Il Partito comunista
nasce in un momento difficile, in cui si inizia a sentire il riflusso
della grande ondata di lotte che aveva seguito la fine della guerra e
cresce la violenza squadristica. I comunisti non credono però nella
possibilità di una dittatura di Mussolini e il vero nemico da sconfiggere resta il riformismo.
Giorgio
Amico
La costruzione del Partito comunista e il fascismo
Il Partito comunista
nasce, dunque, nel segno di Bordiga in un congresso che è poco più
di una orgogliosa proclamazione di indipendenza dal vecchio partito
da parte dei rivoluzionari. (24) Gramsci vi gioca un ruolo subalterno
e tale comportamento non fu in seguito esente da critiche anche dure.
Ma era possibile, e soprattutto auspicabile, in quel momento e in
quelle condizioni, premere per una più netta chiarificazione? Lo
stesso Togliatti risponde di no.
"Se un dibattito
sulla funzione e sui compiti immediati del partito comunista in
Italia - egli scrive - si fosse aperto e si fosse approfondito,
sarebbero certamente venute alla luce divergenze di fondo su problemi
di importanza decisiva. Ma questo dibattito, nel momento in cui venne
immediatamente preparata la creazione del partito e subito dopo di
esso, non poteva accendersi. Il fuoco era stato concentrato contro la
destra riformista e contro il gruppo di centro che non voleva
isolarla ed espellerla dal partito, e in questa impostazione tutti
erano concordi". (25)
Ma a Livorno accade
qualcosa che va al di là della scelta politicamente giusta di non
aprire un dibattito dalle conseguenze imprevedibili. Gramsci tace
soprattutto perchè schiacciato dalla forte ostilità di parte dei
delegati che gli rinfacciano le esitazioni del 1914. Bruno
Fortichiari ci ha lasciato la vivissima descrizione di un uomo
angosciato e solitario:
"Era presente, era
con il direttivo della Frazione, ma continuava a camminare; lo vedo
ancora, dietro di noi sul palcoscenico, tutto concentrato in sé,
isolato, senza parlare con nessuno". (26)
Sarà il "settario"
Bordiga a prenderne le difese senza esitazioni o calcoli prudenziali
con un discorso "notevole, per l'efficacia anche oratoria"
con cui si rivendica la diversità del nuovo partito rispetto anche
alla parte più nobile della tradizione socialista. (27)
Difendendo Gramsci,
Bordiga chiarisce che nel nuovo partito non ci sono più nè
astensionisti, nè ordinovisti, ma solo militanti comunisti uniti
nella comune fede nella rivoluzione e nella dittatura del
proletariato.
"Mentre io rivendico
- afferma - ciò che ci allaccia al passato di questo partito ed
anche a quelli che a noi hanno appreso, uomini che oggi sono
nell'altra sponda, mentre io rivendico questo, voglio anche dire che
questo fenomeno, che deve essere considerato obiettivamente, del
socialista di guerra, a me piace raffrontarlo con quello del
socialista della parentesi di guerra, del socialista che non ha
bestemmiato perchè ha taciuto, del socialista che quando invece di
essere duecentocinquantamila eravamo nelle tessere ventimila e nella
pratica poche centinaia, non ha detto nulla, ma che, poi, passata la
bufera, è venuto a dire: "Siamo stati contro la guerra",
ed è andato nei comizi elettorali a valersi di questo (...), e dico
che io, che socialista di guerra non sono stato mai, preferisco quei
giovani che, attraverso l'esperienza tratta dall'infamia
capitalistica e dall'essere stati inviati al fratricidio sui fronti
della battaglia borghese, sono tornati con la nuova fede della guerra
per la rivoluzione". (28)
Si è parlato per il
periodo 1921-1923 di partito "bordighiano", quasi per
contrapporlo in negativo ad un ipotetico "partito di Lione"
finalmente recuperato ad una corretta strategia leninista.(29) Certo,
il PCd'I fu in quel periodo un partito modellato sulla "personalità
vigorosa" del suo fondatore, ma senza forzature o esasperazioni
leaderistiche. Le testimonianze a favore si sprecano, anche da parte
di chi "bordighista" non è mai stato. Scrive ad esempio
una storica di matrice "picista":
"Nel partito
comunista bordighiano poterono trovare posto, per fare un esempio,
Tasca e Terracini, Leonetti e Togliatti, Gramsci e Misiano, per dire
d'uomini forniti ciascuno di una concezione dell'azione politica che
in avvenire si rivelerà non sempre coincidente e talora anche
opposta. Era lo stile di lavoro di un partito leninista? Sarebbe
troppo semplice rispondere solo con un'affermazione. Certo era questo
un aspetto leninista del primo comunismo italiano, ma ciò che qui
preme sottolineare è che questo stile di vita e di lavoro si rivelò
nella pratica più forte della concezione assolutista che del partito
aveva Bordiga. Se pure egli concepiva il partito come un esercito, il
fatto è che la sua percezione dell'autentico gli impedì sempre di
circondarsi di caporali...". (30)
Il fatto è che, come
ricorda Camilla Ravera, "c'era bisogno di una forza
rigorosamente unita e disciplinata; e anche la concezione rigida di
Bordiga diventava una forza; oltre che una necessità" (31).
