TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


lunedì 15 gennaio 2018

Le relazioni pericolose tra Dio e il Diavolo


Dalla Bibbia a Dante, da Goethe a Bulgakov il maligno è al centro di infinite narrazioni. Perché incarna e spiega il lato oscuro dell'esistente.

Alberto Manguel

Le relazioni pericolose tra Dio e il Diavolo

Se quella che chiamiamo coscienza sia nata da quella che chiamiamo immaginazione, o se sia esattamente il contrario, poco importa: sta di fatto che sin dagli albori della nostra civiltà abbiamo iniziato a raccontare storie per cercare di spiegare la nostra esistenza, e abbiamo immaginato un essere divino, una parola magica, un drago, una collisione di materia e antimateria come nostro "C'era una volta". Pascal la descriveva come la "spintarella" gentilmente fornita da un Creatore primordiale: da allora, le storie possono svilupparsi per conto loro.

Le storie che raccontiamo hanno la loro ombra: all'inizio corrisponde la fine, così come al giorno corrisponde la notte e alla veglia il sonno. Ogni trama ha almeno due interpretazioni e ogni personaggio ha almeno due facce. Sopra una delle porte di una piccola chiesa, nel nord del Québec, c'è la statua di una donna: vista di fronte ha un aspetto aggraziato, ma la parte di dietro è un ammasso di vermi e larve che strisciano attraverso viscere e costole esposte. Tutto quello che immaginiamo ha un punto debole.

Lo scandalo provocato dal giudaismo quando ridusse i tanti dei antichi a una singola divinità onnipresente e onnisciente dovette apparire troppo squilibrato a un'umanità assuefatta a un pitagorico universo binario. Ben presto un secondo personaggio venne introdotto sul palcoscenico delle sacre scritture. Anche lui era onnisciente e onnipresente, anche se in fin dei conti soggetto alla volontà divina, e tuttavia abbastanza scaltro da mettere alla prova perfino l'Onnipotente, come nei racconti ammonitori di Giobbe e Abramo. 

Era l'oscurità che faceva da contraltare alla luce di Dio, una forza distruttiva opposta alla Sua energia creativa, una verità alternativa alla Verità. Gli furono dati molti nomi, fra cui Satana, Lucifero, Mefistofele, Belzebù, Mastema (nei primi testi rabbinici), Iblis (nel Corano) o semplicemente il Diavolo (dal greco diàbolos, che significa "calunniatore").



Nel Libro dei Giubilei (che fa parte dei testi apocrifi) si dice che quando Geova, dopo il Diluvio, decise di espellere gli angeli ribelli e liberare il genere umano dalla tentazione, il Diavolo convinse Dio a lasciargli tenere sulla terra il dieci per cento di quello stormo di angeli caduti, per continuare a mettere alla prova la fede degli esseri umani. Per la sua abilità nel mentire, Gesù definì il Diavolo «padre della menzogna».

Non contento di questa divisione assoluta fra il Bene Supremo e il Male Supremo, il poeta sufi al-Ghazali immaginò un alibi per il Diavolo e scrisse che quando gli angeli, su ordine di Dio, si prostrarono davanti al neocreato Adamo, soltanto il Diavolo si rifiutò, dicendo che il comando di Dio era un modo per metterli alla prova, perché «il Cielo proibisce a tutti di adorare chiunque non sia l'Onnipotente». Al-Ghazali non dice come Dio ricompensò il suo fedele servitore, ma in altre religioni il Diavolo continua a essere il nemico implacabile del genere umano.

Sant'Agostino pensava che desse deliberatamente il cattivo esempio e argomentava che «quando l'uomo vive secondo l'uomo, non secondo Iddio, è simile al diavolo». Ancora prima, nel II secolo, Apelle disse che il Diavolo era un demiurgo che aveva ispirato i profeti dell'Antico Testamento. Dante saggiamente collocò il Diavolo proprio al centro della Terra, dove il più bello degli angeli era caduto dopo la ribellione, inducendo le terre dell'emisfero australe a ritrarsi inorridite e lasciando un mondo acquatico «senza gente». 

Lutero (come Sant'Antonio prima di lui) vedeva il Diavolo come un molesto tentatore e com'è noto gli lanciò contro un calamaio, lasciando una macchia sulla parete dello studio nel castello di Wartburg, che un secolo fa era ancora visibile. Milton immaginava il Diavolo come una specie di nastro di Möbius («Come fuggir l'inferno? Io son l'inferno»). Goethe, con una punta di compassione, suggeriva che forse il Diavolo tenta gli umani perché è infelice e solamen miseris socios habuisse doloris (in sostanza: l'infelicità ama la compagnia).



Senza dubbio il Diavolo è ancora tra noi. Ancora oggi, in Austria, Baviera, Croazia, Repubblica Ceca, Ungheria, Slovacchia, Slovenia e parti del Nord Italia, il Diavolo (noto in questa regione come il Krampus) accompagna Babbo Natale nei suoi giri, cercando di spingere i bambini cattivi in un sacco per fustigarli con fasci di rami di betulla. Il Diavolo-Krampus è una brutta creatura cornuta antecedente al cristianesimo, che si trascina dietro delle catene per mostrare che adesso è legata al volere della Chiesa. In altre occasioni il Diavolo assume l'aspetto di un barboncino, di un serpente, di un drago o perfino di un gentiluomo.

Dante (di nuovo lui) sosteneva che tutto nell'universo è frutto dell'amore di Dio, compreso il peccato. Seguendo questa idea, il Diavolo può essere visto come colui che corrompe o dirotta questa proiezione divina, spingendo gli uomini ad amare troppo (lussuria o avarizia) o troppo poco (superbia, invidia, accidia e ira) o a dirigere il proprio amore verso oggetti inappropriati (cupidigia e gola).

San Bonaventura scrisse che il nostro smarrimento di fronte a sofferenze inspiegabili mostra semplicemente la nostra mancanza di fede nella giustizia perfetta di Dio, e deriva dal fatto che non conosciamo interamente il suo disegno.


Chiamiamo in causa il Diavolo per cercare di spiegare i turpi eventi che ci affliggono quotidianamente, ora e sempre. Il Diavolo (diciamo) ci sussurra alle orecchie cose orribili e ispira le nostre peggiori azioni.

È il Diavolo (insistiamo noi) il responsabile delle malattie, delle guerre, delle carestie; dell'ascesa al potere di Caligola, di Stalin, di Hitler; della tortura, dell'omicidio e dell'abuso di minori. Il diavolo è la confusa giustificazione dei nostri incubi e azioni da incubo, ma sfortunatamente la tesi della sua responsabilità non convince fino in fondo. Se il lavoro del Diavolo può essere visto come il lato oscuro delle fatiche di Dio, l'infelicità onnipervasiva del mondo potrebbe essere interpretata come una sorta di penuria di energia divina, come l'inconcepibile prova di una spossatezza dell'Onnipotente. 

I cassidici raccontano questa storia: in uno sperduto oscuro villaggio della Polonia centrale, c'era una piccola sinagoga. Una notte, mentre faceva i suoi giri, il rabbino entrò e vide Dio seduto in un angolo buio. Si prostrò faccia a terra ed esclamò: «Signore Iddio, che cosa ci fai Tu qui?». Dio non gli rispose né con un tuono né con un turbine di vento, ma con una voce flebile: «Sono stanco, rabbino, sono stanco da morire».

(Traduzione di Fabio Galimberti)

La repubblica – 3 gennaio 2008