La
festa di San Giovanni è una festa solstiziale e dunque segnata dalla
duplicità. Festa solare, ma anche lunare e pertanto nel segno del principio sia maschile che femminile. Da qui il suo mistero, ma anche la sua poesia.
Il primo capitolo introduce questi concetti.
Giorgio
Amico
I fuochi
di San Giovanni
Il Sole e
la Luna/ Una festa
solstiziale
“Al solstizio d'estate,
quando il sole raggiunge la sua massima declinazione positiva
rispetto all'equatore celeste per poi riprendere il cammino inverso,
comincia l'estate. Questo giorno, la cui data ha variato secondo i
calendari fra il 19 e il 25 di giugno, era considerato nelle
tradizioni precristiane un tempo sacro, ancor oggi celebrato dalla
religiosità popolare con una festa che cade qualche giorno dopo il
solstizio, il 24 giugno, quando nel calendario liturgico della Chiesa
latina si ricorda la Natività di san Giovanni Battista. una festa
molto antica se già Agostino la ricorda nella Chiesa africana
latina”. (9)
Così Alfredo Cattabiani,
studioso di storia delle religioni, di simbolismo e di tradizioni
popolari, introduce in un libro dedicato alle feste, i miti, le
leggende e i riti dell'anno, il tema delle «nozze
del sole e della luna»,
che è l'autentico cuore della festa di San Giovanni. In questo
giorno infatti il Sole, simbolo del fuoco, entra nel segno del
Cancro, segno d’acqua dominato dalla Luna. Secondo il pensiero
tradizionale in questa notte il Sole e la Luna, di cui la figura del
Re e della Regina sono rappresentazioni simboliche, si fondono in
una ierogamia, un matrimonio sacro
generatore di vita. Una immagine ripresa poi in innumerevoli
rappresentazioni alchemiche a simboleggiare l'unione dei contrari che
ricompone per un attimo l'unità primordiale.
Per comprendere meglio
l'importanza del giorno lasciamo per un attimo il linguaggio
sfuggente dei simboli tanto caro agli esoteristi e ai poeti e
scendiamo sul terreno solido della scienza. Solstizio, dal latino
sol-sistere il fermarsi del moto solare, è termine astronomico e
indica quel momento fondamentale dell'anno in cui il Sole raggiunge,
nel suo moto apparente lungo l'eclittica, il punto di declinazione
massima (21 giugno) o minima (21 dicembre). Nel nostro emisfero i due
solstizi segnano rispettivamente l'inizio dell'estate e dell'inverno.
Il 21 giugno il giorno raggiunge la sua massima durata. Dopo tre
giorni di stasi, a partire dal 24, le ore di luce si riducono, il
sole sembra essere sempre più basso sull'orizzonte. Inizia un ciclo
di sei mesi destinato a concludersi il 21 dicembre, il giorno più
corto. Da questo momento ricomincia il secondo ciclo che si
concluderà a giugno: il sole progressivamente si alza
sull'orizzonte, i giorni si allungano, la luce diventa più intensa.
E così tutti gli anni, in una circolarità che va al di là del
tempo e assume agli occhi dell'uomo perennemente prigioniero del
presente il senso dell'eterno e della libertà da ogni genere di
costrizione. Atemporalità e libertà che sono, da sempre,
caratteristiche primarie del sacro.
Tornando al linguaggio
fiorito del simbolo, in tutte culture i solstizi (le due porte del
cielo) rappresentano il dramma cosmico della morte e della rinascita
del Sole, ovvero l'avvicendarsi nel corso dell'anno delle stagioni e
del ciclo della vegetazione. Una concezione antichissima, risalente
almeno ai primordi della cultura greca e simboleggiata dalla caverna
cosmica, tanto che la ritroviamo in Omero che così ne parla nel XIII
libro dell'Odissea: “Vi sono fonti di acqua perenne e la grotta ha
due entrate, una per i mortali verso occidente, l'altra ad oriente,
per gli immortali: da questa non passano gli uomini; è la via
riservata agli dei.” (10)
Nel mondo greco-romano i
solstizi segnavano una ciclica sospensione del tempo e la rottura
di ogni separazione fra il mondo celeste, il mondo infero e mondo
terreno. In quelle notti si aprono le porte che mettono in
comunicazione i regni dei morti, dei vivi e degli dei, collegati fra
loro dall'albero sacro o albero della vita di cui la croce
rappresenta con l'intersecarsi delle sue due linee, quella verticale
della vita e quella orizzontale della morte, il simbolo più diffuso.