Quello che nasce a Livorno è un partito compatto, pienamente
convinto della necessità di dover andare oltre "alla confusione
e al marasma che era stati dominanti nel partito socialista e da cui
ci si voleva liberare una volta per sempre". (32)
Anche Gramsci condivide
questo spirito. Dal 1921 al 1923 appare in linea con Bordiga se non a
livello di analisi, almeno sul piano delle conclusioni politiche.
Così al momento delle elezioni politiche della primavera del '21, a
cui il Partito partecipa soltanto per disciplina nei confronti delle
decisioni del Secondo Congresso dell'Internazionale Comunista, anche
Gramsci sostiene a fondo su L'Ordine Nuovo le tesi del partito, anzi
sarà proprio lui a usare i toni più duri nei confronti del
parlamentarismo. (33)
C'è chi ha voluto vedere
in questo atteggiamento disciplinato nient'altro che la scelta di
attendere tempi migliori da parte di un Gramsci che, ancora sotto gli
effetti della contestazione subita a Livorno, tuttavia in privato non
risparmia dure critiche alla direzione di Bordiga. (34) E' una tesi
che getta un'ombra di doppiezza su una personalità limpida come
sempre fu, anche per ammissione dei suoi avversari, quella di Antonio
Gramsci e che non trova riscontri, se non in una frase di Togliatti
del febbraio 1924. (35) In realtà, come
testimonia Umberto Terracini:
"L'Ordine Nuovo per
circa un anno tacque sul proprio programma, e fu fedele esecutore
dell'impegno di sostenere il Partito comunista senza accentuare le
posizioni del gruppo. Ciò incominciò ad avvenire soltanto dal '22
in poi. Vi furono insufficienze, mancanze, errori nostri, che
pesarono sui primi passi del nuovo partito. D'altra parte l'esigenza
fondamentale del momento era la nascita del vero partito di classe. E
poi, anche i rapporti personali e fraterni che esistevano fra Bordiga
e noi ebbero un peso nello stemperare i contrasti. Soltanto più
tardi, quando si cominciarono ad avvertire i frutti amari della linea
politica di Bordiga prendemmo le distanze da lui e ne combattemmo le
impostazioni. Ma i rapporti affettuosi e fraterni che avevamo
stabilito non si dissolsero mai del tutto".(36)
Il pieno dispiegarsi
della controrivoluzione fascista non modifica nella sostanza questa
situazione. Bordiga e Gramsci vedono nel fascismo la risposta
unitaria della borghesia italiana all'assalto rivoluzionario della
classe operaia. In quest'ottica Mussolini non rappresenta una rottura
irreversibile degli assetti costituzionali nè tantomeno della
tradizione politica liberale. E' sul piano della prospettiva politica
e della tattica del partito che le differenze sono profonde.
Per Bordiga, ossessionato
dal timore di possibili inquinamenti "democraticistici"
della purezza programmatica del partito, non esistono soluzioni
intermedie e l'unico obbiettivo da propagandare resta la dittatura
proletaria. Di conseguenza, va accuratamente evitata ogni possibile
confusione sul piano dell'azione con tutte quelle forze che , pur
collocandosi sul terreno di un antifascismo militante, vedi ad
esempio gli Arditi del Popolo, restano tuttavia ideologicamente
spurie e di conseguenza non sicure.
Diversa la posizione di
Gramsci, più attento alle contraddizioni all'interno dello
schieramento borghese e dello stesso fascismo che gli appare incapace
di mantenere l'egemonia sugli strati intermedi e piccolo borghesi
soprattutto a livello rurale. Di qui l'attenzione al mondo cattolico
e ad una parte dell'intellettualità di cui Gobetti appare il più
degno rappresentante, ma soprattutto l'ipotesi che sia possibile una
lotta antifascista per obiettivi democratici e non direttamente
comunisti, rivolta soprattutto alla conquista delle masse contadine
del Meridione. Temi che si intrecciano al dibattito in corso nel
partito sulla tattica del fronte unico e che per Gramsci ne
rappresentano la logica estensione.
