Come il nostro
marinaio senza nome scopre che la navigazione più pericolosa è
quella nei ricordi (Sesto capitolo de Le illusioni d'Itaca)
Giorgio Amico
Le illusioni d'Itaca
6. Come nasce un amore
Tornò al paese con la
mente e il cuore in tumulto. Guidava lentamente, ripensando a ciò
che era appena accaduto. La storia con Giulia era stata importante
per lui. Vivendo con lei, amandola, aveva imparato a conoscere se
stesso, a sentirsi uomo. Prima timidamente poi senza più pudori o
inibizioni, si erano rivelati l'uno all'altra. Insieme avevano
scoperto i gesti antichi dell'amore, la forza casta e sfrenata del
desiderio, il linguaggio dolce e imperioso dei loro corpi giovani.
Erano stati felici, come solo si può esserlo a vent'anni. Troppo
felici forse. Ad un tratto aveva avuto paura. Si era sentito come
soffocare. E allora era partito. Senza preavviso, un giorno se ne era
andato. A cercare lontano da lei, dal suo paese, dai suoi vecchi
quella libertà che desiderava più di ogni altra cosa. Anche più di
Giulia. Dopo tanto tempo non riusciva ancora neppure lui a spiegarsi
bene come fosse accaduto. Forse come nella favola di Sinbad, aveva
semplicemente sentito voglia di partire per mare e si era imbarcato.
Oltrepassato il viadotto
dell'autostrada, la sua valle gli sembrò ancora più triste: una
terra desolata. Ne valevano a placarlo gli sprazzi di sole che
danzavano tra gli ulivi centenari. Nella sua vita aveva rinunziato
senza rimpianto a tante cose, lo sapeva bene. Giulia era stata solo
la prima di quelle rinunzie. Tante altre ne erano venute dopo. Senza
patemi aveva rifiutato la quotidianità di un lavoro stabile così
come il decoro borghese di una piccola vita ordinata. Aveva amato la
trasgressione, ricercato l'eccesso. Con gli anni era andato avanti
su questa strada, senza mai voltarsi indietro, senza provare
pentimenti o rimorsi. Ma ora non si sentiva più sicuro delle sue
scelte. Per la prima volta non era più certo di avere fatto la cosa
giusta. Confusamente sentiva che qualcosa in lui era cambiato. Che
dopo l'incontro con Giulia nulla sarebbe più stato come prima.
La giornata passò così
in un inutile girovagare. Poi le ombre arrugginite della sera
inghiottirono la valle.
Si era fermato ad un
tavolo d'osteria ed ora cenava, chiuso nei suoi pensieri, la fronte
abbassata sul piatto. Era un locale dall'aspetto antiquato. Una stufa
polverosa prendeva un angolo della stanza. Sui tavoli vecchi
giornali ingialliti. Vicino alla finestra che dava sul cortile
quattro pensionati giocavano alle carte. Parlavano tutt'insieme,
eppure non c'era confusione.
Due uomini in piedi a
fianco del bancone fumavano e discutevano di calcio: il fatto era che
niente era più quello di un tempo, dicevano. Neppure il calcio.
Continuando a mangiare, lui li guardava. Da tempo aveva capito che ad
un uomo poteva bastare trovarsi in compagnia di altri uomini la sera.
E allora perché corteggiare la rovina? Perché tornare indietro.
Come se fosse possibile, poi. Non poteva sortirne niente di buono.
Guardò l'orologio: era
tardi.
Fece un cenno di saluto
alla donna anziana infagottata in un grembiule, che in piedi dietro
il bancone trafficava alla macchina del caffè, ed uscì nella notte.
I giocatori di carte non alzarono neppure il capo.
I fari delle automobili
sulla provinciale illuminavano la campagna. Lampi di luce nel buio
grigio dell'asfalto. Sopra di lui fuggivano alte le stelle. Il suo
cuore era un campo di battaglia.
Più tardi, seduto nel
buio davanti alla sua casa, immerso nel concerto estivo dei grilli,
sentiva che Giulia sarebbe arrivata. Non avrebbe saputo dire perché,
ma ne era certo. Qualcosa era accaduto quel giorno che li aveva di
nuovo legati. Lo sentiva con tutta la forza del suo essere.
Fumando una sigaretta
dopo l'altra, l'aspettava e nell'attesa rivedeva come in un film ogni
istante della loro storia e una malinconia dolce lo pervadeva.