Il solstizio d'inverno rappresenta la «Ianua
Coeli» o «porta
degli dei» , attraverso cui gli dei si manifestano agli uomini e il
solstizio d'estate, la «Ianua
inferi» o «porta degli
uomini», attraverso cui gli uomini entrano in contatto con il
numinoso, ma anche si manifestano le potenze oscure che abitano i
mondi inferiori. Da qui il carattere ambiguo, benefico, ma anche
potenzialmente pericoloso, della festa.
L’Albero della Vita nell’affresco dell’abbazia di Sesto al Reghena. Cristo è crocifisso sul melograno, simbolo di vita e di fecondità
La fabbrica del mito
Riflettendo su questo
simbolismo, che resta profondamente omogeneo pur nel succedersi delle
culture, si comprende come per passaggi successivi, tra cui
l'incontro con il folklore celtico e la mitologia germanica, la notte
del 24 giugno diventi la notte delle streghe o, come nell'opera
scespiriana, delle fate e dei folletti. In quelle ore cariche di
pathos le porte dei regni oscuri sono spalancate e nulla separa più
gli uomini dalle potenze che vi abitano. Secondo la tradizione
germanica i morti usciti dalle tombe si riuniscono per la caccia, e
non di rado si uniscono agli elfi. Questi fantasmi formano un pauroso
esercito che vaga per montagne e vallate. Lo ricorda il poeta
romantico Heinrich Heine nel suo poemetto Atta Troll:
“E' la notte di San
Gianni
Luna piena l'aere
irraggia
L'ora è questa in cui
gli spirti
Fan la lor caccia
selvaggia”. (11)
Fate, folletti, morti che
ritornano a tormentare i vivi: tutti elementi che ritroviamo nella
festa di Halloween, tipica del mondo anglosassone ma da qualche
tempo di moda anche fra i nostri giovani. Considerata a torto
completamente estranea alla nostra tradizione e dunque spesso vissuta
con un certo fastidio, ad un esame più attento, che non si limiti
all'attuale degenerazione consumistica di ciò che resta di tutte le
feste tradizionali (Natale incluso), si scopre come la notte di
Halloween abbia molti aspetti in comune con la nostra festa di San
Giovanni, a partire proprio dall'accensione dei falò e
dall'irrompere nel mondo dei vivi di forze “altre”. Entrambe le
ricorrenze fanno parte della grande famiglia delle feste del fuoco e
sacralizzano l'alternarsi ciclico delle stagioni scandito dai
solstizi (in estate e in inverno) e dagli equinozi (in autunno e in
primavera). Entrambe celebrano con la danza, il riso, il canto e il
consumo collettivo e gioioso del cibo la vittoria della luce sulla
oscurità e della vita sulla morte.
