Giorgio Amico
Onore al vino di
Savona e a Gabriello Chiabrera che ne cantò la dolcezza
In questi giorni d'ozio
forzato la lettura è piacevole svago e navigando in quell'enorme biblioteca
online che è Google Books capita di fare scoperte affascinanti.
Nel 1874 nella sua "Guida
storica economica ed artistica della città di Savona", Nicolò Cesare
Garoni, "eruditissimo letterato" come viene descritto da un
suo biografo, delinea un quadro idilliaco della campagna savonese
compresa fra il torrente Quiliano e il Letimbro. Un piccolo,
fertilissimo, territorio, oggi in gran parte ricoperto di palazzi e
capannoni industriali, ma allora ancora in larga parte simile a
quello cantato due secoli prima dal Chiabrera.
"Il suolo della
Sabazia è la maggior parte calcareo, argilloso e siliceo. La celebre
primavera perpetua delle riviere ligustiche fiorisce nelle sue valli
e ne suoi orti, difesi da soffi acquilonari, un mese prima che nella
gran valle del Po e matura il mandorlo, la noce, il nocciuolo, la
giuggiola, il pruno; pesche che vincono di bontà e di bellezza le
celebri di Verona; il pero d'inverno, il gelso il carubbo, il limone,
l'arancio, l'arancina, Cypris aurantius sinensis, nel nostro volgare
chinotto, il melograno e ogni primizia di saporiti legumi: nei
giardini profuma i fiori più gai e sfoggiati, la rosa, il garofano,
il gelsomino, l'ortensia e la sempre verde mortella e il pomo di
Adamo e la palma. Sovra i colli educa l'ulivo e imbalsama l'uva.
I monti sono boschi di
castagni e i sommi gioghi selve di pini e di roveri. Oche, anitre,
galline, tortore e colombi popolano le corti e i giardini e i molini
e i ruscelli e i canali e la mattina colle acute grida risvegliano i
cacciatori: o colle lamentevoli voci accompagnano la quiete del
mezzogiorno e la mestizia della sera. Dappertutto ronzano le api,
intese al lavoro del miele, delizia degli uomini e degli Dei".
Ma sopra ogni cosa il
Garoni elogia il vino, prodotto d'eccellenza e orgoglio del
territorio. E nel farlo si appoggia sull'autorità del Chiabrera,
eccelso poeta, amante di Venere, ma non insensibile al richiamo di
Bacco. Nota il cronista:
"Il vino è pur
sempre il principal prodotto dell'agro savonese, quantunque dopo il
1850 la crittogama s'abbia divorata quasi metà delle viti. Gabriello
Chiabrera, che avea contezze e gusto degli ottimi vini d'Italia e
sedeva fra i bevitori gentili, non negava suo titolo d'onore a
ciascuno e amava quello di Savona".
Ed in effetti il poeta
compose un poemetto "Le vendemmie del Parnaso", dove il
vino di Savona, anche se non paragonabile ai più celebri vini del
tempo, è celebrato con affetto. Sono versi ancora oggi di piacevole
lettura. Ne abbiamo scelti alcuni. Quelli che, a nostro giudizio, meglio
rendono l'amore del poeta per quella campagna di Legino, dove aveva
villa e terre coltivate a vigneto:
XXXII.
Corri alla grotta, o Clori,
Trova la manna di Savona, e spilla;
Poi colma l'orlo de maggior bicchieri.
Tutta la fronte mia sudor distilla;
Che mal prenda i levrieri.
Da che la bella Aurora in cielo
apparse,
Finora i passi miei non fur mai fermi,
Chè delle fere le vestigia sparse
Cercai per poggi solitari ed ermi.
O forsennati cori,
Errar dal porto infra Cariddi e Scilla!
Vadan gli Adoni della caccia altieri:
A Bacco, che ci dà vita tranquilla,
Son servi i miei pensieri.
XXXIV.
Certo non è vin Greco,
Non Asprin, non Scalea,
Non Toscana Verdea,
Che titolo d'onor non aggia seco.
Tesor di Bacco puossi dire Albano:
Nè della Riccia la vendemmia è vile;
Ma dove sieda un bevitor gentile,
Veggo in aringo coronar Bracciano.
Se alcun giudice strano
Divulga altra sentenza,
Fugga la mia presenza,
Chè immantenente azzufferassi meco.
II.
Lodasi la vendemmia.
Parmi, caro Pizzardo,
L'Autunno a venir tardo,
Con tal desio l'aspetto;
E tanta smania in petto
Ho di tòrre alle viti
Gli acini coloriti:
Venturose giornate
A ragion desiate:
Veder chiome canute,
E fresca gioventute
Gir per la vigna intorno,
E come s'alza il giorno
I coltelli arrotare,
E i grappoli tagliare.
Alcuno è che racconcia
La pulita bigoncia;
Chi buon graticci appresta;
Altri riponsi in testa
Gran corba e gran paniere
Pien d'uve bianche e nere;
Chi pigia e cresce il vino
Al ben cerchiato tino.
Le vaghe forosette
Succinte in gonnellette
Fanno schiamazzo intanto,
E sollevano il canto
Gloria della vendemmia.
Gravissima bestemmia
Prenda l'uom che fa l'arte
Di ministrare a Marte
Micidiale acciaio;
Sia felice il bottajo:
Ei sol fabbrica in terra
L'arche dove si serra
Di Bacco il bel tesoro,
Bello vie più che l'oro.
XLI.
Che per la fredda stagione è da
bevere.
Gonfio le gote
Sorge Aquilon sdegnoso,
E con spirti di neve il bosco ombroso
Aspro percote,
E va torbido e reo
Sul regno di Nereo.
In gioghi alpini
Non segna orma destriero;
Nè si arrischia d'arar cauto nocchiero
Campi marini,
Ma vuol rinchiuso in porto
Dal buon Leneo conforto,
Al crudo verno
Moviam dolce battaglia,
Facciasi distillar mosto di Taglia,
Più buon Falerno:
Ciascun si rechi in mano
Gran tazza di Murano.
L'anno d'intorno
Sen va con vario stile;
Quinci a poco vedrem l'amato Aprile,
Aprile adorno,
E liberal de' fiori:
Or versa vino, o Clori.