TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


giovedì 31 ottobre 2019

1907 Stalin a Venezia. Realtà storica o leggenda popolare?




Nel 1907 il giovane Stalin visse qualche mese esule a Venezia? Una leggenda o una verità storica misconosciuta? Raffaele K. Salinari (che avremo il piacere di incontrare a Savona il 19 p.v. presso la libreria Ubik, ma di questo parleremo nei prossimi giorni), già autore anni fa di un delizioso e pionieristico libriccino sull'argomento, recensisce un libro appena uscito in libreria che riapre la questione.

Raffaele K. Salinari

Intorno alla leggenda veneziana di Koba il terribile

Parlare ancora di Stalin, in questi tempi di revisionismo storico, può sembrare, da una parte, un riflesso tardo ideologico, dall’altra il voler romanticamente tornare su di una storia che, a tratti, rischia di assumere i toni dell’agiografia, se non addirittura del mito. Eppure il libro di Emanuele Termini, L’acqua alta e i denti del lupo (Exòrma, pp. 192, euro 16), si muove con estrema destrezza ed agilità letteraria tra questi due estremi, tornando a narrare la controversa, quanto affascinante, vicenda del «magnifico georgiano» forse di passaggio in Italia nel lontano 1907.

Il puzzle che lentamente si compone attraverso i capitoli ben documentati, descrive infatti un tornante della storia che, benché oramai relativamente lontano nel tempo, riesce ancora a gettare la sua luce sulla nostra spesso smemorata attualità, come quelle stelle morte da eoni ma la cui immagine remota ancora ci giunge dalle profondità del cosmo. Qui, nello spazio del «c’era una volta», in quel Grande Tempo sottratto alle cronologie ordinarie, rivive dunque un’avventura narrata certo altre volte, ma che come tutti i classici ogni volta si rinnova, brilla come un caleidoscopio di suggestioni inesauribili.

Siamo agli inizi del secolo breve, quando tutto ancora sembrava possibile perché ogni utopia creava il suo essere, e per ognuna di esse vi erano donne e uomini pronti a dare la vita. E il giovane rivoluzionario che viene descritto nelle prime pagine del libro, molto tempo prima della sua ultima mutazione nell’uomo d’acciaio, era certamente uno di questi. Dalla prima giovinezza, sino all’avventura italiana, la figura del protagonista si trasforma dunque seguendo le molteplici tracce di un passaggio che l’autore ricostruisce con l’aiuto di altrettante testimonianze, indizi, supposizioni, documentazioni, mai definitive ma attente a donare al lettore qualcosa di sempre più vicino alla verità dei fatti, per quanto possibile.

Sullo sfondo di un’Europa già sull’orlo dell’abisso ed una Russia zarista oramai morente, il nostro Koba, allora era questo il suo nome di battaglia, si imbarca dunque su un cargo diretto da Odessa ad Ancona, e poi dalla città della settimana rossa si avventura verso Venezia. Si trovano le prime testimonianze di tutto questo nelle storie scritte da un giornalista del Corriere Mercantile su una vecchia copia del Candido di Guareschi, che Termini ha ritrovato, o nella voce stessa dei proprietari dell’albergo Roma e Pace, oggi chiuso ma un tempo luogo di gran lusso, che vide gli amori clandestini del Duce, e forse un aitante georgiano chiedere lavoro.



L’autore ci propone così un piccolo classico tra giornalismo investigativo e ricostruzione storica. Passo dopo passo, intervista dopo intervista, tra padri mechitaristi e vecchie emeroteche, si dispiega sinuosa come un serpente ipnotico la leggenda di Giuseppe dal ghiaccio, come ancora viene chiamato in laguna.

Ma allora, Stalin è realmente venuto in Italia nel 1907? E se sì, perché? Ha fatto veramente il portiere di notte? E il campanaro a san Lazzaro degli Armeni? E Corto Maltese cosa c’entra in tutto questo? Perché Hugo Pratt fa parlare i due al telefono salvando così il bel marinaio dall’orecchio forato nientemeno che dal plotone di esecuzione?

Infine una confessione: anche chi scrive questa modesta recensione ha avuto la fortuna di vivere in prima persona la stessa passione del dare una risposta a queste domande. Per questo possiamo solo dire, a chi avesse ancora voglia di avventura e di avventurieri, di cosacchi e di rivoluzionari, che una storia così non può certo mancarla.

Il manifesto, 10 ottobre 2019