Continua il viaggio nel passato del marinaio senza nome. Quarto capitolo de Le illusioni d'Itaca.
Giorgio Amico
Le illusioni d'Itaca
4. La città sulla costa
Il giorno dopo si alzò
di buon mattino. La montagna sopra il bosco era invisibile nella
nebbia lattiginosa dell'alba. Si preparò in fretta, accese la prima
sigaretta della giornata e uscì nella frescura mattutina. Prese di
dietro alla casa per un viottolo che scendeva fra le fasce. Andava
tra muri d'orti con passo deciso senza pensare a nulla. Tutto attorno
a lui era silenzio, solo, a tratti, giù nella valle, vicino al
torrente, si sentiva il richiamo dei tordi. Questa volta non
attraversò il paese, ma si fermò sulla piazza accanto alla corriera
dei pendolari che sostava in attesa dei rari passeggeri. Dalla piazza
la montagna ora si vedeva nitidamente. Si distingueva anche la croce
che ne sovrastava la nuda cima, segno di un'antica devozione ormai
irrimediabilmente perduta. Piano piano il paese si risvegliava. Dal
fremito improvviso di una tendina si accorse che da una vecchia casa
lì accanto un volto lo sbirciava incuriosito.
Entrò nel bar per fare
colazione. Il viso del proprietario che dietro il bancone smanettava
alla macchina del caffè, gli era sconosciuto, né questi mostrò a
sua volta di riconoscerlo. Si sentì sollevato.
- Meglio così – pensò. Gli sarebbe stato insopportabile raccontare di sé, dare spiegazioni.
Più tardi, mentre in
auto percorreva la carrozzabile lungo il torrente, pensava alla sua
gioventù, agli anni passati a studiare in città, quando era stato
costretto ogni giorno a quell' andirivieni. Altri tempi, forse anche
altri luoghi. Anche se, vista dal finestrino, la valle non gli
pareva poi tanto diversa da allora, fatta eccezione per gli immigrati
(in prevalenza arabi e albanesi) che solitari o a gruppi vedeva
frettolosamente dirigersi verso le serre e i capannoni industriali
sorti a decine al posto dei vecchi orti. Simboli di una modernità
invadente, che nulla pareva ormai poter arrestare. Vittime
rassegnate, consapevoli della loro alterità, quegli uomini
camminavano curvi nel mattino, il capo abbassato, i pugni serrati
nelle tasche. Quella vista lo turbò. Immutata, pur nel cambiare
delle cose, gli apparve la tristezza di quei luoghi, indelebilmente
segnati anche nell'opulenza consumistica dell'oggi dall'antica
povertà di un tempo. Una miseria che l'austera bellezza dei borghi,
che punteggiavano le colline, non era mai riuscita del tutto ad
annullare e che ora la presenza stessa di quegli sventurati riportava
allo scoperto.
L'irrompere impetuoso dei
ricordi, che non riusciva a fermare, lo costrinse a ripensare a cosa
avevano rappresentato per lui quegli anni lontani, a ricordare che vi
era stato un tempo in cui anch’egli aveva creduto possibile il
cambiamento. Erano stati giorni febbrili. Giorni di speranza. Giorni
passati. Egli, che aveva visto deserti ed oceani, aveva ormai da
molto nel suo cuore strappata ogni immagine del mondo che non fosse
solitudine e silenzio. Da tempo per lui le parole non significavano
più nulla, non avevano più respiro le cose. Era come se l’avvenire
non esistesse più, come se si fosse condannato a vivere in un
presente senza fine.
In città cercò di
sbrigare in fretta i suoi affari. Questo era d'altronde il motivo per
cui era tornato. Doveva risolvere vecchie questioni legate alla
proprietà di poche fasce e della casa. Faccende senza alcun
interesse per lui, ma che andavano ora sbrigate, possibilmente in
fretta, se voleva davvero vendere tutto e andare via per sempre da
quei luoghi. Nell'ultimo ufficio che gli toccò di visitare (ed era
ormai quasi mezzogiorno) gli venne da sorridere al pensiero di sé
stesso ordinatamente in fila in attesa di essere intrattenuto da un
impiegato scorbutico, palesemente poco interessato al suo lavoro. Lui
che per tutta la vita aveva evitato con la massima cura ogni contatto
con quel mondo fatto di pratiche codificate, di moduli in triplice
copia, di timbri e di lunghe, pazienti attese. Lui che, interrotti
gli studi, se ne era andato per mare in cerca di una libertà
impossibile intravista sui libri. Lui, capace di vivere di niente,
pur di restare padrone di se stesso.