Per noi, figli della
tecnica e di uno scientismo spesso altrettanto “superstizioso”
delle credenze di un tempo, si tratta di un mondo difficile da
cogliere appieno. L'avvento del mondo moderno con il suo razionalismo
che offre risposte a tutto, ha relegato ogni visione tradizionale
della vita nella riserva indiana del folklore o per i più colti
della letteratura e dell'arte. Una perdita emotiva enorme per
l'umanità, almeno secondo il pensiero di Jung, con Sigmund Freud,
uno dei padri della psicoanalisi:
“Quanto più si è
sviluppata la coscienza scientifica – annota Jung in uno dei suoi
ultimi scritti – tanto più il mondo si è disumanizzato. L'uomo si
sente isolato nel cosmo, perché non è più inserito nella natura e
ha perduto la sua «identità inconscia» emotiva con i
fenomeni naturali (…) Nessuna voce giunge più all'uomo da pietre,
piante o animali, né l'uomo si rivolge ad essi sicuro di venire
ascoltato. Il suo contatto con la natura è perduto, e con esso è
venuta meno quella profonda energia emotiva che questo contatto
simbolico sprigionava. Questa perdita enorme è compensata solo dai
simboli dei sogni. Essi ci ripropongono la nostra natura originaria,
con i suoi istinti e il suo particolare pensiero.” (12)
Per fortuna non tutto di quel
mondo mitico è perduto. L'umanità continua a coltivare quella
visione primordiale nei sogni e nel linguaggio degli archetipi e del
mito. Perché sognare è proprio dell'uomo e nell'attività onirica
si cela quella fabbrica del mito che, come ci ricorda il grande
storico delle religioni Mircea Eliade, non cessa mai, anche in
un'epoca desacralizzata come la nostra, di produrre sempre nuove
suggestioni. Appunta Eliade:
“A livello
dell'esperienza individuale, il mito non è mai completamente
scomparso: è vivo nei sogni, nelle fantasie e nelle nostalgie
dell'uomo moderno (…). Sembra che un mito, al pari dei simboli che
ne nascono, non scompaia mai dall'attualità psichica: cambia
soltanto aspetto e traveste le sue funzioni. (…) Il mito non è più
dominante nei settori essenziali della vita, è stato «rimosso» sia
nelle zone oscure della psiche, sia in attività secondarie o anche
irresponsabili della società”. (13)
Una di queste zone grige
è la poesia. L'arte – scrive lo scrittore messicano Octavio
Paz- è la porta che da accesso all'altra faccia della realtà. Il
volo mistico dello sciamano è diventato nel nostro mondo senza più
anima l'agire libero dell'artista che spezza con la sua opera le
catene di un tempo lineare che uccide il sogno di un'infinità di
mondi paralleli e intercomunicanti. Sospeso tra sogno e realtà, il
regno della poesia è un mondo immateriale e dunque magico. Il
perché è ancora Octavio Paz a spiegarcelo:
“Entre lo que veo y digo,
entre lo que digo y callo,
entre lo que callo y sueño,
entre lo que digo y callo,
entre lo que callo y sueño,
entre lo que sueño y olvido,
la poesía”.
la poesía”.
[“Tra ciò che vedo e dico, tra ciò
che dico e taccio, tra ciò che taccio e sogno, tra ciò che sogno e
scordo, la poesia”.] (14)
Bretagna. Menhir di Saint Uzec (4000-2500 a.C.) con simboli cristiani medievali.
Festa agraria e pagana
Abituati da sempre a
considerare le nostre feste sotto il segno cristiano, ricostruirne le
radici pagane è operazione che richiede grande attenzione. Il sacro,
in tutte le sue forme, è un materiale che va maneggiato con cura.
Appoggiandoci sull'approccio psicanalitico di Jung e su quello
storico di Eliade pensiamo che nel corso del tempo mutino le
religioni, elemento storico e per ciò stesso transitorio, ma non le
immagini profonde del sacro che l'uomo custodisce dentro di sé, quegli archetipi che
reggono come pilastri l'inconscio collettivo della specie. Già i
primi evangelizzatori, che pure non furono teneri verso i
culti preesistenti, lo avevano capito.
