Continua la puntuale ricostruzione
della storia dell'autonomia operaia da parte di DeriveApprodi. Il
quinto volume è dedicato all'Autonomia operai vicentina. Ne
proponiamo la quarta di copertina e una sintesi dell'introduzione..
Negli anni Settanta,
grazie agli «autonomi», l’alto vicentino smette di essere il
dormitorio all’ombra delle chiese del Veneto tradizionale.
Il territorio cambia di
segno e diventa un luogo dove si desidera e si pratica una vita
diversa, ci si conosce e si creano legami di solidarietà che poi
resisteranno anche a una dura repressione.
Qui nascono i «Gruppi sociali», dove la militanza è amicizia e l’amicizia è militanza. E per tutte le ventiquattro ore della giornata si è militanti, in quelle periferie che invece di essere i luoghi della riproduzione di una vita venduta alla fabbrica diventano i luoghi dove prendersi quello che serve a una vita degna di essere vissuta.
Qui nascono i «Gruppi sociali», dove la militanza è amicizia e l’amicizia è militanza. E per tutte le ventiquattro ore della giornata si è militanti, in quelle periferie che invece di essere i luoghi della riproduzione di una vita venduta alla fabbrica diventano i luoghi dove prendersi quello che serve a una vita degna di essere vissuta.
Nella sostanza, si è
trattato della prima generazione di giovani, e giovanissimi, che
hanno scelto ogni mezzo utile a evitare il lavoro di fabbrica a cui i
loro padri erano stati incatenati; la prima a dimostrare che si
poteva essere comunisti senza passare per l’inferno della fabbrica.
Tant’è che per sottrarsi al suo destino quei giovani
«scansafatiche» e pieni di desiderio, come migliaia e migliaia di
loro coetanei in tutta Italia, arrivarono a imbracciare il fucile.
Ma in quella scelta così
radicale ci sono aspetti che meritano attenzione: nessuna deriva
militarista e nessun «pentitismo». Perché non si è passato il
confine della «porta stretta» dell’omicidio politico, ma
soprattutto perché il radicamento sul territorio, i rapporti
amicali, una militanza modulata sulla profonda conoscenza dei luoghi
della lotta hanno permesso un’intelligenza dell’agire politico –
caso unico – che è riuscita poi ad attraversare il secolo portando
con sé la voglia di continuare a lottare.
Elisabetta Michielin
Introduzione
Che bel libro ha scritto
Donato il “rosso”. Rosso di capelli e di parte! Lo diciamo
subito. Un libro necessario perché ricostruisce con ricchezza e
passione un periodo cruciale della storia dei tentativi rivoluzionari
del nostro Paese e del territorio del nord est. Un esercizio di
scrittura e riflessione che tira fuori dalle tenebre una memoria
cancellata, consegnata alle aule di giustizia o alla memoria di chi
l’ha ricostruita solo per denigrarla o scongiurarne la possibile
riproposizione.
In particolare, Donato
ricostruisce il periodo che l’ha visto fra i protagonisti dei
Collettivi Politici Veneti nel territorio dell’alto vicentino
usando quasi esclusivamente i documenti prodotti dalla stessa
organizzazione e le interviste ai militanti di allora.
Una storia che non cede
mai al biografismo individuale e alle sue derive narcisistiche perché
sempre ancorata all’interno di un movimento che ha coinvolto decine
e decine di militanti e che tiene sempre insieme la soggettività e
il territorio dove questa soggettività è nata, si è sviluppata, ha
acquisito senso e inciso in modo concreto nei rapporti di potere e di
classe, finanche nel corpo vivo delle organizzazioni operaie. A
Donato riconosciamo il merito di essere riuscito a descriverla con
semplicità, senza enfasi. In pagine tra le più vive e coinvolgenti
del libro, la vediamo all’opera su vertenze specifiche riguardanti
l’orario di lavoro e l’imposizione della riassunzione di operai
licenziati, nelle campagne “lavorare tutti lavorare meno” con le
ronde e i picchetti contro il lavoro nero e l’uso degli
straordinari oppure in quelle per il diritto alla casa e
l’imposizione dei prezzi politici per i beni di prima necessità.
