Terzo
capitolo della nostra Breve storia popolare della rivoluzione cubana
dove si racconta della prigionia di Fidel Castro, dell'esilio in
Messico, dell'incontro con il Che, della preparazione e dell'inizio
della guerriglia sulla Sierra Maestra.
Giorgio Amico
Breve storia popolare
della rivoluzione cubana 3.
Il prigioniero
dell'Isola dei Pini
Per l'assalto al Moncada
Fidel fu condannato a quindici anni di reclusione, suo fratello Raúl
a tredici, tutti gli altri imputati a pene minori. Tutti furono
rinchiusi nel carcere di massima sicurezza dell'Isola dei Pini dove,
dopo sette mesi di isolamento, a Fidel fu permesso di organizzare per
i suoi compagni dei corsi di
formazione politica.
Intanto cresceva nel paese anche in conseguenza ai fatti del Moncada
una diffusa opposizione al regime batistiano. Il Partito Socialista
Popolare, che pure si era dissociato dall'azione di Castro
considerata un'avventura priva di prospettive, tentava di incanalare
la protesta operaia per il peggioramento delle condizioni di vita
organizzando una lunga serie di scioperi e di manifestazioni. Anche
l'università, dove la popolarità di Fidel era altissima, era in
fermento. La stessa Chiesa cattolica, di fatto favorevole al regime,
di fronte agli eccessi della repressione si era sentita in dovere di
intervenire raccomandando il ritorno ad un clima di maggiore
concordia nazionale. Il 1 novembre 1954 Fulgenzio Batista venne
eletto, dopo elezioni farsa senza candidati d'opposizione, presidente
della repubblica. Nel febbraio dell'anno successivo il vicepresidente
degli Stati Uniti, Richard Nixon, si recò all' Avana a portare le
congratulazioni del governo americano, imitato poco dopo dal
direttore della CIA, Allen W. Dulles, che aveva appena organizzato il
rovesciamento del governo Arbenz in Guatemala. Intanto in carcere
Fidel rifletteva sul fallimento dell'azione del Moncada e sulla
necessità di garantire un'efficace guida politica al movimento
rivoluzionario, giungendo a conclusioni nei fatti pienamente
leniniste:
"Credo
fondamentalmente - scrive il 14 agosto 1954 in una lettera ad un
amico - che uno dei principali ostacoli che impediscono la creazione
dell'opposizione...sia l'eccesso di personalismi e di ambizioni dei
gruppi
e ... dei caudillos...La
situazione...mi ricorda gli sforzi di Martí per unire tutti i cubani
degni nella lotta per l'indipendenza... Devo innanzitutto organizzare
gli uomini del 26 Luglio e unire in un fascio indissolubile tutti i
combattenti, quelli in esilio, quelli in prigione, quelli liberi...
L'importanza di un simile nucleo perfettamente disciplinato darà una
forza incalcolabile alla... formazione di quadri di lotta per
l'organizzazione civile o insurrezionale. Da quel momento... un
grande movimento civile politico deve contare sulla forza necessaria
per prendere il potere, con mezzi pacifici o rivoluzionari, oppure
correre il rischio di essere sconfitto due soli mesi prima delle
elezioni, come l'ortodossia... Condizioni indispensabili per la
creazione di un vero movimento civile sono: ideologia, disciplina,
comando... Non si può organizzare un movimento in cui tutti credono
di avere il diritto di fare dichiarazioni pubbliche, e non si può
neanche sperare niente da un'organizzazione piena di gente anarchica
che alla prima difficoltà se ne va per la strada che gli sembra
migliore... L'apparato d'organizzazione e di propaganda deve essere
così potente da distruggere implacabilmente chiunque tenti di creare
frazioni, camarille, scissioni... Il programma deve contenere
un'esposizione piena, concreta e valida dei problemi sociali ed
economici che il paese deve affrontare, in modo che si possa inviare
alle masse un messaggio veramente nuovo e progressivo...
Soprattutto... le nostre energie non devono essere impiegate senza
costrutto...". (1)
All'inizio del 1955 un
comitato di madri di detenuti politici lanciò una campagna per
un'amnistia generale. Batista, desideroso di migliorare l'immagine
del regime, finì per accondiscendere, sperando in tal modo di
recuperare parte dell'opposizione. Il governo fece sapere che tutti i
prigionieri politici sarebbero stati liberati in cambio della
promessa di non tentare nuove azioni armate contro il regime.
