Girovagando nella
città sulla costa il marinaio senza nome scopre che al proprio
destino non si sfugge (Quinto capitolo de Le illusioni d'Itaca).
Giorgio Amico
Le illusioni d'Itaca
5. Incontri
Il pomeriggio passò
rapidamente in un inquieto girovagare da un locale all'altro che,
senza lasciare in lui memoria alcuna, accrebbe però quel senso di
insoddisfazione che sin dal mattino si portava dentro. Quei vicoli,
quelle piazzette, quelle strade, che erano stati testimoni di una
felicità passata, gli apparivano ora sempre più estranei. Si
sentiva fuori posto.
E poi fu notte. Il mare,
increspato dalla brezza serale, brillava sotto la luce argentea della
luna. Era uno spettacolo magnifico, che avrebbe dovuto infondergli un
senso di pace, ma proprio allora quel malessere vago che per tutto il
giorno lo aveva accompagnato divenne intollerabile. Si trovò a
pensare che anche in questo campo la sapevano lunga i poeti: le ore
peggiori sono proprio le ore della notte quando il peso dei ricordi
si fa insostenibile.
In piedi al bancone
dell'ultimo bar, un whisky davanti e la sigaretta fra le dita, gli
ritornò lancinante il ricordo di Giulia: nel loro amarsi e
respingersi un capriccio insensato li aveva divisi. Ma quale logica
c'è poi nell'amore ? Una volta un poeta aveva scritto che a letto
pensiero ed analitica non hanno più senso. Non ricordava più in
quale libro avesse trovato quella frase, ma concordava pienamente con
ciò che l'anonimo scrittore aveva voluto significare. La sua storia
con Giulia non ne era forse una dimostrazione eloquente?
Lei aveva lasciato la
famiglia perché i suoi non avevano accettato che avesse una
relazione con uno come lui. Uno spostato, un ribelle. Posta di fronte
alla scelta fra un tranquillo avvenire borghese e la folle felicità
del presente, lei aveva scelto senza esitazioni l'amore: un amore
vero, profondo, senza ipocrisie. Così si erano messi insieme. Due
stanzette all'ultimo piano di una vecchia casa su nei vicoli della
città alta erano state il loro mondo. Dalle finestre vedevano oltre
i tetti rossi delle case in basso l'azzurro luminoso del mare. Non
avevano bisogno d’altro che di stare insieme. Bastavano a se
stessi. Persi l’uno nell’altro.
Era stato bello finché
era durato. Poi l'inquietudine lo aveva ripreso ed era partito.
- Ti scriverò - Le aveva detto.
Ed infatti, arrivato a
Marsiglia, per un po' le aveva mandato delle lettere. Poi aveva
trovato un imbarco ed era sparito nel nulla. Non aveva cercato più
di rivederla.
Non gli piaceva il
riaffiorare dei ricordi dopo tanto tempo. Detestava la notte, ma
ancora di più questo pigro incedere dei pensieri che non porta da
nessuna parte, che arreca solo pena. Sentiva nausea come dopo una
sbornia o una notte in bianco. Silenziosa, nel ricordo Giulia lo
fissava con quella maniera che aveva di guardare che lo aveva sempre
sconcertato: uno sguardo diretto, senza infingimenti. Occhi pieni di
luce che parevano scavargli dentro, giungere fino ai suoi più intimi
pensieri. Fuori del bar, intanto, il vento era cresciuto e scuoteva
le tende.
E all'improvviso, mentre
l'odore vicino del mare e il rumore forte della risacca gli
riportavano alla memoria il profumo del corpo di Giulia sui cuscini
di un letto sfatto nella luce chiara del primo mattino, gli venne
voglia di andare a puttane, di perdersi fra le braccia di una donna
nelle luci e nei rumori della città. Gli parve un modo adeguato di
finire quella giornata. Un desiderio di abiezione lo prese, voglia di
annegare nella miseria che lo circondava, nello schifo che sentiva
montare dentro di sè fino a soffocarlo.
Camminava nella città
immersa nel silenzio della notte. Lontano dal centro anche il via vai
delle auto si era finalmente acquietato. Lungo i viali deserti
lampeggiava inutile il giallo dei semafori. Sulla piazza alberata
della stazione non c'era nessuno, tranne due ragazze di colore in
piedi vicino all'angolo dei taxi. Vestivano abitini succinti che
mettevano in risalto il bruno turgore delle carni. Attraversò
lentamente la strada sentendo sempre più forte il profumo da pochi
soldi dei loro corpi. Un desiderio cupo lo attanagliava, sentiva in
basso il suo inguine pulsare. Si fermò vicino a loro e aspettò
senza dire nulla, lasciando che fossero loro a prendere l'iniziativa.
- Ciao, - disse la più giovane con un abbozzo di sorriso- mi chiamo Debora. Vuoi scopare ? Sono brava, sai ?
- Andiamo - rispose lui e la seguì senza parlare nel buio della piazza.
