Nella “sinistra comunista” del PSI gli anni 1919-1920 furono segnati da un vivace dibattito sul che fare. Poco si fece invece sul piano concreto col risultato che quando, nel gennaio 1921, il Partito comunista nacque l'ondata rivoluzionaria era in riflusso mentre cresceva la reazione fascista.
Giorgio Amico
Gramsci e Bordiga nel
biennio rosso: tattica astensionista e consigli operai
L'eco della rivoluzione
russa unita alla disfatta di Caporetto mette a nudo l'ipocrisia del
"né aderire, né sabotare". In una riunione della sinistra
rivoluzionaria (Firenze, 18 novembre 1917) Bordiga è l'unico ad
avanzare apertamente l'ipotesi di una decisa azione rivoluzionaria.
(9) Gramsci tace e Serrati ha buon gioco a mantenere la sinistra del
partito al'interno del tradizionale gioco delle correnti che da
sempre connota il socialismo italiano. Bordiga, che pure non ha più
illusioni sulla recuperabilità a fini rivoluzionari del PSI,(10) nei
fatti agevola questo tentativo. Infatti, l'intransigenza con cui egli
pone la pregiudiziale astensionista rappresenta un serio ostacolo
alla formazione immediata di una unica frazione comunista.
"Era certezza in
Bordiga - scrive il "milanese" Fortichiari - di poter
uscire dal ristretto e deformante ambito del Sud per estendere ai
principali centri di Italia la corrente che egli animava. Questo
calcolo gli fece minimizzare il peso dei gruppi della sinistra
socialista sfavorevoli alla sua pregiudiziale; egli propendeva, in
fondo, ad una selezione intransigente senza tener conto dell'urgenza
degli avvenimenti". (11)
E' un'osservazione
corretta, Bordiga mostra di non dare soverchia importanza alla
questione dei tempi e di non comprendere come in quella fase il
problema dell'astensionismo rappresentasse un elemento di fatto
secondario in una corretta strategia rivoluzionaria. (12) Almeno fino
a tutto il 1920 resterà così irrisolto il nodo vero, rappresentato
dal centrismo di Serrati a cui l'intransigenza di Bordiga va in
definitiva ad offrire un comodo alibi. (13)
Oltre alla Russia anche
la forte ascesa delle lotte operaie costringe i rivoluzionari del PSI
ad andare oltre il vuoto rivoluzionarismo verbale del partito.
L'ondata operaia che tocca il suo culmine nell'aprile del 1920 con lo
"sciopero delle lancette", non va solo diretta
politicamente, ma anche compresa teoricamente, pena il riflusso e
l'avanzata della reazione. E' una lotta contro il tempo che i
rivoluzionari perderanno, tanto che l'occupazione delle fabbriche si
svolge già interamente nel segno del riflusso. Se nella sinistra
rivoluzionaria tutti sostengono la necessità della generalizzazione
delle lotte, ci si divide su chi debba assicurare la guida degli
scioperi.
A Torino il gruppo de
l'Ordine Nuovo punta tutto sul ruolo dirigente dei consigli operai
assimilati ai soviet russi. Gramsci intende fare del soviettismo la
base per il rinnovamento rivoluzionario del PSI e della CGL e il
motore stesso della rivoluzione proletaria in Italia e ciò a partire
dalla trasformazione delle commissioni interne, concepite come
"embrione di soviet", in consigli di fabbrica. Il tutto con
una oggettiva sottovalutazione non solo del ruolo del partito ridotto
a mero coordinatore di un movimento dei consigli destinato a
svilupparsi con dinamiche proprie, ma anche della tradizionale
funzione di coordinamento territoriale delle istanze di fabbrica
svolto dalle Camere del Lavoro. (14)
Su queste posizioni Gramsci è isolato, tanto da essere messo in minoranza all'interno dello stesso gruppo dell'Ordine nuovo. Dal canto suo, Bordiga gli rimprovera di credere "che il proletariato possa emanciparsi guadagnando terreno nei rapporti economici, mentre ancora il capitalismo detiene, con lo Stato, il potere politico" e di contrapporre un organo che non può che essere di natura parziale all'unico possibile strumento generale di liberazione del proletariato, il partito di classe. Per il rivoluzionario napoletano, ancorarsi allo schema dei consigli significa preoccuparsi della creazione degli istituti del potere socialista più che della conquista del potere. E' sbagliato, ammonisce dalle pagine de "Il Soviet", "fare la questione del potere nella fabbrica anzichè la questione del potere politico centrale". (15)
A differenza di Gramsci,
Bordiga non crede nel carattere di per se rivoluzionario dei
consigli. Determinante è per lui anche in questo il ruolo di
direzione del partito alla cui costruzione occorre subordinare
qualunque altra preoccupazione. Per questo nel 1920 egli abbandona il
tema delle lotte operaie, a cui pure aveva dedicato grande attenzione
nel 1918-1919, (16) per impegnarsi a fondo nella costruzione
nazionale della sua frazione. Elemento del tutto trascurato da
Gramsci che crede nella possibilità di una spontanea rifondazione in
senso classista del PSI proprio a partire dalle lotte di fabbrica. Ad
aprile nel pieno dello "sciopero delle lancette" redige le
sue tesi "Per un rinnovamento del Partito Socialista".
