Un libro ricostruisce
le storie di un gruppo di militanti anarchiche negli anni infuocati
della rivoluzione russa dalla presa del Palazzo d'Inverno fino
all'epilogo tragico di Kronstadt.
Giovanna Ferrara
Emma la rossa e le
altre, in quel gelido ottobre
È forse nella
definizione che Emma Goldman dà di Mollie Stiemer, «dello stesso
stampo dei giovani idealisti russi dei tempi dello zar, pronti a
sacrificare la vita quando avevano appena iniziata a viverla», che
ci è possibile trovare la spiegazione per quella forza biografica
che attraversa la storia di un gruppo di donne, quando al sogno del
1905 seguì effettivamente la rivoluzione del 1917 e poi l’inizio
di quel terrore culminato nella pazzia stalinista.
DI QUESTE DONNE Lorenzo
Pezzica per i tipi di Elèuthera ha ritratto la determinazione, il
senso di giustizia sociale e la lotta nel libro Le magnifiche
ribelli, 1917-1921 (pp. 195, euro 15), raccolta trasversale di
biografie nelle quali solo una tensione mistica per una idea di mondo
uguale riesce a spiegare come si sia potuto sopportare tanto senza
cedere ma, anzi, rilanciando la propria posizione in quell’emiciclo
romantico e struggente che si è sempre chiamato «la parte del
torto».
Sono donne che hanno creduto alla presa del palazzo
d’inverno abitandone l’evento con slancio totale, avendo avuto la
pazienza di tesserlo a partire proprio dalla manifestazione di marzo,
otto mesi prima. Operaie e contadine contro cui la polizia decise di
non caricare, costruendo cosi il gesto simbolo di quel miracolo che
ridisegna una nuova geometria: non più il potere costituito che
reprime il malcontento, bensì il malcontento che fa saltare il
potere costituito.
FU L’ANNO DECISIVO per
portare il treno piombato dritto nei cuori di chi costruiva, da esuli
o per le strade di Pietrogrado, l’ipotesi di una vita più degna.
La partecipazione a questo processo viene offerto da Pezzica nella
forma di una ricerca, in cui le donne raccontano la storia di altre
donne, ognuna compenetrata e attratta da quel mettere a soqquadro la
propria esistenza di affetti e certezze pur di mantenere seria la
postura nei confronti degli ideali che ne hanno ispirato la
militanza; dapprima incarnando la trama emozionale degli eventi del
1917 e diventando, poi, tra le più irremovibili voci contro la
deriva autoritaria.
Oltre a Goldman incontriamo Ida Mett, Moliie Steimer, Marrjia Spiridonova, Bockareva (combattente a capo del battaglione che mise concretamente in fuga il governo provvisorio Karenskij). Donne che viaggiano negli inverni e nei continenti (alcune dall’America alla Russia passando per la Finlandia e persino per il Giappone), che imparano la durezza delle carceri, gli scioperi della fame, che gridano la loro autonomia fino a quando nel 1921 la rivolta di Kronstdat ne travolge le esistenze che si perdono, dolorosamente, nella risacca con la quale si ritira dalla storia la «rivoluzione del popolo».
Ida Mett
GUARDARE DALL’ALTO di
un centenario l’architettura di queste vite si ha la sensazione di
una sorta di martirio. Si impongono domande che fanno paura: esistono
delle vite che servono come monito? Ci sono delle esistenze che hanno
il compito di raccontare cosa significhi l’irriducibilità di un
ideale?
Perché il partito, persino se ha conosciuto la travagliata storia dei confini, il faticoso dispiegarsi di una fratellanza che solo insieme riesce a rovesciare il tavolo degli eventi per sconfessare persino il nazionalismo celebrato con una guerra mondiale, trovando il coraggio di dire che i soldati russi al fronte erano sfruttati proprio come i loro simili sul fronte opposto, ebbene perché questo partito diventa repressione autoritaria del dissenso? Perché sono sempre feroci i dispositivi di neutralizzazione delle voci meno addomesticabili e perché queste voci sono spesso quelle di donne spesso collocate quando non bollate come inadeguate alla comprensione delle ragioni alte e razionali che legittimano la prepotenza del potere?
Queste donne hanno viaggiato, hanno conosciuto la poesia di Victor Serge, sono state bolsceviche e poi anarchiche, hanno fondato circoli e giornali, si sono ammalate e si sono aiutate, hanno subito processi in America (il caso Abrams) perché facevano campagne antimilitariste e in Russia perché facevano campagne sindacali, ci lasciano senza fiato e ci ricordano che «non importa come una rivoluzione vada a finire, l’importante è essere rivoluzionari».
Il manifesto – 3
gennaio 2018