Immediata e fiera fu la risposta di Fidel: il movimento di
liberazione non avrebbe sottoscritto patti con la tirannia. La
liberazione dei detenuti politici non poteva che essere
incondizionata.
" Noi non siamo
perturbatori di professione, nè ciechi fautori della violenza, se la
patria migliore che desideriamo può realizzarsi con le armi della
ragione e dell'intelligenza (...) La nazione cubana non ci vedrà mai
promotori di una guerra civile che si potrebbe evitare; e allo stesso
tempo ripeto che tutte le volte che a Cuba si presenteranno le
circostanze ignominiose che seguirono al colpo di stato del 10 marzo,
sarà un delitto rinunciare a promuovere l'inevitabile ribellione. Se
noi considerassimo che un mutamento di circostanze e un clima di
positive garanzie costituzionali esigesse un mutamento di tattica
nella lotta, opereremmo questo mutamento per rispetto agli interessi
e al desiderio della nazione, mai però in virtù di un compromesso
con il governo, che sarebbe vile e vergognoso". (2)
Il 3 maggio, il Congresso
approvò il progetto di amnistia che venne tre gioni più tardi
controfirmato da Batista. Il 15 maggio Fidel e tutti i suoi compagni
vennero scarcerati. L'arrivo di Fidel all'Avana fu trionfale. I
principali esponenti dell'opposizione assieme ai dirigenti del
Partito Ortodosso, della Federazione Universitaria e del movimento
degli studenti vennero alla stazione ad accogliere l'eroe del
Moncada. Nonostante dal carcere avesse richiesto lo svolgimento di
libere elezioni nel più breve tempo possibile quale condizione
fondamentale per il ristabilimento delle più elementari garanzie
costituzionali, Fidel non credeva che il regime di Batista fosse
riformabile per via parlamentare, tanto meno che il soggetto politico
adatto fosse l'ormai compromesso partito ortodosso. Tornato in
libertà, egli si dedicò pertanto a organizzare clandestinamente,
una nuova forza politica, anche nel nome erede diretta
dell'esperienza del Moncada: il Movimento 26 Luglio. Fidel,
consapevole della necessità di dover presto lasciare Cuba dove per
la repressione che aveva ripreso a infuriare si trovava
quotidianamente in pericolo di vita, sapeva bene che, prima di
partire per l'esilio, era necessario costruire una salda rete
organizzativa che preparasse il terreno per un nuovo tentativo
insurrezionale che non ripetesse più gli errori del Moncada.
Utilizzando in gran parte veterani del Moncada, ma anche forze nuove
venute al movimento dalla classe operaia e dall'università, a tempo
di record fu costituito un Direttorio nazionale di undici membri. (3)
A questo punto Fidel decise che era il momento di lasciare
definitivamente Cuba e il 7 luglio partì per il Messico, dove già
dal 24 giugno si era rifugiato suo fratello Raúl. Prima di partire,
il leader rivoluzionario affidò alla rivista "Bohemia" un
ultimo messaggio al popolo cubano:
"Lascio Cuba perchè
mi sono state chiuse tutte le porte per una lotta pacifica. Sei
settimane dopo essere stato scarcerato mi sono più che mai convinto
dell'intenzione del dittatore di restare al potere per vent'anni, a
qualsiasi costo, governando come ora attraverso il terrore e il
crimine, e ignorando la pazienza del popolo cubano, pazienza che ha i
suoi limiti. Come seguace di Martí, credo sia giunta l'ora di
appropriarci dei nostri diritti e non più di chiederli, di
combattere invece che di implorare. Andrò a vivere da qualche parte
nei Caraibi. Da viaggi come questo non si torna o si torna dopo la
decapitazione della tirannia". (4)
L'ESILIO MESSICANO
Giunto in Messico, Fidel
si mise alacremente all'opera per riorganizzare le fila del
Movimento, sia a livello legale, collegando fra di loro i gruppi di
esiliati dispersi fra il paese centroamericano, gli Stati Uniti, il
Costarica con lo scopo di raccogliere fondi, organizzare campagne di
solidarietà, diffondere materiale di propaganda, fare opera di
proselitismo nell'emigrazione antibatistiana; sia a livello