L'esito è negativo. Le tesi vengono di fatto ignorate dal partito,
che anzi contribuisce fortemente al soffocamento della vertenza. (17)
Lo stesso Serrati, su cui egli ripone non poche speranze, si rivela
sostanzialmente subalterno al gruppo dirigente riformista del PSI e
della CGL che arretra davanti alla richiesta di trasformare gli
scioperi in lotta aperta per il potere.
E' questa sconfitta a
spingere Gramsci verso un Bordiga che non smette di proclamare la
necessità di un nuovo partito. del tutto diverso da quello fondato a
Genova nel 1892. Nuovi compiti attendono il proletariato, occorre un
nuovo tipo di militante comunista, il partito va ricostruito a
partire dall'esperienza viva dell'illegalismo bolscevico:
"Noi - denuncia
Bordiga - siamo vissuti nella democrazia borghese: non abbiamo una
stanza per nascondere un compagno, non abbiamo un timbro per
falsificare i passaporti, non abbiamo cose che servano a questo
lavoro rivoluzionario. Noi consideriamo ancora il problema secondo la
vecchia mentalità: le armi il proletariato potrà trovarle, ma il
partito manca di mezzi tattici per l'azione che si chiama illegale;
ne manca completamente perchè si lascia attrarre dalle insidie della
democrazia borghese, che lo sovraccarica di compiti minimi e riesce
così a spezzare la sua azione". (18)
Nonostante le profonde
divergenze, i gruppi del 'Soviet' e de 'L' Ordine nuovo',
convergono ormai apertamente contro tutte quelle forze, massimalisti
in primo luogo, che si ostinano a non voler rompere con una
tradizione socialista ormai esausta. Agli inizi del maggio 1920
Gramsci è a Firenze come osservatore alla conferenza nazionale della
Frazione comunista astensionista. Nonostante sia colpito dalle
dimensioni consistenti raggiunte dalla Frazione, egli non nasconde le
sue perplessità rispetto al mantenimento della pregiudiziale
astensionista, base troppo "ristretta" per permettere la
nascita del partito comunista. (19)
L'occupazione delle fabbriche, con l'aperto rifiuto della direzione riformista del PSI e della CGL di assumere la direzione della lotta, è la definitiva conferma di quanto da sempre Bordiga va enunciando. Senza un forte e compatto partito rivoluzionario non esiste sbocco possibile ad una situazione che pure è rivoluzionaria. La lotta per il potere non si esaurisce nella fabbrica, ma deve investire direttamente lo Stato borghese.
L'occupazione delle fabbriche, con l'aperto rifiuto della direzione riformista del PSI e della CGL di assumere la direzione della lotta, è la definitiva conferma di quanto da sempre Bordiga va enunciando. Senza un forte e compatto partito rivoluzionario non esiste sbocco possibile ad una situazione che pure è rivoluzionaria. La lotta per il potere non si esaurisce nella fabbrica, ma deve investire direttamente lo Stato borghese.
Nell' ottobre 1920, a
poche settimane dalla chiusura del Secondo Congresso
dell'Internazionale comunista, si riuniscono a Milano le componenti
della sinistra socialista favorevoli all'espulsione dei riformisti e
alla trasformazione del PSI in un autentico partito comunista.
Bordiga, che a Mosca ha avuto sulla questione del parlamentarismo un
duro scontro con Lenin, rinuncia ufficialmente alla pregiudiziale
astensionista e si dichiara pronto ad accettare la partecipazione del
partito alle ormai prossime elezioni amministrative. La svolta di
Bordiga rimuove i residui ostacoli sulla via dell'unificazione dei
gruppi comunisti. Bordiga, Repossi, Fortichiari, Gramsci, Terracini,
Bombacci e Misiano vengono chiamati a far parte di un "Comitato
provvisorio della frazione comunista del Partito Socialista" che
subito nomina un esecutivo centrale formato da due astensionisti
(Bordiga e Fortichiari) e da un massimalista di sinistra (Bombacci).
