J.W. Waterhouse, the Magic Circle (1886)
Ultimo capitolo del libriccino sulla notte di San Giovanni. Questa volta parliamo di streghe, di quelle di Benevento, ma anche di quelle della nostra Liguria.
Giorgio Amico
I fuochi di San
Giovanni
La notte delle streghe
Come ogni momento di
passaggio, la notte di San Giovanni è densa di pericoli, popolata di
forze malefiche. Da mezzanotte all'alba spiriti dei morti, demoni e
streghe sono protagonisti di quel tempo sospeso. Nel Medioevo si
pensava che in quella notte tutte le streghe d'Europa, guidate da
Erodiade, Salomè e Diana, volassero nel buio per radunarsi a
Benevento sotto un grande noce. Un albero, il noce, che godeva di una
fama sinistra, perché considerato l’ultimo rifugio delle streghe
condannate al rogo. Esse potevano salvarsi dal supplizio
trasformandosi in spirito ed entrando nel più vicino tronco di noce,
per poi riacquistare la libertà al momento dell’abbattimento
dell’albero. Una credenza tanto diffusa che in molti luoghi il
taglio di un noce doveva essere preceduto da particolari formule
propiziatorie.
La leggenda aveva
contorni molto sfumati. Ad esempio non era chiaro neppure agli
abitanti di Benevento in quale località precisa sorgesse il noce
plurisecolare attorno al quale le fattucchiere intrecciavano le loro
danze sfrenate durante il solstizio d'estate. Ma tutti erano
assolutamente certi che esistesse veramente e che le streghe vi
giungessero in volo. Addirittura si conosceva la formula magica che
queste usavano per poter volare, dopo essersi cosparso il corpo di un
unguento magico:
“Unguento, unguento
mandame a la noce de
Beneviento
supra acqua et supra ad
vento
et supra ad omne
maltempo”.
Questa formula,
universalmente conosciuta e che ritroviamo in tutti i racconti
sulle streghe di Benevento, ha finito col rappresentare l'immagine di
maggior potenza evocativa del rituale preparatorio al volo notturno
ed è ritenuta espressione autentica del folklore popolare. (74) In
realtà le cose stanno in modo molto diverso e fanno pensare che le
origini di questa celebre formula siano da ricercare piuttosto negli
ambienti inquisitoriali ed in particolare in un processo per
stregoneria svoltosi a Todi nel 1428 nei cui atti si ritrova per la
prima volta. Un processo simile a tanti altri, istruito nei confronti
di una certa Matteuccia di Francesco, una contadina di circa
quarant'anni, herbaria (cioè guaritrice con le erbe), nel corso del
quale la poveretta rivelò sotto tortura ai giudici di essersi
recata più volte in volo al grande sabba di Benevento e di averlo
potuto fare proprio grazie a quella formula. E' nelle carte di Todi
che si ritrova per la prima volta la celebre formula e dunque non nei
cosiddetti «secoli bui» di un Medioevo barbarico, ma solo pochi
decenni prima della scoperta dell'America. Esaminate con attenzione,
quelle carte e quelle procedure fanno pensare che le dichiarazioni
della disgraziata Matteuccia non fossero poi tanto spontanee. In
sostanza la donna si sarebbe limitata, come il più delle volte
accadeva in quel tipo di processo, ad ammettere ciò che le veniva
richiesto, sottoscrivendo quanto, episodi e formule, gli inquisitori
le sottoponevano. (75)
Qualunque sia stata la
genesi della formula, essa si rivelò subito popolarissima, anche
perché andava a rafforzare la credenza popolare, questa si davvero
antichissima, che in certi periodi dell'anno le streghe potessero
introdursi nelle case per fare dispetti o portare la malasorte.
Proprio a Benevento le streghe erano chiamate Janare a causa della
loro propensione a penetrare nelle case attraverso le porte («ianua»
in latino) lasciate incustodite. È per questo motivo che durante la
notte di San Giovanni si usava mettere sale grosso sui davanzali
delle finestre o scope di saggina dietro le porte. La strega, curiosa
di conoscere il numero dei chicchi di sale o dei fili di saggina, si
sarebbe messa a contarli perdendo così tempo finché la luce
dell’alba non l'avesse costretta a fuggire via. Una credenza
diffusa anche in Liguria ancora nel Novecento, tanto che il
cantautore genovese Fabrizio De Andrè la riprende nella canzone «A
Cimma»:
“ti mettiàe ou brùgu rèdennu’nte ‘n cantùn
che se d’à cappa a
sgùggia ‘n cuxin-a stria
a xeùa de cuntà ‘e
pàgge che ghe sùn
‘a cimma a l’è za
pinn-a a l’è za cùxia.”
