TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


lunedì 29 gennaio 2018

Mamma Olga e il “Diario dal Gulag” ritrovato



Negli anni Quaranta Riwkah Scharf, psicoanalista junghiana, scriveva a prefazione di un suo studio sulla figura di Satana nel Vecchio Testamento, di vivere in un tempo in cui “il male ha oscurato il mondo e ha potuto manifestarsi con una potenza impensata che evoca l'immagine apocalittica del diavolo scatenato dopo una prigione millenaria”. Sempre di più ci pare una descrizione adeguata del Novecento.

Rosalba Castelletti

Mamma Olga e il “Diario dal Gulag” ritrovato


Possedere carta e penna in un gulag sovietico poteva costare la morte. Tenere un diario era praticamente impossibile. Eppure è quello che fece una giovane donna di nome Olga. Per ben due anni, dal 1941 al 1942, riempì 115 pagine di disegni e rime. Un atto di coraggio. E una rara testimonianza.

La vita nei campi di lavoro ha ispirato rinomati memoir, come Arcipelago Gulag di Aleksandr Solgenitsin, tutte composte dopo il rilascio. Il diario di Olga è il solo scritto durante la prigionia a essere sopravvissuto. È rimasto sepolto per settant’anni finché nel 2009 una donna non lo ha consegnato a Zoja Eroshok, giornalista di Novaja Gazeta.

Dell’autrice sapeva solo il nome: Olga. Per rintracciarne la storia e il destino, Eroshok ha scavato per otto anni tra le pagine rilegate e negli archivi.

Il diario, oggi esposto presso il Museo moscovita sulla storia dei gulag, è scritto perlopiù sotto forma di fumetto.

Racconta le avversità di un omino stilizzato soprannominato “Diavoletto del Tempo”, alter ego dell’autrice. Ogni pagina ricorda un episodio: la perdita di un cappotto o il furto della cena. Olga si rivela una donna colta. I suoi giochi di parole sono arguti. Cita autori russi o detti latini. Lo stesso titolo del diario, Le opere e i giorni, ricalca un poema del greco Esiodo.

In una pagina riporta i nomi di sei impiegati di una stazione meteo. Una sola donna: Ranitskaja. «Che sia Olga?», si è chiesta Eroshok. Dopo aver interpellato invano gli archivi di 15 agenzie segrete di polizia in Russia, Ucraina e Kazakhstan, ha scritto un articolo. Solo allora è stata contattata da una nipote di Olga emigrata in Israele e dal capo degli archivi dell’Fsb che l’hanno aiutata a ricomporre i pezzi della storia.

Genitori ebrei, Olga Ranitskaja nacque a Kiev nel 1905. Sposò un funzionario del partito comunista ed ebbe un figlio, Sasha. Divorziò e si risposò. Fu arrestata nel 1937, nel pieno delle Grandi Purghe, e condannata a 5 anni in un gulag con l’accusa di spionaggio. Ne scontò 9 in una stazione meteo nel campo di lavoro di Karlag in Kazakhstan. Dopo l’esilio forzato, lavorò in una clinica e firmò un libro di poesie. Morì a Kiev nel 1988.

Aveva dedicato le sue memorie al figlio Sasha. Che però non le vide mai. Si suicidò a 16 anni: non sopportava gli scherni dei compagni di scuola sulla madre detenuta. Era il 1942, anno in cui il quaderno si conclude con alcune pagine vuote numerate, il modo di Olga di esprimere il lutto.

Il diario, sostiene Eroshok, è la sua vendetta contro Stalin. Le tolse il figlio, la libertà, ma le pagine vergate l’hanno salvata dall’oblio.

La repubblica – 13 gennaio 2018