Va chiarito, tuttavia,
che, almeno per il rivoluzionario sardo si tratta di convincimenti
che matureranno col tempo e che assumeranno piena rilevanza
soprattutto dopo l'assassinio Matteotti, di fronte al fatto nuovo
rappresentato dalla tattica aventiniana dell'antifascismo
democratico-borghese. Nell'ottobre 1922, infatti, sia Gramsci che
Bordiga paiono non credere nell'effettiva possibilità di una stabile
e duratura presa del potere da parte dei fascisti. (37)
Note
(24) Ci pare, tuttavia,
assai riduttiva la tesi di Cortesi, secondo cui quella di Livorno è
"una tardiva coalizione di gruppi improvvisamente affrettata
dopo il Secondo congresso dell'Internazionale Comunista e la
irresponsabile condotta del PSI di fronte all'occupazione delle
fabbriche, ma sostenuta da una elaborazione politica e da un
confronto interno insufficienti". (Introduzione a B.
Fortichiari, Comunismo e revisionismo in Italia, cit., p. 17)
(25) P. Togliatti, La
formazione del gruppo dirigente del Partito comunista italiano nel
1923-1924, Roma 1984, p. 16. Quanto alle critiche a Gramsci si veda
in particolare la lettera di Mario Montagnana riportata dallo Spriano
(Storia del Partito comunista italiano, vol. I, Torino 1976, p. 118).
(26) B. Fortichiari,
Comunismo e revisionismo in Italia, cit., p. 135.
(27) Il giudizio è di
Franco Livorsi (Amadeo Bordiga, Roma 1976, p. 167).
(28) Il discorso di
Bordiga a Livorno è riprodotto in La Sinistra comunista nel cammino
della rivoluzione, Roma 1976, pp. 67-100.
(29) E' questo, per
intenderci, il taglio dell'intera storiografia di ispirazione
togliattiana almeno fino agli anni Settanta e di cui si avvertono
ancora tracce anche nell'opera, di ben altro spessore, dello Spriano.
(30) F. Pieroni
Bortolotti, Francesco Misiano. Vita di un internazionalista, Roma
1972, pp.100-101.
(31) C. Ravera,
testimonianza in La Frazione comunista al Convegno di Imola, Roma
1971, p. 32.
(32) P. Togliatti, La
formazione del gruppo dirigente del Partito comunista italiano nel
1923-1924, cit., pp.19-20.
(33) A. Gramsci Il
parlamento italiano, L'Ordine Nuovo 24 marzo 1921. Ora in Socialismo
e fascismo. L'Ordine Nuovo 1921-1922, Torino 1974, pp. 115-117.
(34) "Non ti
nascondo la mia opinione che tu, molte delle cose che dici ora,
avresti dovuto dirle, e non in conversazioni private e di cui si
aveva sentore indiretto, ma davanti al partito, molto tempo prima.
Nella Centrale costituita a Livorno tu rappresentavi il gruppo che
seguiva una concezione diversa da quella di Bordiga". Cfr. P.
Togliatti, La formazione del gruppo dirigente..., cit., p. 213.
(35) Cfr. a questo
proposito G. Fiori, Vita di Antonio Gramsci, cit., pp.173-178. Tra le
numerose attestazioni di stima nei confronti di Gramsci ricordiamo
soprattutto quelle di Bordiga che ancora nel 1954 definiva Gramsci il
"rappresentante più rispettabile e non solo perchè morto in
tempo" di un'intero filone del socialismo italiano (Cfr. A.
Bordiga, Meridionalismo e moralismo, Il programma comunista, 29
ottobre-12 novembre 1954; ora in A. Bordiga, Il rancido problema del
Sud italiano, Genova 1993, p.96) e di Fortichiari per il quale
Gramsci, al di là di ogni valutazione politica, "personalmente
era un galantuomo" (Cfr. B. Fortichiari, Comunismo e
revisionismo in Italia, cit., p. 142).
(36) U. Terracini, Quando
diventammo comunisti, cit., p. 44.
(37) "La cosa che
impressiona - scrive Onorato Damen - è la estrema leggerezza e la
ostentata noncuranza del fenomeno presente nei maggiori esponenti del
partito: Bordiga, ad esempio, riteneva, mentre era a Mosca per l'
"Allargato", impossibile un tentativo di marcia su Roma
delle camicie nere e proprio nel momento che tale marcia era in pieno
svolgimento, Gramsci se l'è cavata ora con la dichiarazione di
'folklore episodico e paesano', ora affrontando il problema del
'cesarismo nella storia'” (Damen, Gramsci tra marxismo e idealismo,
cit., p.107). Per una più precisa conoscenza delle posizioni di
Bordiga sul fascismo è utilissima la raccolta di testi curata
all'inizio degli anni Settanta dai francesi di "Programme
communiste" (Communisme et fascisme, Marseille 1970), mentre gli
scritti di Gramsci sono raccolti in Socialismo e fascismo, cit. e in
La costruzione del Partito comunista, Torino 1971.
3. Continua