[Metterai la scopa dritta
in un angolo/ che se dalla cappa scivola in cucina la strega/ a forza
di contare le paglie che ci sono la cima è già piena e già cucita]
Storie analoghe si
trovano un po' in tutta Italia. Lo scrittore ottocentesco Cesare
Cantù narra in un suo racconto di ambientazione medievale come nella
notte di San Giovanni le campane dei villaggi lombardi non
smettessero di suonare affinché le streghe "a cui, se nol
sapeste, è spaventosissimo lo scampanio, non potessero cogliere le
erbe nocive, nè impedire con loro malizie che fossero colte le
profittevoli". (76)
Tanti erano i rimedi per
proteggersi dalle streghe in quella notte. A Roma si credeva che
fosse sufficiente portare dell'aglio sotto la camicia, insieme ad un
mazzetto di iperico, ruta ed artemisia. Un uso che troviamo citato in
un sonetto del Belli del 1834:
“Domani è San
Giuvanni? Ebbè fio mio,
qua stanotte chi
essercita er mestiere
de streghe, de stregoni e
fattucchiere
pe la quale er demonio è
er loro Dio,
se strasformeno in
bestie; e te dich'io
ch'a la fisionomia de
quelle fiere,
quantunque tutte-quante
nere nere
ce pòi raffugrà più
d'un giudio.
E accussì vanno tutti a
San Giuvanni,
che lui è er loro santo
protettore,
pe lo meno che sia, da un
zeimillanni.
Ma a me, co 'no scopijo
ar giustacore
e un capo-d'ajo o dua
sott'a li panni,
m'hanno da rispettà come
un zignore”. (77)
Non legato alle streghe,
ma comunque connesso al carattere magico della festa, e ancora oggi
diffusissimo un po' in tutta Italia, è l'uso di mangiare nel giorno
di San Giovanni un piatto di lumache ritenendo che porti fortuna.
Una credenza che si ricollega al simbolismo arcaico delle corna: “
Già si è spiegato – scrive Cattabiani – che il Cancro,
all'inizio del quale cade il solstizio estivo, è un segno d'acqua a
causa della luna. La lumaca, a sua volta, è un simbolo lunare, che
indica la rigenerazione periodica con i suoi cornetti che mostra e
ritira alternativamente, così come la luna appare e scompare nel suo
ciclo perenne di morte e rinascita. Sicché la lumaca è simbolo di
movimento nella permanenza e di fertilità, dunque di animale omologo
alla porta solstiziale.” (78)
Un simbolismo che si
perde nella notte dei tempi, ancora oggi tanto popolare che portare
un corno o fare il gesto delle corna è considerato da molti la più
efficace protezione contro la sfortuna.
E per finire...
Sibilla Aleramo
Come tutte le cose anche
la festa di San Giovanni non è passata indenne al vaglio del tempo.
I falò continuano ad illuminare le notti di giugno, ma hanno perso
quasi completamente la loro carica magica e sono diventati un
semplice spettacolo, vestigia di un passato di cui nessuno comprende
più l'autentico significato. E' una gioia malinconica quella dei
nostri falò, che ben si adatta ad una umanità che ha perso la
capacità di cogliere la magia profonda insita nel cosmo. Non è un
caso se nel corso di questo nostro breve viaggio lungo i sentieri del
mito abbiamo incontrato tanti poeti. Forse davvero oggi per cogliere
a fondo la carica potentemente magica della festa di San Giovanni
occorre avere cuore e occhi d'artista, o forse di bambino.
Matrimonio del Sole e
della Luna, del Fuoco e dell'Acqua, fusione degli elementi
primordiali, la notte di San Giovanni custodisce gelosamente il
segreto stesso della vita e per questo non smette di affascinare
anche noi, abitanti disincantati di un mondo senza più misteri. E'
il fascino dolcemente malinconico delle cose di un tempo che si
conservano con cura anche se non servono più. Ce lo ricorda Sibilla
Aleramo in suo appunto del 1938:
"Legna che arde.
Crepitio nel silenzio. Alari. Bastan due tizzi, spirito reduce, e un
palpitar di fiamma azzurra. Riassunta tutta la miracolosa vivacità
degli elementi. Più fresca d'un acqua corrente, più vicina del
vento alla segreta gioia della terra, cuore del tempo, rosso ganglio
eterno. Due tizzi fra alari anche di camino straniero, in una sosta
anche di un'ora sola. O un falò sotto fredde stelle, un rombo, una
scossa han destato minacciosi le case, s'esce al freddo aperto, i
campi s'accendono come in una notte di San Giovanni." (79)
74. Paolo Aldo Rossi,
L'unguento per volare al sabba, in: http://www.airesis.net/
75. Domenico Mammoli,
Processo alla strega Matteuccia di Francesco (Todi, 20 marzo 1428),
CISAM (Centro Italiano studi sul Basso Medioevo) 2013.
76. Cesare Cantù,
Margherita Pusterla, Torino, Stabilimento tipografico Fontana, 1843,
p. 177.
77. Giuseppe Gioachino
Belli, San Giuvan-de-giugno, in I sonetti, Milano, Feltrinelli, 1976,
Vol. II, p. 1159.
78. Cattabiani,
Calendario, cit. p. 240.
79. Sibilla Aleramo, Orsa
Minore. Note di taccuino e altre ancora, Milano, Feltrinelli, 2002,
p. 98.
10. Fine