Era andato con lei per
esorcizzare quell'inquietudine febbrile che non lo abbandonava, che
lo divorava. Ma ora in quella camera squallida, mentre lei si
spogliava, non provava più alcun desiderio. In qualche modo lei se
ne era accorta. Pazienti i suoi occhi lo fissavano incuriositi
mentre ordinatamente, con piccoli gesti continuava a togliersi i
vestiti. Lui non diceva niente, appoggiato alla finestra fumava
seguendo pensieroso i contorni pieni di quel corpo giovane che poco
a poco gli si disvelava. Infine fu nuda davanti a lui. A offrirsi
tutta, senza ipocrisie. L'innocenza di quella visione lo percosse
nell'intimo. Come lampi gli apparvero squarci della sua infanzia,
immagini di madonne e di sante. Brandelli di preghiera gli salirono
alle labbra dai recessi della memoria. Vestito, si sdraiò sul letto
accanto a lei, ben attento a non sfiorare la sacralità di quel corpo
nudo. Aveva voglia di piangere. Da troppo tempo era solo. Il suo
cuore sanguinante era una conchiglia vuota come quelle che da bambino
raccoglieva sulla spiaggia. Come loro sbiadito brandello di una vita
precedente.
Dolcemente lei gli toccò
la guancia.
- Che ti succede? A cosa stai pensando? Non ti piaccio?
Il dolore celato fino ad
allora crebbe dentro di lui come un fiume in piena. All'improvviso si
sentì stanco, stanco di essere uomo. Ora avrebbe voluto solamente
essere un bambino per piangere rannicchiato sul seno di quella
piccola donna.
Lei lo capì e non gli
chiese più nulla. Rosa mistica, fiore nero ripieno di Grazia, lo
cullava fra le sue braccia come un bimbo, come Maria, vergine e
madre, aveva stretto a sé Cristo appena deposto dalla croce.
Quella notte non tornò
alla vecchia casa di pietra sulla collina. D'altronde c'era abituato.
Da molto tempo ormai nessuno lo aspettava più la sera. Una sigaretta
dopo l'altra, aveva dalla spiaggia visto la notte attorno a lui
tramutarsi poco a poco, un quadrante del cielo dietro l'altro, in un
mattino sereno. La tristezza del grido dei gabbiani all'alba era
stato il saluto che il nuovo giorno gli aveva portato assieme alle
voci dei pescatori che uscivano in mare diretti ai banchi di ponente.
Improvvisamente una
strana sensazione di pace lo prese. Non sapeva neppure lui se fosse
effetto del tepore della notte mediterranea che lo aveva stretto per
ore nel suo abbraccio uterino o conseguenza del bere eccessivo della
sera precedente, ma nella luce amniotica del mattino si sentiva
finalmente riconciliato con la città. Al largo grandi nubi
rossastre fluttuavano come navi di porpora sul mare in direzione
della Corsica.
Un timido sole rosso, che
faceva capolino dalla tremula linea dell'orizzonte, valse a
riscuoterlo da quello stordimento. Nonostante il calore già
opprimente, sentiva il bisogno di qualcosa di caldo. Si mosse alla
ricerca di un bar aperto.
La città lentamente si
risvegliava. Alle spalle del porto il grande mercato coperto pulsava
di vita. Voci brusche, rumori di portiere sbattute, tonfi di
cassette scaricate dai camion, incrociarsi di richiami e di grida. In
un angolo un gatto nero dormiva rannicchiato incurante di tutto quel
frastuono. Dietro all'edificio moresco del mercato un piccolo slargo
ospitava i tavolini di un bar. Si sedette e attese. Una donna ancora
giovane uscì dalla porta a vetri: aveva capelli nerissimi e occhi
chiari color di cenere.
L'istinto gli disse di
alzarsi ed andarsene. Di farlo così, tutt' a un tratto, senza
esitazioni. Sarebbe stato tutto maledettamente più facile. E invece
restò seduto a quel tavolino, guardandola avvicinarsi.
- Ciao Giulia, - le disse e fu come colmare il vuoto di quei lunghi anni di separazione.
In un solo istante
comprese che tutto quello che gli era accaduto fino ad allora, le
cose che aveva fatto, i paesi visti, le donne incontrate e lasciate,
tutto era stato solo preparazione di quell'attimo. Lei lo fissava
senza parlare, incapace di fingere indifferenza. Fu come se nulla
esistesse più attorno a loro, come se il mondo si fosse
improvvisamente fermato. Sul volto di lei piccole rughe raccontavano
la storia di una vita. Un sentimento strano, una sorta di commozione,
lo prese come quando, da bambino, guardava la madre cucire seduta al
tavolo della cucina. Vicino a loro un passero saltellava innocente
fra i tavolini. Poi, quell'attimo di tregua finì. Senza dire una
parola lei si voltò e tornò dentro al bar. Lui la seguì. in un
angolo a fianco del bancone col volto rivolto contro la parete Giulia
si affannava a sistemare delle bottiglie su di uno scaffale,
apparentemente ignara della sua presenza.
- Giulia…, senti… - provò a dire senza ricevere risposta.
- Giulia…, io…- Riprese incerto.
Lei si voltò come una
furia, fissandolo con odio.
- Cosa vuoi da me? - gli gridò - Chi diavolo credi di essere? Spunti all'improvviso, dopo tanto tempo. Cosa ti aspettavi da me ? Cosa pensavi che avrei fatto? Che ti abbracciassi, che ti chiedessi di te. Come se non fosse successo niente, come se tutto questo tempo non fosse passato.
Lui fece un altro
tentativo.
- Giulia, credi: non pensavo di incontrarti. Non sapevo che…
Lei non lo lasciò
finire.
- Vattene. Vattene via. Hai capito? Vattene! Ti odio!
Fuori, mentre nell'afrore
mediterraneo del mercato il sole spaccava le finestre, il gatto nero
continuava a dormire nel suo angolo.
(continua)