clandestino, raccogliendo armi e munizioni e pianificando
l'addestramento militare di un gruppo selezionato di combattenti per
il ritorno armato in patria. Il 2 agosto egli inviò a Faustino
Pérez (5) con l'ordine di diffonderlo in decine di migliaia di
esemplari il "Manifesto n.1 al popolo cubano". Il
programma, articolato su quindici punti, riprendeva radicalizzandole
le tesi contenute ne "La storia mi assolverà". Il
manifesto prevedeva la eliminazione del latifondismo, la
distribuzione della terra ai contadini, la partecipazione dei
lavoratori agli utili delle imprese, una drastica diminuzione degli
affitti, la nazionalizzazione dei servizi pubblici essenziali, la
riforma del sistema fiscale, eliminazione di ogni forma di
discriminazione "di razza e di sesso", la riorganizzazione
del sistema giudiziario, la confisca dei beni dei notabili del
regime. In quei giorni Fidel incontrò un altro esule, destinato a
diventare il suo più fedele compagno di lotta: il giovane medico
argentino Ernesto Guevara, riparato in Messico dopo il fallimento
dell'esperienza rivoluzionaria di Arbenz in Guatemala.
"Lo conobbi - ha
scritto il Che - in una di quelle fredde notti messicane e ricordo
che la nostra prima discussione riguardò problemi di politica
internazionale. Dopo poche ore di quella stessa notte, verso il
mattino, ero già diventato uno dei membri della futura spedizione".
(6)
Nel mese di ottobre,
grazie a un visto dell'ambasciata americana in Messico, Castro partì
per un giro di conferenze negli Stati Uniti al fine di incontrare
altri dirigenti dell'opposizione e di raccogliere fondi per la
spedizione che stava preparando. Dopo alcuni discorsi a New York e in
Florida, il governo cubano protestò e le autorità del servizio
immigrazione statunitense interruppero il soggiorno di Fidel e gli
ritirarono il visto per ulteriori viaggi. Prima di tornare in
Messico, dalle isole Bahamas Fidel inviò in patria un secondo
manifesto al popolo cubano in cui si affermava che la crisi crescente
dell'economia cubana, l'infuriare della repressione, i massacri di
operai, gli scontri quotidiani tra studenti e polizia, dimostravano
all'intero paese che la salvezza della patria non poteva che passare
per una rivoluzione non solo politica, ma anche sociale. Coerente con
queste premesse, Castro recise ogni rapporto con il vecchio partito
ortodosso e con i rappresentanti dell'opposizione moderata, rendendo
pubblica la costituzione di un nuovo movimento rivoluzionario, deciso
a portare fino alle estreme conseguenze la lotta contro la tirannide.
" Il Movimento 26
Luglio - dichiarò il 19 marzo 1956 - è l'organizzazione
rivoluzionaria di tutti gli uomini umili e che agisce in favore degli
umili. Se una speranza di riscatto esiste per la classe operaia
cubana, cui nulla possono offrire le varie camarille politiche, essa
è rappresentata da questo movimento, che è anche una speranza di
terra per i contadini che vivono come paria in quella patria che i
loro avi hanno liberato, una speranza di ritorno per quegli emigrati
che hanno dovuto abbandonare una terra che era la loro, ma che non
offriva né lavoro né vita, una speranza di pane per gli affamati e
di giustizia per gli oppressi (...) Il Movimento 26 Luglio lancia un
invito caloroso a serrare le fila e è pronto a accogliere tutti i
sinceri rivoluzionari di Cuba, senza riserva alcuna, da qualunque
partito provengano, quali che possano essere state le divergenze
passate. Il Movimento 26 Luglio rappresenta l'avvenire migliore e
più giusto per la patria e quest'impegno d'onore, solennemente preso
di fronte al popolo, sarà mantenuto". (7)
SI PREPARA LA GUERRIGLIA
L'addestramento militare
vero e proprio di quello che doveva essere il primo nucleo del futuro
esercito ribelle iniziò solo all'inizio del 1956 quando dal
Direttorio nazionale del Movimento 26 Luglio arrivarono a Fidel per
mezzo di Faustino Pérez e di Pedro Miret i primi finanziamenti.