Con la memoria riandava
continuamente al momento del loro primo incontro. Tutto era accaduto
in un mattino di primavera inoltrata. Sedeva in un bar del centro,
sul tavolino davanti a sé una tazza di caffè, un pacchetto
sgualcito di Gauloises e una copia de I sotterranei. Lei era entrata
all'improvviso. Una studentessa come tante: giovane, carina. Si era
avvicinata al banco, aveva ordinato qualcosa. Poi si era voltata
verso di lui e l'aveva guardato, a lungo, con insistenza. La
profondità dei suoi occhi lo aveva colpito, quasi imbarazzato. Le
aveva sorriso. Era stato come un richiamo. Lei si era avvicinata.
- Cosa leggi? - aveva chiesto.
Senza aspettare la sua
risposta, aveva preso il libro dal tavolino, lo aveva sfogliato quasi
distrattamente.
- E' un libro bellissimo. - Gli aveva detto - L' ho letto anch'io, mi ha fatto piangere.
Lui l'aveva guardata
incuriosito, cercando di capire cosa significassero quelle parole.
Cosa quella sconosciuta volesse da lui. Poi aveva aperto il
volumetto, aveva cercato fra le pagine e si era messo a leggere a
voce alta:
" …adocchiando le
sue piccole grazie io ebbi semplicemente l'idea più lampante di
quante abbia mai avuto, l'idea che dovevo immergere il mio essere
solitario nel caldo bagno e nella salvazione delle sue cosce - le
intimità di giovani amanti a letto, distesi faccia a faccia, occhio
nell'occhio, petto sul petto nudo, organo nell'organo, ginocchio
contro ginocchio tremante, pelle d'oca, scambiarsi gesti esistenziali
e d'amore…".
Lei era arrossita, ma non
si era mossa. Era rimasta in piedi accanto a lui con una espressione
indefinibile sul viso. Erano usciti insieme dal bar e si erano
diretti verso la marina. Avevano percorso il lungo molo fino al
vecchio faro di mattoni rossi posto all'imboccatura del porto. Il
mare li circondava da tre lati. Alle loro spalle le case bianche
della città. Più dietro ancora le colline verdi addossate ai monti
grigi di Liguria. Dal largo lentamente un battello da pesca si
avvicinava seguito da uno svolazzo di gabbiani. Sentivano il sordo
ronfare del motore, le voci dei marinai, le grida rauche degli
uccelli marini. Lei lo guardava con l'espressione di un uccellino che
avesse appena rotto il guscio. Nei suoi occhi c'era festa.
- Mi piace questo posto, - gli aveva detto - mi è sempre piaciuto. Mi dà un senso di libertà assoluta.
Lui non aveva detto
nulla. Si era acceso una sigaretta e ne aveva tirato alcune boccate
guardando il mare. Poi si era voltato verso di lei.
- Ti piacerebbe andartene?
- Da dove?
- Da qui, da questa città, da questa vita.
- Perché mi chiedi queste cose?
- Avresti preferito che non te le chiedessi?
- Preferisco non parlarne
- Va bene . Se non vuoi.
Era rimasta in silenzio
per un po', assorta nei suoi pensieri, ma aveva presto ripreso a
parlare, con una voce incerta, esitante.
- Ci ho pensato, ci ho pensato molto. Sai. Non lo nego. Ci sono giorni in cui non penso ad altro.
- Ma…
- Ma poi mi sono venuti in mente i miei. Mia madre… penso che ne morirebbe.
Lui aveva riso. Una
risata cattiva, irridente. La ricordava ancora, quasi con vergogna.
Lei si era irrigidita.
- Non trattarmi così.
Ora non sembrava più
tanto fragile. Nei suoi occhi danzava una luce strana. Lui ne fu
impressionato. Si piegò verso di lei e la baciò. Le sue labbra
sapevano di sale.
Erano rimasti lì per
ore, seduti sui gradini consunti del vecchio faro. A parlare dei loro
sogni, dei loro desideri. Sospesi tra cielo e mare.
- È bello, vero? Vorrei che il tempo si fermasse, che tutto restasse com'è ora.
Dopo tanti anni pensava
che sì, tutto sarebbe dovuto restare come allora. Danza immobile nel
lieve spirare del vento.
Intanto tutto attorno a
lui nel buio il concerto dei grilli era divenuto assordante.
(continua)