Ci vuole del coraggio
per fare come Alice, perchè attraversare lo specchio vuol dire
ritrovarsi o perdersi dall’altra parte. Prima parte
di un testo (davvero molto bello) di Raffaele Salinari apparso sul
Manifesto alla fine dell'anno scorso.
Raffaele K. Salinari
Attraverso lo specchio
come fosse acqua
«Fingiamo di
poterci entrare, Frufrù, fingiamo che lo specchio sia
morbido come un velo, e che si possa attraversare.
To’, adesso sta diventando come una specie di nebbia…
Entrarci è la cosa più facile del mondo».
Ed ecco che Alice
attraversa lo specchio, diventato magicamente
fluido, per ritrovarsi in un altro spazio tempo; una
immagine affascinate, ripresa in altrettante
varianti da decine di racconti e pellicole.
Pura fantasia?
Niente affatto: ma allora, è possibile attraversare
uno specchio come accade all’eroina di Lewis Carrol?
La risposta,
mirabile dictu, è affermativa: è la
struttura stessa dello specchio che ci dà modo di giocare
con il potenziale di questa immagine poiché,
come constata Alice, il vetro è un fluido, una specie
di nebbiolina appunto, seppure di altissima
viscosità e con legami intermolecolari
ed attriti che ne mantengono inalterata la forma
per lunghissimi periodi; la sua natura essenziale
è quella di un liquido sottoraffreddato con
una cristallizzazione irregolare, più
o meno densa, come un’altra entità che molto gli
assomiglia: il tempo.
Rilke, nel terzo dei suoi
Sonetti a Orfeo, canta il mistero di questa analogia:
«Specchi, nessuno mai coscientemente ha
descritto la vostra vera essenza. Voi, intervalli del tempo,
crivelli fitti di innumerevoli buchi» mentre
Borges, il grande poeta spaventato dagli specchi,
prova a descriverne i confini: «Dove finisce
e inizia, inabitabile, l’impossibile
spazio dei riflessi».
Anche Giano, il dio
bifronte le cui facce guardavano verso tempi diversi, viene
rappresentato con volto speculare: due occhi
condannati a non guardarsi mai.
E allora, in attesa di
transitare fattualmente attraverso
l’impossibile spazio dei riflessi borghesiani, noi
procediamo quotidianamente verso un
altro passaggio: non nella materia specchiale, ma
nel tempo, anch’esso un fluido dalla natura frammentaria.
Specchiandoci, infatti, cosa vediamo se non il flusso del
tempo che passa? C’è da chiedersi se questo avviene
perché lo specchio, come gli orologi molli di Dalí,
fluisce lui stesso.
L’ingannevole
continuüm della vitrea materia, erratico come lo
è il tempo, riflette così esattamente la relazione
tra Kronos e Kairos, le facce speculari che
addensano o dilatano il suo corso. Lo specchio si
mostra dunque eracliteo, come l’acqua del fiume: in
esso si riflette perfettamente il panta rei, il tutto
che scorre. Non si può mirare due volte lo stesso specchio
poiché anche l’immagine che esso rimanda è sempre
diversa, eppure familiare.
È così
l’attraversamento dello spazio tempo specchiale crea Das
Unheimliche, il «perturbante», come lo
definiva Freud, cioè quel sentimento che nasce da ciò
che viene percepito come possibile ed
impossibile al tempo stesso, come un sottile quanto
avvertibile scollamento della realtà.
Attraverso lo
specchio
Ma se la materia
dello specchio non è omogenea in tutte le sue
parti, possiamo pure immaginare che le sue linee di
rottura, o di attraversamento, sono sempre
diverse, specifiche, in qualche modo correlate
con chi lo attraversa o lo frantuma.
E dunque non c’è
un solo modo di frantumare o attraversare lo
specchio: ad ognuno il suo. È questa, a ben
vedere, la costante che ritroviamo in tutta la letteratura
e nella cinematografia del genere: la natura
del transito, o della rottura, non è semplicemente
funzione della forma o della densità dello specchio,
ma dipende altresì dall’inclinazione dell’attraversatore, dal
suo clinamen; come nell’Opus magnum del processo
alchemico l’intento dell’operatore influenza la materia
operata, e vice versa.
Lo specchio che si
attraversa o si frantuma per ritrovarsi
o perdersi dall’altra parte, non è allora l’algido
e distante oggetto del verso di Mallarmé: «Oh specchio,
fredda acqua della noia nel tuo riquadro gelato…», bensì lo
Speculum majus di Vincent de Beauvais, morto nel
1264 che, nell’omonima enciclopedica opera, descrive
il Mondo quale immenso teatro catrottico in cui il Tutto si
specchia nel proprio riflesso, dove la Natura naturans
di Giordano Bruno e Spinoza si riflette, senza
decrescere, nella Natura naturata dell’uomo.
Secondo Maestro
Eckart (XVI sec.): «Il riflesso dello specchio nella luce del
sole è nel sole stesso; eppure sole e specchio
restano quello che sono. Lo stesso accade per Dio: egli si trova
nell’anima… eppure non è nell’anima, è il riflesso
dell’anima che è in Dio… Dio diventa così ogni creatura».