Circa diecimila dollari raccolti a Cuba. All'inizio i futuri
guerriglieri, circa una sessantina, vennero alloggiati in sei
appartamenti la cui dislocazione era nota solo a Castro e al generale
Bayo, un vecchio combattente della repubblica spagnola al quale era
stato affidato il compito di curare l'addestramento militare degli
esuli. (8) La segretezza era totale, poichè era noto a tutti che in
Messico operavano numerose spie e agenti di Batista e che
l'ambasciata cubana pagava un considerevole numero di militari e
poliziotti messicani da utilizzare contro gli oppositori. Per
garantire meglio la sicurezza delle operazioni nella primavera venne
affittato il ranch Santa Rosa, vicino alla città di Chalco a una
quarantina di chilometri da Città del Messico. Il ranch si estendeva
per duecentocinquanta chilometri quadrati di terreno deserto e
montagnoso, dove i guerriglieri avrebbero potuto addestrarsi al
riparo da occhi indiscreti. Castro puntava molto sulla preparazione
fisica dei combattenti che, alloggiati in due campi allestiti sulle
montagne attorno al ranch, dovevano addestrarsi al combattimento e
alla sopravvivenza in un terreno inospitale con poca acqua e viveri
ridotti. Le armi, in gran parte acquistate negli Stati Uniti,
consistevano in venti fucili automatici Johnson, parecchie
mitragliette Thompson, venti fucili da caccia con mirino telescopico,
due fucili anticarro calibro 50, una mitragliatrice leggera Mauser e
numerose rivoltelle. Ma la polizia segreta di Batista e il servizio
segreto militare
( SIM ) non erano restati
con le mani in mano. In Messico operava il capo della sezione
investigativa della polizia, colonnello Orlando Piedra, inviato
da Batista per organizzare l'assassinio di Fidel. La sera del 20
giugno su richiesta di Piedra, la polizia messicana arrestò Fidel
Castro e con lui Universo Sánchez e Ramiro Valdés. (9) Nella notte
altri dodici cubani vennero arrestati nelle loro abitazioni. Dai
documenti rinvenuti nel corso dell'operazione, la polizia messicana
scoprì l'esistenza del ranch Santa Rosa e il pomeriggio del 24
giugno vi fece irruzione catturando Ernesto Che Guevara e altri
dodici combattenti. Immediatamente il governo cubano richiese
l'estradizione dei prigionieri. Juan Manuel Márquez (10), uno dei
principali dirigenti del Movimento 26 Luglio, tornò immediatamente
dagli Stati Uniti, dove stava raccogliendo fondi per acquistare armi,
e insieme a Raúl Castro riuscì a ingaggiare due dei più importanti
avvocati messicani. Venne lanciata una grandiosa campagna di
solidarietà con Fidel e i suoi compagni al fine di evitarne
l'estradizione. Decisivo fu l'intervento dell'ex presidente Lázaro
Cárdenas, eroe della rivoluzione messicana. Il 9 luglio vennero
liberati ventun ribelli e altri quattro la settimana seguente.
Fidel fu rilasciato il 24 luglio, il Che una settimana più tardi.
Come scrisse Guevara, i poliziotti messicani, nonostante fossero
pagati dall'ambasciata cubana, avevano "commesso l'errore
assurdo di non uccidere Fidel mentre era loro prigioniero".
Anche in Messico Castro era ormai agli occhi di molti una figura
leggendaria. Racconta una protagonista di quei giorni:
"Alto e ben rasato,
i capelli castano corti, vestito sobriamente e correttamente...si
distingueva tra tutti gli altri per il suo sguardo ed il suo
portamento... Ti dava l'impressione di essere nobile, sicuro,
deciso,,, estremamente sereno... La sua voce era pacata,
l'espressione grave, i modi calmi, gentili... La sua idea
fondamentale, la sua stella polare, era il "popolo"...".
(11)
La preparazione militare
riprese immediatamente in tre campi di addestramento situati nello
Yucatan e sulla costa sud-orientale del Messico. Fidel dal canto suo
rimase nella capitale per curare la preparazione dello sbarco. Mentre
in Messico la spedizione rischiava di abortire sul nascere, al
Cotorro, nei pressi dell'Avana, si era svolta una riunione la
direzione nazionale del Movimento 26 Luglio, alla quale aveva preso
parte anche Frank País, responsabile per la provincia d'Oriente.
