A Marsiglia per
ritrovare il senso della propria vita. (Nono capitolo di Le illusioni
d'Itaca)
Giorgio Amico
Le illusioni d'Itaca
9. Alla ricerca della
felicità
Quando si svegliò il
sole splendeva alto sulla valle. La pioggia della notte aveva
ripulito l’aria. Il cielo era una sola macchia di cobalto. Tutto
era ormai chiaro dentro e fuori lui. Doveva andare da Giulia. Non
poteva più stare lontano da lei. Doveva vederla, parlarle e poi
accadesse pure ciò che doveva. Non ci poteva fare nulla. Quella era
la cosa da fare. Dalla vecchia credenza lo fissavano polverose le
foto ingiallite dei suoi vecchi. Quei volti tristemente sorridenti
guardavano verso di lui con l'espressione di chi si era aggrappato
alla terra come ad una speranza, di chi aveva fatto del lavoro una
preghiera. Parevano dirgli che al proprio destino non si sfugge. Che
non esiste evasione possibile dall’angoscia del vivere. Tranne la
terra, la casa, una donna, i figli a cui aggrapparsi con tutta la
forza possibile.
- Saggezza antica. Espressione di un mondo definitivamente tramontato. – pensava.
Eppure, più forte di
ogni ragionamento, cominciava a farsi strada in lui un confuso
sentire: quella era la sua terra, la sua gente, la sua casa. In
quella terra di frontiera battuta dal vento egli affondava le sue
radici.
All'improvviso il vento
si alzò fra gli ulivi. Aprì la finestra: era scirocco. Nel bosco
gli alberi tremolavano. In un attimo gli passarono davanti tutti i
luoghi che aveva visitato nella sua vita, le città intraviste dal
mare nel biancore del primo mattino, i vicoli senza sole di Genova,
il rumoroso caos di Marsiglia, le case bianche di Lisbona. Ricordi
lontani scacciati da quel pensiero che continuamente gli si
presentava, che non riusciva a cancellare, che lentamente prendeva
possesso di lui. Giulia e la sua terra erano la stessa cosa. Mai egli
si era veramente allontanato da loro. Nei luoghi più lontani, nel
deserto sconfinato degli oceani l’aveva sempre portate con sé.
Erano la sua anima, il fuoco che gli bruciava dentro. Quel pensiero
lo consolava, gli scaldava il cuore. Per la prima volta nella sua
vita si sentiva veramente parte di qualcosa.
Lentamente si riscosse.
Si voltò verso il tavolo. Schiacciò nel portacenere la sigaretta.
Poi, con un pudore nuovo che non si conosceva, aprì l'antina del
mobile, estrasse le due vecchie foto e delicatamente con i
polpastrelli le deterse dalla polvere. Una commozione forte lo prese.
Gli parve di comprendere il senso della vita. Fu la sensazione di un
attimo. Quasi con un senso di vergogna ripose le foto e chiuse
l'antina a vetri con gli stessi gesti solenni con cui un sacerdote
richiude il tabernacolo. In un qualche modo, non sapeva neppure lui
come, era come se un mistero profondo gli si fosse per un attimo
disvelato. Perso in quell'attimo gli era parso di comprendere il
senso del bene e del male, della vita e della morte, della gioia e
della sofferenza.
Ancora turbato si avviò
giù per il sentiero che conduceva al paese. La pioggia caduta nella
notte aveva lasciato sul terreno uno strato fitto di foglie fradice
che parevano ricordi caduti dal cielo.
Si ritrovò in città
quasi senza accorgersene. Parcheggiò l'auto nel grande spiazzo
alberato vicino al porto e si diresse verso il mercato. In un attimo
si trovò nella piazzetta assolata. Si accese una sigaretta e
aspirando profondamente spinse la porta del piccolo caffè ed entrò.
Tutto era esattamente come lo ricordava. Le stesse voci, gli stessi
rumori del mercato, gli stessi tavolini, le stesse tovagliette
colorate, persino il gatto nero che sonnecchiava nel suo angolo. Solo
Giulia non c'era. Da dietro il bancone del bar un volto sconosciuto
di donna lo fissava interrogativo.
