ciò
che la maggioranza del partito vuol fare verso il Comintern, il suo
scioglimento sarebbe immediato. non voglio, firmando il manifesto,
apparire un completo pagliaccio (...) Non si può assolutamente fare
dei compromessi con Amadeo. Egli è una personalità troppo vigorosa
ed ha una così profonda persuasione di essere nel vero, che pensare
di irretirlo con un compromesso è assurdo. Egli continuerà a
lottare e ad ogni occasione presenterà sempre intatte le sue tesi".
(47)
Sono concetti che
ritornano spesso nella corrispondenza che Gramsci ha in questo
periodo con i compagni del vecchio gruppo dell'Ordine Nuovo, quasi
che egli debba convincere prima di tutto se stesso della necessità
di rompere definitivamente quel sodalizio forse più umano che
politico stretto nell'ormai lontano 1920 con Bordiga.
"Anch'io penso che
il partito non possa fare a meno della sua collaborazione ma che fare
? - ribadisce a marzo - Il suo stesso carattere inflessibile e tenace
fino all'assurdo ci obbliga invece proprio a prospettarci il problema
di costruire il partito e il centro di esso anche senza di lui e
contro di lui. Penso che sulle quistioni di principio non dobbiamo
più fare compromessi come nel passato: vale meglio la polemica
chiara, leale, fino in fondo, che giova al partito e lo prepara ad
ogni evenienza. Naturalmente la quistione non è chiusa: questo è il
mio avviso, per ora". (48)
La necessità di rompere
in maniera netta con Bordiga costringe Gramsci a operare un
ripensamento complessivo della politica fino a quel momento seguita
dal partito e porsi il problema della formazione di un nuovo gruppo
dirigente. All'inizio del '24 Gramsci ritiene ormai disgregato il
vecchio gruppo dell'Ordine nuovo e improponibile una semplice
riedizione del suo programma. Questi concetti sono affermati con
grande chiarezza in una lettera a Francesco Leonetti, l'unico
schieratosi fin dall'inizio decisamente al suo fianco. Scrive
Gramsci:
"Non condivido il
tuo punto di vista che si debba rivalorizzare il nostro gruppo di
Torino formatosi intorno all' 'Ordine nuovo' (...) D'altronde esiste
ancora il nostro gruppo ? (...) Tasca appartiene alla minoranza
avendo condotto fino alle estreme conseguenze la posizione assunta
fin dal gennaio 1920 e culminata nella polemica fra me e lui.
Togliatti non sa decidersi com'era un pò sempre nelle sue
abitudini; la personalità 'vigorosa' di Amadeo lo ha fortemente
colpito e lo trattiene a mezza via in una indecisione che cerca
giustificazioni in cavilli puramente giuridici. Umberto credo sia
fondamentalmente anche più estremista di Amadeo, perché ne ha
assorbito la concezione, ma non ne possiede la forza intellettuale,
il senso pratico e la capacità organizzativa. In che dunque potrebbe
rivivere il nostro gruppo? Sembrerebbe nient'altro che una cricca
raccoltasi intorno alla mia persona per ragioni burocratiche. Le
stesse idee fondamentali che hanno caratterizzato l'attività
dell'"Ordine nuovo" sono oggi o sarebbero anacronistiche
(...) Oggi le prospettive sono diverse e bisogna accuratamente
evitare di insistere troppo sul fatto della tradizione torinese e del
gruppo torinese. Si finirebbe in polemiche di carattere
personalistico per contendersi il maggiorasco di un'eredità di
ricordi e di parole".(49)
Il Partito deve trovare
le sue ragioni d'essere non nel passato per quanto glorioso questo
sia stato, ma nell'applicazione senza riserve della linea politica
dell'Internazionale. Un Gramsci, dunque, convinto stalinista, come
scrive Ragionieri, per il quale la politica del socialismo in un
paese solo era perfetta per una fase appunto di 'guerra di
posizione'? Oppure, come sostenuto dai tardi epigoni del bordighismo,
un Gramsci opportunista che salta sul carro dei vincitori e si fa
carico senza soverchi scrupoli della stalinizzazione del PC? (50) La
realtà è ben diversa.