L'esito della riunione
chiarisce che solo i bordighiani possiedono un peso tale da
supportare nazionalmente l'azione scissionistica. Gramsci rientra a
Torino pienamente conquistato all'inevitabilità della rottura,
fermamente convinto che se si intende realmente sbloccare in senso
rivoluzionario la situazione, occorre affidarsi a Bordiga la cui
frazione ha ormai solide ramificazioni un pò in tutta Italia. Ma
troppo è il tempo perso. L'unificazione avviene con il movimento
proletario costretto a difendersi dagli attacchi sempre più violenti
della reazione.
"Nella fase culmine
del dopoguerra - scrive uno dei protagonisti di quella stagione - la
rivoluzione proletaria non aveva avuto il suo partito e da questi una
organizzazione e una direzione adeguate a tale prospettiva, nè
l'opposizione, del resto assai viva nel PSI, era in grado di
sostituirlo in questo compito dato che i gruppi che facevano capo al
Soviet di Napoli avevano esaurito la loro capacità d'iniziativa in
un'azione infeconda basata sull'astensionismo politicamente troppo
unilaterale, angusto e scarsamente sentito dalle masse, e i gruppi
torinesi degli ordinovisti, chiusi nella città della grande
industria, erano caduti in una fase di scetticismo; falliti i
consigli nella grande prova come organi autosufficienti del
proletariato,erano stati abituati a credere ancora, nonostante tutto,
nel partito socialista e non nella necessità storica della
formazione del partito rivoluzionario". (20)
Si tratta di
considerazioni largamente condivisibili. (21) Chi, appoggiandosi
sulla riflessione critica che Gramsci fa nel '24 dell'intera
esperienza di Livorno, rimprovera a Bordiga di aver voluto una
scissione minoritaria, mostra di non cogliere la complessità della
fase e la brusca accelerazione dei tempi dello scontro di classe
rispetto ai tempi più lunghi della politica. (22) Se un appunto va
fatto a Bordiga è semmai di non avere tento conto a sufficienza del
fattore tempo. Se un limite c'è nel partito di Livorno, questo
consiste non nella sua troppo ristretta base di partenza, ma
nell'essere nato in ritardo rispetto ai tempi della rivoluzione,
quando il proletariato è già in piena ritirata sotto i colpi della
reazione fascista. Lenin stesso pare pensarlo, almeno a partire
dall'autunno 1920, quando ricorda ai compagni italiani che il
pericolo non consiste, come pare credere Serrati, nell' indebolimento
del PSI a causa dell'uscita dei comunisti, ma nel sabotaggio della
rivoluzione da parte dei massimalisti prigionieri dei loro scrupoli
unitari. (23)
Note
(9) "Bordiga
analizzò la situazione in Italia. Constatò la disfatta sul fronte,
la disorganizzazione dello Stato italiano e terminò con queste
parole: 'Bisogna agire. Il proletariato delle fabbriche è stanco. Ma
è armato. Noi dobbiamo agire'. Gramsci era dello stesso parere.
Serrati, Lazzari e la maggioranza dei presenti si pronunciarono per
il mantenimento della vecchia tattica: non aderire, né sabotare la
guerra". (G. Germanetto, Souvenirs d'un perruquier, Paris 1931,
p. 113. Nelle successive edizioni italiane, in ossequio alle
direttive togliattiane di non parlare affatto di Bordiga o di
parlarne male, il passo sparisce.
(10) Non concordiamo con
la tesi di Franco De Felice secondo cui Bordiga resta per tutto un
periodo convinto della possibilità di un recupero di gran parte
dell'area massimalista. (De Felice, Serrati, Bordiga, Gramsci e il
problema della rivoluzione in Italia 1919-1920, pp.129-130.
(11) B. Fortichiari,
Comunismo e revisionismo in Italia, Torino 1978, p. 38.
(12) E' quanto sostiene
O. Damen, figura storica del "bordighismo" italiano
(Gramsci tra marxismo e idealismo, Milano 1988, p. 80).
(13) L'atteggiamento di
Bordiga si spiega in parte con la frammentaria conoscenza delle reali
posizioni dei russi. Solo nel dicembre 1919, quando giunse in Italia
e fu pubblicato sull'Avanti, il testo dei due messaggi nei quali
Lenin esortava i comunisti dell'Europa occidentale a partecipare alle
elezioni politiche, risultò manifestamente chiaro che
l'astensionismo di principio era estraneo all'autentica esperienza
bolscevica. Nonostante ciò, la Frazione non aggiorna le proprie
posizioni. L'11 gennaio 1920 Bordiga manda una lunga lettera a Mosca
allegando i documenti della sua frazione. Il contrasto sulla tattica
si sposta dal PSI all'Internazionale comunista. Lenin, che deve già
fronteggiare l'operaismo esasperato della sinistra tedesca,
risponderà con l'opuscolo sull'estremismo. La lettera di Bordiga è
riprodotta in Storia della sinistra comunista 1919-1920, Milano 1972,
pp. 113-115.