(12) Nel corso dell'incontro era emersa la necessità di recuperare
altre armi. Dopo questa riunione, nel corso dell'estate Frank País
si recò due volte in Messico per coordinare il piano dell'invasione
con l'azione clandestina all'interno dell'isola. Il progetto
deliberato consisteva prevedeva lo sbarco a Cuba entro l'anno,
contemporaneamente in tutta la provincia d'Oriente dovevano scoppiare
rivolte armate per tenere impegnate il maggior numero possibile di
unità militari. Di ritorno a Cuba, Frank País assieme a Celia
Sánchez (13) ispezionò la costa orientale per scegliere il punto
più adatto per lo sbarco. Dopo un'accurata ricognizione venne
scelta la zona di Niquero, da dove a bordo di alcuni autocarri
predisposti dal Movimento, Fidel e gli altri combattenti potevano
essere facilmente trasportati sulla Sierra Maestra. (14) Dopo di che
fu inviato in Messico Manuel Echevarría perchè servisse da guida
alla spedizione. Alla fine di settembre Fidel Castro acquistò per
quarantamila dollari da Robert B. Erickson, un americano che viveva a
Città del Messico, uno yacht di dodici metri, il Granma, ormeggiato
nel porto di Tuxpán. Il motoscafo, un' imbarcazione di una dozzina
d'anni in buono stato di manutenzione, poteva trasportare venticinque
persone a pieno carico. Era dotato di due motori diesel e di serbatoi
della capacità di settemilacinquecento litri di carburante, il
minimo indispensabile per compiere la traversata fino a Cuba.
LA SPEDIZIONE DEL GRANMA
Il 19 novembre il capo di
Stato Maggiore dell'esercito dichiarava alla stampa de l'Avana che
non esistevano le condizioni per un ritorno clandestino degli esuli
considerato che "da un punto di vista tecnico, lo sbarco di un
gruppo di persone esaltate e indisciplinate, senza esperienza
militare, non poteva che rivelarsi un fallimento".
Contemporaneamente, però, veniva intensificato il pattugliamento
aereo e navale delle coste e poste in allerta le guarnigioni della
regione d'Oriente. Ciò rese a tutti evidente che il progetto di
spedizione non era più un segreto per il nemico e che occorreva
accelerare al massimo i tempi. La sera del 23 novembre ai comandanti
dei campi di addestramento giunse l'ordine di raggiungere
immediatamente con tutti gli uomini e l'equipaggiamento il porto di
Tuxpán. All'1,30 del mattino del 25 novembre 1956 il Granma salpò a
luci spente diretto a Cuba con 82 combattenti a bordo. Il tempo era
pessimo e la traversata assunse ben presto aspetti drammatici. Salvo
quattro o cinque membri della spedizione, il resto delle persone
imbarcate soffrì il mal di mare. Le terribili condizioni
atmosferiche, aggravate dal forte vento che spirava sul Golfo del
Messico, rallentarono il viaggio dell'imbarcazione che navigava già
sovraccarica, avendo a bordo ottantadue uomini con armi pesanti ed
equipaggiamento da campagna invece dei venticinque per i quali era
stata costruita. La rotta scelta prevedeva un gran giro a sud di
Cuba, costeggiando la Giamaica e le isole del Gran Caimano, per
sbarcare poi vicino alla località di Niquero. A causa del maltempo e
degli imprevisti la traversata, che doveva durare cinque giorni, si
protrasse per sette giorni e quattro ore. All'alba di venerdì 30
novembre, data convenuta per lo sbarco, il Granma si trovava solo a
tre quarti del percorso. Ma Frank País e gli altri responsabili dei
gruppi armati del Movimento 26 Luglio, ritenendo che Castro e i suoi
avessero già preso terra, lanciarono come convenuto il piano
insurrezionale che doveva servire da diversivo e distogliere
l'attenzione delle forze repressive batistiane dallo sbarco. Il piano
degli insorti era di attaccare a colpi di mortaio la caserma Moncada,
contemporaneamente altri due gruppi avrebbero preso d'assalto il
comando della polizia marittima e la sede della polizia nazionale,
mentre alla radio sarebbe stato letto un proclama alla popolazione.