Il Venerabile Beda annota
nelle sue cronache come Gregorio Magno consigliasse ai monaci, che si
accingevano a evangelizzare Anglia e Irlanda, di distruggere gli
idoli, ma preservare i fana. I luoghi, cioè, dove il sacro si
manifesta in tutta la sua potenza numinosa. Proprio lì, sui luoghi
degli antichi altari pagani, dovevano essere eretti i simboli della
nuova fede. Nel caso della festa di San Giovanni questa continuità
fra paganesimo e cristianesimo è stata evidenziata con grande
precisione da Vittorio Lanternari:
“Nel calendario romano
il dì 24 giugno, che segna la celebrazione di Fors Fortuna, è
indicato anche come «Solstitium», «Lampas», o addirittura
come «dies lampadarum». Se da un lato ciò pone inequivocabilmente
la giornata sotto il segno del culto solare («Lampas» era
designazione del «solstizio») d'altro canto rimanda ad un'usanza
che vedremo attestata fino a tempi recenti, consistente nel portare
fiaccole accese (lampades) per i campi nel dì di San Giovanni. Onde
è chiaro che il culto di San Giovanni formalmente ha assunto in sé
la religione romana del Sole coi suoi riti connessi. Che poi il culto
solare avesse, almeno in quest'occasione, un fondamentale contenuto
agrario risulta – oltre che dalla celebrazione di Fors Fortuna,
divinità originariamente solare e agraria – dal fatto che proprio
in questo giorno (dies lampadarum) religiosamente si inaugurava la
mietitura, e Cerere era perciò – a quanto pare – l'altra dea
dedicataria. Il rito col quale fiaccole accese erano portate
attraverso i campi ripeteva forse, come a Eleusi, il mito nel quale
Demetra (Cerere), dea della terra madre, andava, al lume di fiaccole,
alla ricerca della figlia Persefone – dea del grano – rapita e
tratta sotterra da Plutone: mito che adombra la scomparsa della
vegetazione dopo il raccolto”. (15)
Dunque ci troviamo in
presenza di un culto agrario, strettamente connesso alle fasi
dell'anno e all'alternarsi delle stagioni e dei cicli della natura.
Una tradizione che si perde nella notte dei tempi e che ripropone
sostanzialmente sempre gli stessi elementi simbolici. Un'ipotesi
già avanzata agli inizi del Novecento dall'inglese James Frazer,
autore di un'opera, Il Ramo d'oro, oggi in parte superata ma che ha
segnato una svolta negli studi etnologici. Scrive Frazer:
“Su un tale sostrato
poteva ben svilupparsi la festa di San Giovanni, la quale ha infatti
diffusione pressoché universale entro il mondo occidentale, e
particolarmente tra le plebi rustiche si presenta con un rituale
pagano complesso e tuttora vivace, attestante anche oggi con tutta
chiarezza le sue origini precristiane, che in certe località almeno
si possono far risalire fino ad epoca preistorica”. (16)
Duomo di Ferrara. Maestro dei Mesi, Giano (1225-1230 ca)
I due San Giovanni e
Giano bifronte
Festa complessa, la
definisce Lanternari ed in effetti l'insieme dei miti e dei riti
legati a San Giovanni presenta una molteplicità di significati. Una
festa carica di ambiguità a partire proprio dal fatto che i
solstizi sono due e che le figure che vi si riferiscono hanno di
conseguenza un duplice volto.
Man mano che luoghi,
riti, feste vengono cristianizzati San Giovanni viene ad assumere
nel Cristianesimo, il posto che occupavano nella ripartizione delle
feste della Roma Imperiale altre figure sacre, come il Dio Giano di
cui una faccia guardava il passato, l’altra l’avvenire. Di nuovo
troviamo il simbolismo delle porte cosmiche:
Giano, dio bifronte del
principio e della fine, è il guardiano delle porte e dei confini.
“Io solo custodisco il vasto
universo e il potere di volgerlo sui suoi cardini [e] con le miti ore
presiedo alle porte del cielo”. Così Ovidio nei Fasti presenta il
dio misterioso. (17)
Giano
è colui che conduce da uno stato all’altro dell'esistere, dal
regno dei morti attraverso la Ianua Inferi a quello degli dei
attraverso la Ianua Coeli. E' l'entità superiore che presiede alle
iniziazioni. Come due sono i solstizi, così due sono le facce
visibili di Giano e due i San Giovanni, quello invernale,
l’evangelista, e quello estivo, il Battista. In passato si
sottolineava spesso la somiglianza fonetica fra Ianus e Iohannes,
quasi a trovare nel nome il collegamento fra le due figure. Oggi gli
studiosi rifiutano questa tesi semplicistica. E' sul piano più
complesso del simbolico e non su quello meramente fonetico che la
funzione di Giano «chiave»
delle due porte viene ripresa ed esaltata nella figura dei due
Giovanni che annunziano e svelano il misterioso avvento del Cristo.