- Sono un amico di Giulia, vorrei parlare con lei. È qui?
- No, Giulia non c'è. Se vuole riprovare in un altro momento.
- Se non le dispiace, aspetto qui fuori. Mi porti…
- No! - Lo interruppe bruscamente la donna – e’ inutile che aspetti. Giulia oggi non verrà. È andata via per qualche giorno.
Un senso di gelo lo
prese.
- Come è andata via? Così all'improvviso, poi, non è possibile!
- Allora non mi sono spiegata. - Riprese la donna ed ora c'era ostilità nella sua voce - Giulia è partita. Glielo assicuro, qui la non troverà.
- E allora mi dica dove posso trovarla. Avrà pure lasciato un indirizzo, un recapito, un numero di telefono. La prego, è importante.
Senza volerlo la sua voce
aveva preso un che di implorante, la donna ne fu colpita.
- Senta, non so cosa dirle. Giulia mi ha chiamato a casa per informarmi che partiva, che per qualche giorno non sarebbe venuta a lavorare nel bar. Non so dove sia andata Veramente, mi creda. Posso solo dirle che ogni tanto va a Marsiglia a trovare un'amica. Anche lei gestisce un bar, il "Solea", proprio a metà di Cours Julien, vicino alla stazione del metrò di Notre-Dame-du-Mont. Se vuole provare a cercarla lì …
Guidava meccanicamente.
Il traffico sulla grande autostrada era come sempre intenso. Una fila
ininterrotta di TIR andava in direzione del confine, ma lui, assorto
nei suoi pensieri, non se ne curava. Rifletteva su ciò che era
accaduto quel giorno.
Era andato da lei per
salutarla, per dirle che il giorno dopo sarebbe partito. Che aveva
sbrigato le sue faccende e che nulla lo tratteneva ormai lì. Che non
l’avrebbe più cercata. Che non voleva arrecarle nuova sofferenza.
Era andato dai lei sperando che lei lo fermasse, che gli fornisse un
motivo per restare, una ragione per vivere.
Proprio per questo ora
sentiva di non poter più partire. Non senza prima averla vista,
averle parlato. Aveva bisogno di stare con lei, per capire se la
desiderava realmente. Non sapeva che fare. Tutto era accaduto troppo
in fretta: il ritorno a casa, l'incontro con Giulia dopo tanto tempo,
l'irrompere imprevisto di un passato che pensava dimenticato. Niente
più gli appariva uguale a prima.
- Eppure ci deve essere un modo, - pensava - di ritrovarla.
Non poteva essere
scomparsa così, senza lasciare traccia. Ma dove cercarla ? Da dove
cominciare ? Doveva parlarne con qualcuno. Da un grill
sull'autostrada telefonò a Paolo.
- Ma perché vuoi trovare Giulia? E' evidente che lei non vuole vederti.
Non seppe cosa
rispondere. Si vergognava della risposta che spontanea gli era salita
alle labbra. Dopo tanti anni la parola amore era per lui
impronunciabile .
Riprese il suo cammino.
Il viaggio verso Marsiglia fu penoso. Dalla sua città il percorso
era breve, poche ore di strada. Meno di un attimo nella vita di un
uomo. Un'eternità per lui che correva sull'autostrada con il cuore
gola, sapendo di giocarsi la vita e che il suo tempo stava per
scadere. Di una cosa sola era certo mentre guidava disperato lungo
una strada che gli pareva non finire mai: voleva Giulia, la voleva
disperatamente, come mai gli era capitato prima di desiderare
qualcosa.
Accese la radio. Una
stazione locale trasmetteva musica folk. Si incantò ad ascoltare
Veronique Chalot cantare antiche ballate provenzali e bretoni. Non
aveva voglia di pensare, ma la dolcezza struggente delle canzoni lo
costringeva a tornare continuamente col pensiero a Giulia.