Nonostante l'insurrezione fosse stata accuratamente programmata, le
cose si misero subito al peggio. Il gruppo che doveva bombardare il
Moncada venne intercettato dalla polizia e catturato senza che
potesse sparare un solo colpo. Nonostante non si potesse più fare
conto sul fattore sorpresa, alle 7 del mattino come convenuto Frank
País al comando di ventotto uomini attaccò il quartier generale
della polizia nazionale e della polizia marittima. Per la prima volta
gli insorti indossavano la divisa verde olivo con il bracciale
rosso-nero del Movimento 26 Luglio. Nella vicina Guantanamo, dove il
Movimento aveva operato in profondità tra gli operai, uno sciopero
generale paralizzò le fabbriche e il traffico ferroviario. Alle
undici della mattina, dopo cinque ore di combattimento, i rivoltosi
dovettero disperdersi lasciando sul terreno dodici caduti. Il giorno
stesso il governo per avere le mani libere nella repressione, decretò
una sospensione di quarantacinque giorni delle garanzie
costituzionali e lanciò un'ondata di arresti che decapitò il
movimento nelle principali città. Intanto il Granma procedeva con
molta lentezza verso la costa. Finalmente alle due del mattino del
due dicembre, quando ormai viveri, acqua e riserve di carburante
erano esaurite, apparve in lontananza la luce del faro di Capo Cruz.
Era ormai giorno fatto quando avvenne lo sbarco sulla spiaggia detta
di Las Coloradas. Come commentò in seguito il Che più che di uno
sbarco si trattò di un naufragio. Il battello, appesantito
dall'eccessivo carico, finì per incagliarsi nel fango a causa della
bassa marea. Fu ordinato agli uomini di raggiungere la terraferma
portando con se solo le armi individuali. Il resto
dell'equipaggiamento, le armi pesanti e le scorte di munizioni
andarono irrimediabilmente perdute. Raggiunta la riva, gli uomini si
trovarono in una palude di mangrovie, senza punti di riferimento
precisi e intralciati nei movimenti dalle armi e dagli zaini. Di quei
primi terribili giorni ha scritto il Che:
" Tardammo varie ore
a uscire dalla palude, dove ci aveva spinto l'imperizia e
l'irresponsabilità di un nostro compagno che si era detto esperto
conoscitore del luogo. Proseguimmo in terraferma, alla deriva,
inciampando continuamente; eravamo un esercito di ombre, di fantasmi,
che camminavano come seguendo l'impulso di un qualche oscuro
meccanismo psichico. Ai sette giorni di fame e di mal di mare
continuo della traversata, si sommarono altri tre terribili giorni a
terra. Al decimo giorno dalla partenza dal Messico, il 5 di dicembre,
nelle prime ore del mattino, dopo una marcia notturna interrotta più
volte per svenimenti, per crisi di stanchezza e per fare riposare la
truppa, raggiungemmo una località nota, paradossalmente, con il nome
di Alegría de Pío". (15)
IL COMBATTIMENTO DI
ALEGRIA DE RIO
Purtroppo lo sbarco non
era passato inosservato. Una imbarcazione di passaggio aveva
assistito all'incagliamento del Granma e aveva prontamente segnalato
il fatto alle autorità. Da Manzanillo unità della Guardia rurale e
un battaglione di fanteria erano stati inviati nella zona di Niquero
per intercettare gli invasori. Mercoledì cinque dicembre, dopo
appena quattro giorni che Castro e i suoi compagni erano sbarcati a
Cuba, la Guardia rurale, messa sulle tracce dei guerriglieri dalla
delazione di un contadino, tese un'imboscata e quasi annientò il
piccolo esercito rivoluzionario. Fidel e i suoi compagni furono
sorpresi in un radura ai bordi di un canneto e mitragliati dagli
aerei che sorvolavano i campi a bassa quota. Presi di sorpresa gli
uomini si sbandarono, qualcuno propose di arrendersi. In mezzo al
crepitare delle pallottole si udì allora la voce di Camilo
Cienfuegos (16) gridare: "Qui non si arrende nessuno...cazzo!".
