Un post di qualche
giorno fa sulle tante possibili letture del mito di Edipo ha
suscitato un vivace dibattito fra gli amici di Vento largo. E in
effetti il mito, proprio per la sua stessa natura di evento
simbolico, si presta ad una pluralità di interpretazioni, come bene
argomenta l'articolo che riprendiamo oggi.
Franco Manzoni
Agamennone e
Clitennestra, Medea e Giasone. Il fascino allusivo di narrazioni
senza tempo
Mistero e memoria, simbolo e rito, fenomeno inconscio e identità culturale, sensibilità dello spirito e pensiero primordiale. Quante sembianze, sfumature e potenziali diverse interpretazioni possiede ogni grande mito greco!
Un racconto senza dimensione cronologica, eterno perché cerimonia sacra, evento che non è semplicemente ricordato, bensì ogni volta a cui si attinge risulta attuale, vale a dire presente e vivo in misura assoluta. È l’opposto della storia, che colloca ciascun avvenimento in un tempo preciso.
Mentre nella tensione
leggendaria tendono a mescolarsi la natura, l’uomo, gli eroi, le
potenze divine in un’azione collettiva, al contrario scienza e
filosofia eliminano le associazioni per contrasto, equivoci,
allusioni, in nome della razionalità e dell’esperienza tangibile.
Per comprendere il senso della narrazione simbolica i lettori del terzo millennio devono appropriarsi della civiltà ellenica e del significato del mito per i Greci antichi. Soltanto in tale modo è possibile accostarsi a quell’esperienza originaria, prodotto di un’evoluzione di spirito e pensiero, talmente profonda da riemergere nell’uomo occidentale d’oggi grazie alla cassaforte invisibile dell’inconscio.
La nascita dell’esperienza mitica va a coincidere con l’artista posseduto, in delirio, ispirato dalle divinità: il poeta esercita la propria mnemotecnica, ricorrendo fedelmente alla tradizione, conservata nei secoli, e trasmette oralmente ciò che è stato vissuto o raccontato da un precedente testimone. Spesso viene ricordato come cieco che percepisce l’invisibile, la realtà che sfugge allo sguardo umano. È il caso dei numerosi aedi, passati nella storia della letteratura sotto l’unico nome di Omero.
Ciò che narra il cantore rappresenta il ritorno alle origini, il ripristino delle condizioni iniziali di un’armonia cosmica perduta, la rammemorazione di avvenimenti arcaici, la loro ripetizione nel rito della parola. Il linguaggio coincide così col ricordo nello sforzo continuo di suturare le colpe commesse di generazione in generazione, le ingiustizie compiute inconsapevolmente, di cui si è macchiata l’umanità e non solo.
Nella Teogonia , il poema di Esiodo che racchiude una trattazione unitaria della genealogia degli dèi, si procede difatti a descrivere la creazione delle divinità nel passaggio del potere attraverso il parricidio e l’incesto, come accadeva nelle altre civiltà mediterranee coeve. Crono, mostro polimorfo per gli iniziati all’orfismo, creatore dell’uovo cosmico che aprendosi diede origine alla terra e al cielo, evira il padre Urano, Zeus mette in catene il padre Crono. Intanto le unioni si susseguono tra fratello e sorella.
In un tempo senza legge, quello della leggenda, tutto è lecito e a determinare ogni accadimento è la forza del destino, che esula pure dal volere delle potenti divinità antropomorfe. Tocca al poeta narrare gli aneddoti eziologici, che sono espressi per spiegare il senso etico e cosmico dell’oracolo e delle sue profezie.
Gli eroi, i semidei e
tutti gli esseri umani non sono altro che marionette mosse dal Fato.
Si pensi al re di Micene, comandante supremo dei Greci nella guerra
contro Troia: al suo ritorno Agamennone è atteso per essere ucciso
dalla moglie Clitennestra e dal suo amante Egisto. O l’astuto
Odìsseo, l’Ulisse dei latini, che in Omero vorrebbe subito tornare
agli affetti familiari ad Itaca, ma è costretto a compiere altri
dieci anni di affascinanti avventure per volere di Poseidone, dio del
mare che lo avversa. Solo con Dante diviene l’eroe desideroso di
conoscenza e verità, un viaggiatore che cerca l’ignoto, senza
alcun desiderio di fare ritorno alla propria isola.
Oppure Medea tradita da Giasone, che giunge ad uccidere i figli da lui avuti per vendicarsi, o Antigone messa a morte dalla politica per aver infranto le legge seguendo l’impulso della pietà e dell’affetto familiare, per non dire dell’innocente Edipo, figlio di Laio colpevole di pederastia, e per questo costretto dalla violenza del destino a uccidere il padre e a procreare figli dalla madre Giocasta: è il maledetto di una famiglia esecrabile, che deve essere interamente cancellata. Qui Freud e la psicanalisi irrompono a farne materia di analisi dell’inconscio, rendendo eterno e contemporaneo il mito.
Il Corriere della sera –
9 gennaio 2018