Erano anni che non
tornava a Marsiglia. Quella città gli piaceva. Gli era entrata nel
sangue. Gli piacevano le strade che portavano al porto, i vecchi
quartieri del centro, i vicoli in salita attorno alla scalinata delle
Accoules, le piazzette alberate su cui si aprivano bistrot affollati
di puttane stanche e di pensionati che giocavano alla belote, le
viuzze del Panier dagli strani nomi: rue du Refuge, rue de la
Lorette, rue des Pistoles, rue du Petit-Puits. Gli piacevano anche
le spiaggette sassose verso le calanche, quella costa bianca che era
ancora città e già aspra solitudine. Ma più di tutto lo aveva
sempre colpito la bellezza ambigua di quella città. Una città di
sole e di luce, che attirava e respingeva allo stesso tempo. Aveva
ragion chi aveva scritto che Marsiglia non è una città per turisti.
In effetti, non c'è niente da vedere. Al massimo un traghetto da
prendere per Ajaccio, Bastia, Algeri. A Marsiglia si va per vivere.
- O per morire – pensò
ricordando i libri di Izzo.
La città gli sembrò
molto cambiata. Quei quartieri del centro attorno al Vieux-Port in
cui aveva abitato e che ricordava pieni di vita gli apparvero
trasformati, quasi irriconoscibili. Da una parte grandi lavori di
risanamento urbano, interi isolati in via di ristrutturazione
circondati da palizzate ricoperte di graffiti metropolitani.
Dall'altra serrande abbassate, facciate cadenti, sporcizia per
terra, odore di miseria e di un degrado inarrestabile. Per quelle
strade si vedevano ormai quasi solo nordafricani, mentre dai muri
delle case i manifesti del Front National vomitavano il loro
messaggio d’odio. Da un'edicola i giornali del mattino (Le
Provençal, Le Monde, Libération, Le Figarò, Nice Matin) parlavano
della difficile situazione economica, della guerra in Medio Oriente,
della politica del governo, dell'emigrazione, della criminalità
dilagante. Proprio come in Italia, come in Portogallo, come in
Spagna. Dappertutto la stessa merda. Roba da vomitare.
Trovò senza difficoltà
il Solea. Beffardo, un cartello ricordava dalla serranda abbassata
che quello era il giorno di chiusura del locale. Una volta
probabilmente avrebbe preso la cosa come un segno del destino. Si
sarebbe girato e sarebbe tornato indietro, ma questa volta no! Non
aveva scelta. Era tornato a Marsiglia per Giulia. Doveva trovarla.
Decise di fermarsi in città. Camminando sulla Canebière vide un
bistrot aperto, uno degli ultimi rimasti in una via diventata una
ininterrotta sfilata di boutiques, e vi entrò. Rispetto al caldo
afoso di fuori nel locale faceva fresco. Si sedette su uno sgabello
davanti al bancone e ordinò un pastis. In sottofondo il sax alto di
Charlie Parker suonava April in Paris. Riconobbe la versione del '49
con il grande Ray Brown al basso e Stan Freeman al piano.
Si fermò a lungo a bere.
Seduto al bancone, fumava e ascoltava la musica. I muri del locale
erano ricoperti di fotografie di musicisti. In un angolo vicino
all'ingresso una statua a grandezza naturale di un sassofonista nero
ricordava agli avventori quale fosse la specialità del locale. Ad un
tratto si ritrovò a canticchiare la prima strofa di Done changed my
mind:
Babe, you don't want me,
whiles I'm loving kind,
Some day you gon' want
me, now i be done changed my mind.
(Bambina, tu non mi vuoi,
mentre io ti amo con tutto il cuore, / Un giorno mi vorrai, ed io
avrò cambiato idea)
Gli parve (o forse erano
i troppi pastis) che dalle pareti una folla di volti gli ricordassero
ironicamente che "A Marsiglia, anche per perdere bisogna sapersi
battere".
Si chiese dove mai
Jean-Claude Izzo avesse trovato la forza di scrivere una frase così.
Nonostante la malattia, nonostante la sofferenza. Fece uno sforzo per
rimandare indietro la malinconia che lo aveva preso.
- In culo a tutto il mondo - pensò.
Dal muro sopra di lui
Duke Ellington e Charlie Mingus gli sorridevano.
Si sentiva la bocca
impastata.
- Un autre, s'il vous plait. - Disse al barista che lo stava fissando senza vederlo.
Poi uscì in cerca di un
albergo dove passare la notte.
(continua)