Il
marinaio senza nome scopre che l'irrompere improvviso del passato non lascia indenni.(Settimo capitolo de Le illusioni
d'Itaca)
Giorgio Amico
Le illusioni d'Itaca
7. Giulia
Lei giunse a notte
inoltrata, quando ormai quasi disperava di vederla. Nel silenzio
notturno della collina le tenebre l'avvolgevano come un manto
stellato ed i suoi occhi sfolgoravano di una luce che lui non le
aveva mai visto.
- Sono qui - gli disse.
Non ci fu bisogno d'altre
parole. Fecero l'amore subito. Ma piano, senza affanno, totalmente
persi nell'innocenza di quei gesti antichi, di quel rituale senza
tempo.
Dopo, steso accanto a lei
sul letto sfatto, una sigaretta fra le dita, con gli occhi socchiusi
lui la guardava e il suo sguardo indugiava sui suoi seni pieni,
seguiva con tenerezza le rughe del suo volto, contava i primi, radi,
fili grigi nei suoi capelli. Giulia gli sembrava bellissima, come mai
prima gli era apparsa. Neppure negli anni più pazzi della loro
giovane felicità.
Lei parlava e la sua voce
sembrava venire da tanto lontano che egli la udiva a malapena.
Stretto a lei, la sentiva raccontare di amori finiti, di storie
andate male, di speranze deluse e intanto le accarezzava con dita
lievi i capelli. Una dolcezza sconosciuta lo aveva afferrato. I suoi
pensieri si muovevano lenti come le nuvole che nei giorni senza
vento increspano l'azzurro del cielo sopra gli ulivi argentati, come
le onde tremule che baciano il mare nei giorni di bonaccia. Intanto
dalle profondità frondose del bosco il rumore del vento fra gli
alberi era diventato un canto che dolcemente li cullava.
Gli parve di aver dormito
un'eternità. Guardò l'orologio sul comodino: erano solo le cinque.
Accanto a lui, Giulia respirava calma, la bocca un poco aperta. Aveva
sul volto l'espressione serena di una bambina. Si alzò, andò alla
finestra e l'aprì. Nel bosco il mattino schiariva nel canto degli
uccelli.
Ci si abitua presto alla
gioia, così come all'angoscia e alla disperazione. Si sentiva
pacificato. Un sonno greve lo prese di nuovo. Quando si risvegliò
era mattino inoltrato, fuori nel sole Giulia cantava sottovoce. Era
la prima volta da tanto tempo che la sentiva cantare e ne restò
turbato. La giornata era limpida. Dietro la casa api dorate danzavano
ronzando nei fiori del rosmarino. Incominciò a farsi la barba,
mentre in cucina lei trafficava a preparare le tazze per la
colazione.
Seduti a tavola,
sbocconcellavano lentamente gli avanzi di cibo che la madia
conservava dai giorni precedenti.
- Scusami, - lui le disse - non ho molto da offrirti.
- Non importa, una cosa vale l'altra.
- Non andare via, - riprese lui - resta qui.
- Non credo sia una buona idea, lasciami andare, ti prego.
Lui provò a dire
qualcosa. Un dito sulle labbra, lei gli fece segno di tacere.
Si fece silenzio tra
loro. Un moscone ronzava nella stanza, volava attorno al tavolo, poi,
attirato dalla luce, si incaponiva contro il vetro della finestra
alla ricerca di un'impossibile via d'uscita. Giulia lo fissava con
un'espressione enigmatica sul volto. Poi si alzò e andò in camera.
Ne uscì perfettamente vestita, preparata per andarsene. Lui capì
che niente sarebbe servito a fermarla, che non c'erano parole che
potessero trattenerla. Lei gli si avvicinò e lo baciò. La sua bocca
sapeva ancora di caffè. Lui le prese la mano. Dolcemente lei si
divincolò.
- Non essere triste, è giusto così - gli disse- Lo sai anche tu.
Ricacciò indietro le
parole che gli erano salite alle labbra. Sapeva che Giulia aveva
ragione, che le cose stavano proprio così. E d'altronde cosa avrebbe
potuto pretendere, dopo tanto tempo.
Dalla soglia stette a
guardarla allontanarsi in direzione del paese. Non distolse gli occhi
da lei finché la sua figura snella non scomparve dietro la svolta
del sentiero, allora lentamente rientrò in casa. L'inverno era di
nuovo nel suo cuore e, mentre il giorno intristiva nel lento stagnare
delle ore, anche il pianto era poca cosa.
Doveva fare qualcosa.
Sentiva il bisogno di sfogarsi. Di scaricare in qualche modo
l’amarezza che si sentiva crescere dentro. Dopo il pasto del
mezzogiorno (pochi bocconi trangugiati in fretta), si avviò verso il
passo in cima alla montagna. Il piccolo sentiero saliva ripido
attraverso il bosco prima fitto, poi sempre più rado finché, finiti
gli alberi ci si ritrovava allo scoperto sotto il sole cocente.