Accerchiati dalle guardie batistiane, i guerriglieri si difesero
disperatamente, cercando scampo nella boscaglia e nei canneti. Tre
partecipanti alla spedizione furono uccisi, i restanti settantanove
si divisero in piccoli gruppi e si dispersero per la campagna nel
tentativo disperato di raggiungere la Sierra Maestra. L'esercito di
Batista scatenò una gigantesca caccia all'uomo; molti combattenti
presi prigionieri vennero trucidati sul posto, spesso dopo atroci
sevizie. Nel giro di pochi giorni ventidue patrioti vennero uccisi,
altri ventitrè catturati, mentre di diciannove non si seppe più
nulla. Degli ottantadue sbarcati dal Granma solo sedici riuscirono a
raggiungere i contrafforti boscosi della Sierra Maestra. Nei momenti
più difficili, mentre i ribelli tentavano disperatamente di rompere
l'accerchiamento e di sottrarsi alla cattura, Fidel continuò a
mostrare grande sicurezza e fiducia nelle possibilità di un'impresa
che sembrava ormai definitivamente compromessa. Come ricorda Faustino
Pérez:
"Fu una grande
lezione di fiducia e di ottimismo - oltre che di realismo - quella
che Fidel ci insegnò in quei giorni".
Dopo il combattimento di
Alegría de Pío Batista e i suoi generali erano ormai certi che
Castro fosse morto e il suo movimento annientato. Il 13 dicembre le
operazioni militari nella zona di Naquero vennero definitivamente
sospese e le unità da combattimento ritirate, mentre veniva revocata
l'attività di ricognizione aerea. Un comunicato ufficiale dell'alto
comando dell'esercito dichiarava che il movimento insurrezionale era
terminato e che erano stati identificati i corpi dei ribelli uccisi
fra i quali Fidel Castro e suo fratello Raúl. Divisi in piccoli
gruppi, senza sapere nulla gli uni degli altri, i superstiti
raggiunsero tra peripezie di ogni genere la Sierra Maestra, accolti
con simpatia dai contadini che vennero in loro aiuto, ospitandoli
nelle loro povere capanne. Tra il 13 e il 16 dicembre i combattenti
dispersi andarono via via raggruppandosi. Impresa che sarebbe stata
impossibile senza il disinteressato aiuto dei contadini, alcuni dei
quali addirittura batterono per giorni i sentieri della Sierra alla
ricerca di qualche altro superstite. Con il loro istintivo senso di
classe i contadini della Sierra avevano compreso che Fidel e i suoi
compagni, per quanto pochi e scarsamente armati, rappresentavano
l'unica loro reale speranza di riscatto. Argeo Gonzáles, all'epoca
un povero venditore ambulante della Sierra e fra i primi a unirsi ai
ribelli, spiega che la
"ragione per cui
tutti i contadini li aiutavano era perchè avevano compreso la lotta
contro la tirannia...I proprietari terrieri non permettevano che
altri lavorassero la terra, era tutta loro...I contadini non avevano
nessuna possibilità senza la rivoluzione".
Fidel aveva saputo
guadagnarsi la loro fiducia, difendendoli con le armi e rispettandoli
sempre a differenza delle truppe di Batista. Quando un soldato
entrava in una casa, ricorda Argeo,
"si prendeva il pane
e mangiava il pollo se c'era, si portava via una ragazza se ne
trovava una...ma i ribelli erano diversi; rispettavano tutto e era
così che si guadagnavano la fiducia".
Il 18 settembre Raul
Castro, Ciro Redondo, Efigenio Amejeiras, Armando Rodriguez e René
Rodriguez, si riunirono con il gruppo composto da Fidel Castro,
Faustino Perez e Universo Sanchez e con un terzo gruppo composto da
Ernesto Guevara, Juan Almeida, Camilo Cienfuegos e Ramiro Valdés. In
tutto dodici uomini a cui nei giorni successivi si aggiunsero Calixto
Garcia, Julio Diaz, Luis Crespo, Pancho Gonzales, Gustavo Aguilera e
pochi altri. Il 20 dicembre Fidel inviò Mongo Perez, un piccolo
proprietario terriero membro del Movimento 26 luglio, a Manzanillo e
a Santiago per informare i capi del Movimento che era ancora vivo e
in grado di combattere. In risposta dalla città arrivarono otto
fucili, un mitragliatore Thompson, nove candelotti di dinamite e
trecento proiettili. Alcuni giorni dopo Faustino Perez fu incaricato
di stabilire contatti regolari con Frank País e Armando Hart (17),
rispettivamente responsabili dell'organizzazione di Santiago e
dell'Avana. Mentre il piccolo esercito ribelle si consolidava sulle
montagne, in pianura la repressione si faceva sempre più feroce. Il
giorno di Natale ventisei giovani operai, quasi tutti iscritti al
Partito comunista, sospettati di simpatizzare per la guerriglia,
venivano strappati dalle loro case e brutalmente assassinati.