In questa visione
del mistico medioevale troviamo tutte le componenti
immaginali dello Speculum majus, quello che
attraverseranno personaggi letterari
come Alice e Lord Patchouge, o cinematografici
quali Orfeo ed il Poeta di Cocteau, dei comics come Mandrake
in lotta contro il malvagio popolo degli specchi,
o ancora quello in cui si trasformerà L’uomo di
vetro di Paul Valéry.
Lo specchio di
questi personaggi non solo si lascia attraversare,
ma si fa attraversare, accordando la propria
natura a quella dell’attraversatore; così come lo sguardo del
dio di Maestro Eckart trasmuta il suo stesso vedere nel
vedere di chi lo guarda.
Il tempo e lo stato
fisico dello specchio diventano così tutt’uno con
l’intento dell’attraversamento: in questo istante preciso,
in questo kairos, ci si ritrova di fronte a questo
specchio, e non ad un altro, che ora ricombina la sua
natura con quella del suo attraversatore, si fa
attraversare attraversandolo, mutando la
consistenza degli stati fisici che può assumere:
liquido, solido, gassoso.
Trasmutazione
specchiale
E allora, diversi sono
i modi di attraversamento e le conseguenti
trasformazioni di stato. Il passaggio
di Alice è in modalità sublimata, cioè dal solido
al gassoso direttamente: «Alice stava sulla mensola
del caminetto mentre diceva così, sebbene non sapesse
spiegarsi come fosse arrivata lassù. E certo il
cristallo cominciava a svanire, come una nebbia
lucente. L’istante dopo Alice attraversava lo specchio
e saltava agilmente nella stanza di dietro. La
prima cosa che fece fu di guardare se ci fosse il fuoco nel
caminetto, e fu tanto contenta di vedere che ce n’era
uno vero, pieno di fiamme vive, come quello che aveva lasciato nel
salotto».
La suggestione
è talmente forte che anche Topolino, in un
cortometraggio del 1936, attraversa lo
specchio come Alice, questa volta in modalità
liquida, cioè tuffandocisi dentro, per trovarsi
poi in un mondo fiabesco di oggetti animati.
L’onirismo del tuffo
attraverso lo specchio ridivenuto liquido mercé
la sua capacità trasmutante è ancora più
accentuato ed esplicito in due film di Cocteau.
Uno è Il sangue
di un poeta del 1930. Ecco la storia: un pittore dipinge un
volto sulla tela appena abbozzata. Improvvisamente
la bocca del disegno si mette a parlare; il pittore
cerca di farla tacere, ma le labbra gli segnano il palmo della
mano. Disperato le imprime su di una statua che, anch’essa,
comincia a parlare: dice insistentemente
al pittore di attraversare uno specchio se vuole
liberarsi di lei.
La statua: «Ti
resta una via d’uscita. Entrare nello specchio e passare
di là».
Il poeta: «Non si entra
negli specchi».
La statua: «Prova,
prova sempre».
Dapprima esitante,
il pittore tasta la consistenza vitrea dello specchio
poi, seguendo le suggestioni della statua, sale su una
sedia e, ad un tratto, si tuffa nello specchio divenuto
improvvisamente liquido e lo attraversa,
ritrovandosi in un mondo onirico dal quale
riemergerà, riattraversando lo specchio,
per infine distruggere la statua e trasformarsi
in essa.
Particolare
interessante, in una delle stanze che il poeta scruterà
nel suo viaggio allucinato, si vede una bambina
che sale su un caminetto, come Alice.
«Con Le sang d’un
poéte ho provato a girare la poesia come i fratelli
Williamson hanno girato il fondo del mare. Si trattava
di sprofondare in me stesso, nella mia notte, la campana
subacquea ch’essi calavano giù nel mare a grande
profondità. Bisognava sorprendere lo stato
poetico di cui molti negano l’esistenza… Naturalmente
è molto difficile avvicinare la poesia…
non vi nascondo che ho adoperato dei trucchi per
rendere la poesia vedibile e udibile». (J.
Cocteau, conferenza al Teatro Vieux-Colombier prima
della proiezione del film, 1932).
Ed infine, lo stesso
Cocteau torna sull’attraversamento dello specchio in
Orfeo. Ambientato nella Parigi anni cinquanta, Euridice
muore in un incidente stradale. Un misterioso
personaggio, Heuterbise, una sorta di angelo
custode del poeta, aiuta Orfeo ad attraversare uno
specchio perché egli possa recarsi nell’aldilà
e riportare indietro sua moglie. Gli fa indossare
dei guanti e gli dice: «Adesso voi attraverserete
lo specchio come fosse acqua, provate». Allo sguardo
attonito di Orfeo, continua: «Vi rivelo il segreto
dei segreti: gli specchi sono le porte attraverso le quali
la morte viene e va. Del resto, guardatevi tutta la
vita in uno specchio e vedrete la morte lavorare come
api in un alveare di vetro».
Orfeo, spinto dal suo
mentore, penetra a questo punto nello specchio,
dapprima esitando con la punta delle dita ricoperte
dai guanti.
A detta di Cocteau
lo specchio nel quale si tuffa il protagonista
di Le sang d’un poéte era costituito, per rendere
l’effetto di un vero e proprio attraversamento
in un liquido, da una vasca di mercurio in cui si immerge
l’attore! Qualche anno dopo Jean Marais, nella parte di Orfeo,
si limiterà a immergere nel mercurio solo
le dita guantate.
Il Manifesto – 20
dicembre 2013
(continua)