(14) Cfr. a questo
proposito gli scritti raccolti in A. Gramsci, L'Ordine Nuovo, Torino
1975. Proprio su questa diversa valutazione del ruolo delle CdL si
compirà la rottura con Tasca e la maggioranza del gruppo
ordinovista. Cfr. per un'approfondita ricostruzione del contrasto nel
gruppo torinese lo studio di Francesco Trocchi (Angelo Tasca e l'
Ordine Nuovo, Milano 1973).
(15) A. Bordiga, Per la
costituzione dei consigli operai in Italia, Il Soviet 4 e 11 gennaio
- 1, 8 e 22 febbraio 1920; ora in Storia della sinistra comunista
1919-1920, cit., pp. 278-293.
(16) Sul ruolo dirigente
svolto da Bordiga nelle lotte operaie fra il 1918 e il 1919 si
sofferma in particolare la De Clementi. (Amadeo Bordiga, Torino 1971,
pp. 59-75).
(17) A. Gramsci, Per un
rinnovamento del Partito Socialista, L'Ordine Nuovo 8 maggio 1920;
ora in L'Ordine Nuovo, cit., pp. 116-123. Le Tesi avranno più
successo a Mosca nel corso del Secondo Congresso dell'Internazionale
Comunista. (Cfr. Lenin, Sul movimento operaio italiano, Roma 1970, p.
194).
(18) Storia della
sinistra comunista 1919-1920, cit., p. 353.
(19) Sui rapporti tra
Bordiga e Gramsci nel 1920 si sofferma Giuseppe Fiori che, però, a
nostro parere tende a dare un quadro troppo esasperato della
situazione. Cfr. G. Fiori, Vita di Antonio Gramsci, Bari 1973, p. 152
e sgg.
(20) O.Damen, Gramsci tra
marxismo e idealismo, cit., p. 83.
(21) Ritardi ed
esitazioni, quelle de 'L'Ordine Nuovo', di cui si trova conferma
nelle memorie di Umberto Terracini che testimonia come Gramsci si
ostinasse a lungo a ritenere "possibile imprimere un indirizzo
nuovo al PSI" (U. Terracini, Quando diventammo comunisti, Milano
1981, p. 40).
(22) "Fummo
sconfitti - scrive Gramsci nel 1924 - perchè la maggioranza del
proletariato organizzato politicamente ci diede torto, non venne con
noi, quantunque avessimo dalla nostra parte l'autorità e il
prestigio dell'Internazionale, che erano grandissimi e sui quali ci
eravamo fidati. Non avevamo saputo condurre una campagna sistematica,
tale da essere in grado di raggiungere e di costringere alla
riflessione tutti i nuclei e gli elementi costitutivi del partito
socialista, non avevamo saputo tradurre in linguaggio comprensibile a
ogni operaio e contadino italiano il significato di ognuno degli
avvenimenti italiani degli anni 1919-20 (...) Fummo -bisogna dirlo-
travolti dagli avvenimenti". (Contro il pessimismo, L'Ordine
Nuovo, 15 marzo 1924; ora in La costruzione del Partito Comunista,
Torino 1971, pp. 16-20).
(23) "Serrati -
scrive Lenin - teme che la scissione indebolisca il partito, in
particolar modo i sindacati, le cooperative ed i comuni. I comunisti
invece temono il sabotaggio della rivoluzione da parte dei
riformisti. Avendo nelle proprie file dei riformisti, non si può
vincere nella rivoluzione proletaria, non si può difenderla. Quindi
Serrati mette a repentaglio le sorti della rivoluzione per non
danneggiare l'amministrazione comunale di Milano. Oggi in Italia si
avvicinano battaglie decisive del proletariato contro la borghesia
per la conquista del potere statale. In un momento simile non solo è
assolutamente indispensabile allontanare dal partito i riformisti, i
turatiani, ma può esser utile persino allontanara da tutti i posti
di responsabilità anche degli eccellenti comunisti che sono
suscettibili di tentennare e manifestano delle esitazioni nel senso
della "unità" con i riformisti (...) il partito non si
indebolirà, ma si rafforzerà cento volte di più se i riformisti si
allontaneranno completamente dalle sue file e se dalla sua direzione
si allontaneranno anche eccellenti comunisti, come sono probabilmente
i membri dell'attuale direzione del partito, Baratono, Zannerini,
Bacci, Giacomini, Serrati". (Lenin, Sul movimento operaio
italiano, cit., pp. 202-218)
2. Continua