NOTE:
- In: H. Thomas, Storia di Cuba, Torino 1973, p. 647-48
- Da una lettera del 18/3/1955 in S.Tutino, cit., pp.218-219
- Fidel Castro, Pedro Miret, Jesús Montané, Melba Hernández, Haydée Santamaría, José Suárez Blanco, Pedro Celestino Aguilera, Nico López, Armando Hart, Faustino Pérez e Luis Bonito.
- T. Szulc, op.cit., pag. 224
- Medico. Uno dei principali organizzatori del Movimento 26 Luglio. Dirigente di primo piano della lotta nelle città. Nel primo governo rivoluzionario ministro per il recupero dei beni dei gerarchi della dittatura. Membro del CC del PCC.
- E. Guevara, Scritti, discorsi e diari di guerriglia, Torino 1969, p.8
- U. Melotti, op.cit., pag. 108
- Cubano di nascita, ma di padre spagnolo, Negli anni Venti ufficiale dell'esercito spagnolo. Durante la guerra civile combattè valorosamente dalla parte della repubblica. Membro del Partito comunista spagnolo. Dopo il 1939 in esilio prima a Cuba e poi in Messico. Morto a Cuba nel 1967. Autore del manuale, pubblicato anche in Italia nel 1968 : "Teoria e pratica della guerra di guerriglia".
- Universo Sanchéz, contadino della provincia di Matanzas. Dopo la rivoluzione comandante delle Forze Armate Ribelli (FAR) . Ramiro Valdés Menéndez, partecipante all'assalto del Moncada. Comandante di colonna. Dopo la rivoluzione ministro degli Interni e capo dei servizi segreti cubani. Membro dell'Ufficio Politico del Comitato Centrale del Partito Comunista Cubano.
- Juan Manuel Márquez, capo di Stato Maggiore in seconda della spedizione. Catturato dopo lo scontro di Alegría de Pio fu assassinato dalle guardie batistiane.
- H.Thomas, Storia di Cuba, cit., p. 667
- Frank País, uno dei più fulgidi eroi della Rivoluzione, entrò nel 1955 nel Movimento 26 Luglio con la sua organizzazione studentesca "Accion Revolucionaria Nacional". Fiduciario di Castro per l'intera provincia d'Oriente, organizzò un'efficace rete clandestina a Santiago e negli altri centri della provincia. Il suo assassinio nel luglio 1957 scatenò una massiccia protesta popolare.
- Celia Sanchez, figlia di un medico,rivestì un ruolo importantissimo sia nella lotta clandestina in pianura che nella Sierra, dove divenne segretaria personale di Castro. Ruolo mantenuto fino al momento della morte nel 1980.
- Cfr. Carlos Franqui, Il libro dei dodici, Milano 1968, pp. 93-95
- E. Guevara, cit., p.15
- Camilo Cienfuegos, figlio di anarchici spagnoli emigrati a Cuba, partecipa alle lotte studentesche del 1955. Costretto a emigrare, raggiunge il Messico dove si unisce a Castro. Comandante della colonna n.2, attraversa tutta l'isola da Oriente a Occidente, sbaragliando le truppe di Batista. Scomparso il 28 ottobre 1959 mentre era in volo da Camagüey all'Avana. Di lui Che Guevara ha lasciato uno splendido ritratto nella prefazione a "Guerra di guerriglia".
- Armando Hart, di famiglia piccolo borghese, partecipò attivamente alle lotte studentesche. Uno dei principali dirigenti della lotta nelle città. Responsabile del settore propaganda e organizzazione del Movimento 26 Luglio. Dopo la vittoria ministro dell'Istruzione. Membro dell'UP del PCC.