Educato proprio da
Bordiga a fare della disciplina e della fedeltà al Comintern il
cardine della propria azione politica, diventato alla scuola di
Livorno un vero bolscevico, Gramsci non se la sente ora di rimettere
tutto in gioco per porsi dal punto di vista di una "minoranza
internazionale" dalle prospettive incerte. Bordiga, granitico
nelle sue certezze, può anche correre il rischio di restare solo,
convinto com'è che sul lungo periodo i fatti non potranno che dargli
ragione. Gramsci, che considera il concreto agire politico (la
prassi) come inveramento del marxismo, non può accettare di
autoescludersi dall'azione politica, di restare tagliato fuori
dall'avanguardia di classe, dalla classe operaia nel suo vivere e
agire quotidiano. E' una decisione lacerante che Gramsci vivrà
imponendosi, lui apparentemente sempre così fragile e indeciso, una
linea di condotta ispirata al più rigido senso del partito e della
necessità storica. (51)
Palmiro Togliatti
Palmiro Togliatti
Note
(38) Nel 1924 Gramsci
rivela che già nei primi mesi del 1921 uno dei rappresentanti del
Comintern presso il partito italiano aveva fatto pressioni su di lui
perchè prendesse il posto di Bordiga in quanto "la tendenza di
Amadeo aveva preso il sopravvento, ciò che era contro lo spirito
delle decisioni del Comintern che voleva dare al gruppo di Torino la
prevalenza nel PCI". (Cfr. P. Togliatti, La formazione del
gruppo dirigente..., cit., p. 228). Quanto a Bordiga, egli
rivendicherà sempre il merito alla sinistra italiana di essere
stata, anche contro lo stesso Lenin, la più coerente interprete del
leninismo (Cfr. a questo proposito i due scritti del 1924 e del 1960
raccolti in La sinistra comunista in Italia sulla linea marxista di
Lenin, Milano 1964).
(39) I principali
interventi di Trotsky al Terzo Congresso dell'Internazionale
Comunista sono disponibili in italiano in L. Trotsky, Problemi della
rivoluzione in Europa, a cura di L. Maitan, Milano 1979, pp.122- 219.
(40) U. Terracini, Quando
diventammo comunisti, cit., p. 55.
(41) Cfr. per una
sintetica ricostruzione dell'intero percorso G. De Regis, La "svolta"
del Comintern e il comunismo italiano, Roma 1978.
(42) Cfr. la Lettera di
Gramsci a Togliatti, Scoccimarro e altri del 5 aprile 1924; ora in
Togliatti, La formazione del gruppo dirigente..., cit., pp. 272-273.
(43) U. Terracini, Quando
diventammo comunisti, cit., p. 71.
(44) Cfr. le lettere di
Gramsci a Scoccimarro e Togliatti del 1 marzo 1924 e a Togliatti del
27 marzo 1924, ora in Togliatti, La formazione del gruppo
dirigente..., cit., rispettivamente pp 218-230 e 252-258. Gramsci
motiva la sua scelta di prendere tempo soprattutto per la
"preoccupazione di ciò che avrebbe fatto Amadeo se io fossi
diventato oppositore: egli si sarebbe ritirato, avrebbe determinato
una crisi, egli non si sarebbe mai adattato a venire a un
compromesso....Se io avessi fatto l'opposizione l'Internazionale mi
avrebbe appoggiato, ma con quali risultati, allora, quando il partito
si organizzava a stento, nella guerra civile" (Ibidem, pp.
254-255).
(45) Cfr. la lettera di
Gramsci a Togliatti del 27 gennaio 1924, ora in Togliatti, La
formazione del gruppo dirigente..., cit., pp 174-175.
(46) Il "Manifesto"
di Bordiga, pubblicato per la prima volta da Stefano Merli nel 1964
sulla Rivista storica del socialismo, è oggi riprodotto
integralmente in Il partito decapitato, Milano 1988, pp. 54- 60.
(47) Cfr. la lettera a
Scoccimarro del 5 gennaio 1924, ora in Togliatti, La formazione del
gruppo dirigente..., cit., pp. 148-154.
(48) Cfr. la lettera a
Togliatti del 27 marzo 1924, ivi, p. 255. Togliatti, con il suo
inconfondibile stile gesuitico, commenterà che in quella situazione
occorreva "liberare i compagni italiani da un prestigio di cui
era (...) necessario che si liberassero" (ivi, p. 337). La via
della distruzione sistematica del mito di Bordiga, fondatore e capo
del Partito di Livorno, era ì tracciata e il PCI la percorrerà
interamente, anche se va detto che Gramsci non accettò mai, neppure
nei momenti in cui la polemica si fece più intensa, di scendere ai
livelli di abiezione raggiunti da Togliatti e da altri ex-bordighiani
nella polemica con la minoranza di sinistra.
(49) Cfr. la lettera a
Leonetti del 28 gennaio 1924, ora in Togliatti, La formazione del
gruppo dirigente..., cit., pp. 182-184.
(50) E.Ragionieri,
Gramsci e il dibattito teorico nel movimento operaio internazionale,
in AA.VV., Gramsci e la cultura contemporanea, vol. I, Roma 1969, p.
133. Per gli attacchi di parte bordighista a Gramsci cfr. La
liquidazione della sinistra del PCd'It. (1925), Milano 1991, pp.
33-34.
(51) Fortichiari, che lo
incontra a Vienna nella primavera del 1924, nota sorpreso questa
evoluzione: "Malgrado le sue particolari vedute personali
Gramsci diede sempre più importanza al partito; alla possibilità
che il partito svolgesse un certo lavoro, alla necessità che il
partito fosse forte (...) Gramsci si dedica talmente a questa
funzione nel partito che in fondo rinnega se stesso, perchè non è
più l'uomo che vuole i consigli di fabbrica come soviet, ora lui
vuole un partito capace di imporsi, forte, monolitico; tutto il resto
è secondario" (Fortichiari, Comunismo e revisionismo in Italia,
cit. p. 162).
4. Continua