Uscito dall'ufficio,
trovò ad attenderlo un traffico caotico ed un acre sapore di zolfo
che prendeva alla gola. Il rumore e l'odore della strada, unitamente
al caldo soffocante lo misero di cattivo umore, piegò allora verso
la città vecchia attirato dall'invitante ombra dei vicoli. Svoltato
l'angolo non si sentivano più i rumori del traffico, né il puzzo
dei tubi di scappamento, ma solo odori di cibo, echi di
conversazioni, scampoli di trasmissioni televisive che fuoriuscivano
dalle finestre delle case e si riversavano in strada in un impasto di
suoni e sensazioni che gli ricordavano altri luoghi. Posti dove aveva
vissuto, dove lasciato una parte di se: i bicos di Alfama, i barrios
di Barcellona, i vicoli del Panier proprio dietro al Vieux-Port di
Marsiglia. Ancora una volta nei tranelli d'ombra dei carruggi, nel
caos babelico delle voci e dei rumori, negli odori forti che lo
circondavano sentiva recheggiare misterioso il richiamo archetipico
del mare.
Vagava per la città
senza una meta precisa. Lungo il viale alberato che portava alla
spiaggia i tavolini dei caffè erano affollati di gente intenta al
rito provinciale dell'aperitivo. Frotte di impiegati e di commesse
sciamavano dagli uffici e dai negozi per la pausa di mezzogiorno.
Dappertutto attorno a lui sentiva voci e risa. Una improbabile
felicità collettiva lo circondava. In pochi minuti arrivò alla
marina tappezzata di ombrelloni. Anche lì tanta folla. Sotto il sole
cocente di agosto la spiaggia brulicava di gente. Famiglie intere
entravano e uscivano dagli stabilimenti balneari. Sulla passeggiata
un bambino correva ridendo dietro ad una tortorella grigia. Attorno
ad una panchina un gruppo di giovanissimi discuteva animatamente.
Si fermò davanti ad un
piccolo ristorante dall'aria elegante. All'ingresso un cavalletto da
pittore sorreggeva un menù del giorno scritto con caratteri
ricercati. Si mise con attenzione a leggere la lista dei piatti come
lui e Giulia avevano fatto quella sera di tanti anni prima. Ricordava
tutto benissimo. Giovani e squattrinati si erano fermati a lungo lì
davanti, incerti se entrare o no, intimiditi dall'eleganza del
locale. Era stato lui a rompere il ghiaccio, ostentando una sicurezza
che non provava.
- Entriamo? Il menù mi pare eccellente.
- Vuoi davvero? - aveva chiesto lei, con una certa esitazione - mi sembra un po' troppo per noi. Se vuoi, possiamo cercare un posto più modesto.
- Figurati. Per questa sera possiamo permettercelo. Entriamo.
Un vecchio cameriere li
aveva fatti accomodare a un tavolo d'angolo elegantemente
apparecchiato. Ora attendeva pazientemente le loro ordinazioni.
Giulia scorreva il menù con l'entusiasmo di una bambina. Lui cercava
di capire se gli sarebbe bastato il denaro che aveva in tasca.
La sala era piccola, con
quadri alle pareti, separata dalla passeggiata da una grande vetrata.
Dalla cucina provenivano le voci dei cuochi. Erano gli unici giovani
lì dentro. Gli altri tavoli erano occupati da coppie di mezza età
che mangiavano in silenzio senza guardarsi. Loro, invece, per tutta
la sera non smisero un attimo di parlare, di ridere, di guardarsi
negli occhi.
- Noi non diventeremo così. - Aveva detto ad un tratto Giulia con voce d'improvviso divenuta seria.
- No. - Aveva risposto lui - Noi non saremo mai come loro.
Seduto accanto alla
vetrata, mangiava meccanicamente senza sentire il sapore del cibo,
guardando le macchine parcheggiate e la gente che andava avanti e
indietro sul marciapiede. Spiare brandelli di vita altrui e scrivere
di sentimenti che non provava più: questo era ormai diventata la sua
esistenza. Per questo aveva rinunciato a Giulia. Si sentiva logoro,
svuotato. Come se fosse arrivato alla fine di un cammino iniziato
tanti anni prima. Forse aveva ragione Paolo: era giunto anche per lui
il momento di fermarsi.
Finì di mangiare. Si
versò un ultimo bicchiere di vino. Poi chiese che gli portassero il
conto.
Dall'altra parte della
strada in un turbinio bianco di ali un vecchio gettava croste di pane
ai gabbiani che frenetici gli svolazzavano intorno.
(continua)