Eccoli allora gli autonomi all’opera, ragazze e ragazzi
giovanissimi che senza alcun senso di inferiorità o di sudditanza,
cominciano ad aprire le prime falle nelle strutture rigide del
sindacato che da tutta questa storia esce con le ossa rotte. La Cisl
in particolare, con i suoi quadri arroganti e patetici. Ma è con le
ronde, i picchetti e le assemblee strappate con un atto d’imperio
al padroncino e al sindacato che lo sguardo di Donato si fa più
attento e vigile. È dentro i singoli fatti ma anche al margine,
volutamente, e l’effetto per chi legge è di straniamento: ma
veramente accadevano queste cose? Sì, accadevano grazie a questi
ragazzi che oltre al pane pretendevano le rose: entrare ai concerti
gratis, mangiare gratis alle mense e ai ristoranti, occupare spazi di
socialità, muovere guerra all’eroina che intanto spazzava i paesi.
Ragazzi che volevano cambiare il mondo ma anche soddisfare
nell’immediato i bisogni e il desiderio di una socialità altra.
[…]
Un buon esempio di
ricostruzione storica, si diceva. Vero, perché l’altro aspetto
interessante di questo lavoro è che, più che un esercizio di
riflessione post – si tratti di rivendicazione o di critica – ha
invece la freschezza della storia che si costruisce momento per
momento. In sostanza il vecchio adagio “prima le lotte, poi la
teoria” vale anche nel caso del Collettivo vicentino. Con la
lettura di questi documenti e di questa ricostruzione siamo immersi
nella concretezza delle decisioni e dei comportamenti che si davano
momento per momento sia in relazione al luogo in cui vivevi e
all’intervento che giorno per giorno facevi, sia in relazione a ciò
che succedeva in Italia in quel momento, vale a dire i movimenti di
ristrutturazione in corso, i tentativi di sottrazione al comando
capitalistico e al lavoro di ampie fette di proletariato, il
confronto aspro e puntuale con le altre organizzazioni sia dal lato
della lotta armata che delle altre organizzazioni dell’Autonomia
operaia.
Improvvisamente, ci dice
Donato, questi ragazzi – alcuni anche ragazzini – non ci stanno
più alla disciplina. Così le due grandi agenzie di normalizzazione
e riproduzione sociale, la scuola e la fabbrica, cominciano a
svuotarsi e a ribaltarsi. Questi ragazzi non sono più disponibili a
entrare in fabbrica come i loro padri che nella fabbrica e contro la
fabbrica avevano lottato, pur avendo un rapporto con i loro padri.
Donato ricostruisce molto bene la storia precedente la nascita dei
Collettivi, la presenza di Lotta Continua, le maglie larghe del
sindacato, tornando indietro fino i lasciti della Resistenza.
Così, grazie agli
autonomi, l’alto vicentino smette di essere il luogo del riposo, il
dormitorio all’ombra delle chiese del Veneto tradizionale. Il
territorio cambia di segno e diventa il luogo dove si desidera e si
pratica una vita diversa, ci si conosce e si creano legami di
solidarietà che poi resisteranno anche alla repressione. [...]
L'autore
DONATO TAGLIAPIETRA
(1954) è mercante
d’antiquariato. Nella seconda metà degli anni ’70 ha militato
nei Collettivi Politici Veneti. Nel 1980, dopo un anno e mezzo di
latitanza viene arrestato e sconta tre anni di carcere. Nel 2007
contribuisce alla costruzione del movimento «No Dal Molin», contro
la nuova base militare americana. Negli anni successivi ricompone
l’archivio dei materiali militanti che era andato disperso dalla
repressione e lavora alla scrittura di questo libro.
Donato Tagliapietra
Gli autonomi
L’autonomia operaia vicentina.
Dalla rivolta di Valdagno alla repressione
Gli autonomi
L’autonomia operaia vicentina.
Dalla rivolta di Valdagno alla repressione
Derive Approdi 2019
2019
€ 19,00
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