Incominciò a salire. Sotto di lui vedeva la sua casa e sul vecchio
tetto il gallo di latta che annunciava il vento. Quando il vento
spirava dalla costa, su nella casa sotto la montagna si sentiva il
profumo del mare. Era un odore acre che inebriava. Nei giorni ventosi
quei luoghi cambiavano d'aspetto: sotto la sferza del vento di
levante si agitavano convulse le chiome degli alberi e il monte
pareva prendere vita, scuotersi, tremolare.
Quel giorno non c'era
vento e il cielo rideva sopra la montagna sassosa. Saliva un passo
dopo l'altro, nella calura del meriggio, talvolta appoggiandosi ad un
masso e la croce arrugginita sulla vetta gli appariva come un
miraggio nella luce intensa. Poi il sentiero terminò: davanti a lui
una sfilata a perdita d'occhio di monti azzurrini, i monti di
Francia. Amava quelle creste lontane che avevano per lui il sapore
aspro della libertà e i contorni sfumati del sogno. Un cielo azzurro
le sovrastava, tanto limpido da far male. Un annuncio di quel cielo
di Provenza che aveva imparato a conoscere da giovane e che da allora
non gli era più uscito dal cuore, simile ad un richiamo ossessivo, a
un canto di sirene. Dietro quei monti, lo sapeva, c'era la valle del
Rodano con le sue vigne e le sue città dal candore accecante:
Avignone, Arles, Aix. E più sotto ancora la Camarga dei
gitani, dei cavalli e dei tori. Terra di poeti e di pittori, terra di
vento e di fuoco. Pensò a Mistral e ai troubadoures di un tempo,
pensò ai cantori della rinascita occitana. Gli tornarono in mente i
versi crudeli di Emile Bonnel, quello che più di tutti amava:
Entre la mar d'aigo
e lou desert di vigno
sus lou pelagnas
Ounte se courduron
li doua desesperanço,
l'alo di flamen
uiausso de sang
("Fra il mare
d'acqua/e il deserto di vigne,/sulla vasta distesa/dove
s'intrecciano/le due disperazioni,/ l'ala degli aironi/lampeggia di
sangue")
Delle sue vite precedenti
non era rimasto niente. Niente. Solo ricordi. Da giovane gli
piacevano le vie malfamate, i locali sordidi. Perdersi nella
confusione e nel rumore. Ricordava ancora la prima volta che era
stato a Genova. Ebbro di sole, si era immerso nei vicoli di Pre,
richiamato dall'afrore del mare. Mescolato agli operai del porto,
alle puttane e ai venditori di sigarette in via del Campo si era
sentito finalmente a casa. Gli ritornavano alla mente gli odori di
Lisbona, la luce bianca sulla città, le torri squadrate della
cattedrale e il minuscolo Bico do Espiritu Santo dove aveva
abitato. Riandava alla notte in cui, incantato dagli occhi neri di
una fadista, si era battuto con un marinaio ubriaco in un vicolo
dietro l'Igreja de S. Roque, su tra il Chado e il Bairro Alto e poi,
ancora ansante, si era andato a sedere ad un tavolino del Caffè
Brasileira, proprio accanto alla statua di Pessoa, a fianco degli
intellettuali, dei gay e dei turisti in cerca di emozioni.
Gli anni erano passati e
lui con loro, morendo un poco ogni giorno, cambiando nell'animo. Era
il silenzio ora ad attirarlo, il respiro profondo del tempo al di là
di ogni illusione/rappresentazione. Rivedeva lo spicchio di mare in
fondo alla viuzza di Bastia sotto le mura della cittadella genovese e
la grande nave bianca che dalla sua finestra un mattino aveva visto
passare come un gabbiano di sogno che fluttuasse nell'aria. Ripensava
alle verdi vallate d'Occitania, ai borghi silenziosi, ai pascoli
alti, alle danze frenetiche, ai libri di Fontan che parlavano di un
popolo dimenticato che non voleva morire.
Luoghi dove era stato,
dove aveva amato, dove si era sentito bene. Luoghi del suo passato,
stanze della memoria. Questo e poco altro gli era rimasto. Desiderio
di morire, volontà di vivere: a questo dilemma si era ridotta la sua
vita Una sete di infinito, di intensità, di assoluto lo consumava.
Attese che calassero le
prime ombre, poi incominciò a scendere. Giù in fondo la lunga linea
bianca della costa si intravedeva appena. Puntuale si accese ad
occidente la prima stella. Il canto solitario di un uccello lo
accolse nel bosco che la brezza serale come un brivido scuoteva a
preannunciare la notte. Tra gli alberi faceva caldo. Dai sentieri non
più battuti emanava forte l'odore delle felci.
Assorto nei suoi
pensieri, le spalle ingobbite, continuava ad andare giù per il
sentiero che portava alla sua casa. Nulla rimaneva della sua
giornata. Nulla. E mentre una brina gelida afferrava il suo cuore,
egli rendeva silenziosamente grazie del fatto che anche quella
giornata si fosse finalmente consumata.
(continua)