E' la posizione dei due Santi alla data dei solstizi a conferire loro
una doppia natura, spirituale e cosmologica ad un tempo.
Il
San Giovanni di René Guénon
Il cristianesimo fin dai
primi secoli farà propria questa tradizione, troppo radicata
nell'anima popolare per essere cancellata, cercando di attenuarne gli
elementi pagani. Giano lascerà il posto di custode delle porte
solstiziali ai due San Giovanni, ma in molti luoghi le antiche
credenze conviveranno con le nuove quasi fino ai giorni nostri. Nella
tradizione cristiana il solstizio d’inverno apre la fase
ascendente del ciclo annuale e coincide con la nascita di Cristo,
mentre quello estivo apre la fase discendente e coincide con la
nascita del Battista che del Salvatore è il precursore.
Un valido aiuto
nell'analisi del mito giovanneo ci viene da René Guénon, il
maggiore studioso del pensiero tradizionale, le cui opere hanno
segnato in profondità momenti non marginali della cultura del
Novecento. (18) Un autore molto conosciuto e apprezzato anche in
Italia soprattutto dopo la pubblicazione delle sue opere principali a
cura della prestigiosa casa editrice Adelphi. In una serie di scritti
degli anni Venti riuniti dopo la sua morte in volume egli tratta
approfonditamente della questione:
“Per quanto l'estate
sia in genere considerata una stagione gioiosa e l'inverno una
stagione triste, per il fatto stesso che la prima rappresenta in
certo modo il trionfo della luce e il secondo quello dell'oscurità,
i due solstizi corrispondenti hanno nondimeno, in realtà, un
carattere esattamente opposto; può sembrare un paradosso abbastanza
strano, ma è facile capire perché sia così purché si abbia una
qualche conoscenza dei dati tradizionali riguardo al cammino del
ciclo annuale. Infatti, ciò che ha raggiunto il suo massimo può
ormai solo decrescere, e ciò che è giunto al suo minimo può invece
solo cominciare a crescere ; per questo il solstizio d'estate segna
l'inizio della metà discendente dell'anno, mentre il solstizio
d'inverno, all'opposto, segna quello della sua metà ascendente; e
ciò spiega pure, dal punto di vista del significato cosmico,
l'espressione di San Giovanni Battista, la cui nascita coincide con
il solstizio d'estate: «Bisogna che egli cresca (Cristo nato al
solstizio d'inverno) e che io diminuisca». (19)
9. Alfredo Cattabiani,
Calendario, Milano, Oscar Mondadori, 2008, p. 229.
10. Omero, Odissea, Libro
XIII, vv. 111-112. Versione italiana di Maria Grazia Ciani, Milano,
Rizzoli, 2008, p. 437.
11. Heinrich Heine, Atta
Troll, citato in: Maria Savi-Lopez, Leggende delle Alpi, Torino,
Loescher, 1889, p. 40.
12. Carl Gustav Jung,
L'uomo e i suoi simboli, Milano, Longanesi, 980, p.77.
13. Mircea Eliade, Miti
sogni e misteri, Milano, Rusconi, 1976, pp. 19-20 e poi p. 30. Di
Eliade si può vedere sul tema anche Mito e realtà, Roma, Borla,
2007. In particolare il capitolo nono: Sopravvivenze e travestimenti
dei miti.
14. Octavio Paz, Arbol
adentro, Barcelona, Seix Barral, 1987, p. 11.
15. Vittorio Lanternari,
Cristianesimo e religioni etniche in Occidente, Un caso concreto
d'incontro: la festa di San Giovanni, in: Occidente e Terzo Mondo,
Bari, Dedalo, 1967, pp. 330-331.
16. Ibidem.
17. Ovidio, Fasti, Libro
I, Versi 119-120 e 125-126.
18. Primo di tutti il
movimento surrealista e in particolare l'opera di André Breton.
19. René Guénon,
Simboli della Scienza sacra, Milano, Adelphi, 1975, p. 216.
2. continua