Trasformare
in memoria il ricordo richiede attenzione, compassione e coraggio.
Attenzione a ciò che accade attorno a noi ogni giorno. Compassione
per poter riconoscere nell'Altro l'immagine più autentica di noi
stessi. Coraggio per non voler dimenticare, per insistere con
ostinazione a guardare in faccia l'orrore che ancora ci circonda.
Perchè , come scrive Primo Levi, "Auschwitz è
fuori di noi, ma è intorno a noi. La peste si è spenta, ma
l'infezione serpeggia" .
Primo Levi
L’arrivo ad
Auschwitz
Venne a un tratto lo
scioglimento. La portiera fu aperta con fragore, il buio echeggiò di
ordini stranieri, e di quei barbarici latrati dei tedeschi quando
comandano, che sembrano dar vento a una rabbia vecchia di secoli. Ci
apparve una vasta banchina illuminata da riflettori. Poco oltre, una
fila di autocarri. Poi tutto tacque di nuovo. Qualcuno tradusse:
bisognava scendere coi bagagli, e depositare questi lungo il treno.
In un momento la banchina fu brulicante di ombre: ma avevamo paura di
rompere quel silenzio, tutti si affaccendavano intorno ai bagagli, si
cercavano, si chiamavan l’un l’altro, ma timidamente, a mezza
voce.
Una decina di SS stavano
in disparte, l’aria indifferente, piantati a gambe larghe. A un
certo momento, penetrarono fra di noi, e, con voce sommessa, con visi
di pietra, presero a interrogarci rapidamente, uno per uno, in
cattivo italiano. Non interrogavano tutti, solo qualcuno. «Quanti
anni? Sano o malato?» e in base alla risposta ci indicavano due
diverse direzioni. Tutto era silenzioso come in un acquario, e come
in certe scene di sogni.
Ci saremmo attesi
qualcosa di piú apocalittico: sembravano semplici agenti d’ordine.
Era sconcertante e disarmante. Qualcuno osò chiedere dei bagagli:
risposero «bagagli dopo»; qualche altro non voleva lasciare la
moglie: dissero «dopo di nuovo insieme»; molte madri non volevano
separarsi dai figli: dissero «bene bene, stare con figlio». Sempre
con la pacata sicurezza di chi non fa che il suo ufficio di ogni
giorno; ma Renzo indugiò un istante di troppo a salutare Francesca,
che era la sua fidanzata, e allora con un solo colpo in pieno viso lo
stesero a terra: era il loro ufficio di ogni giorno.
In meno di dieci minuti
tutti noi uomini validi fummo radunati in un gruppo. Quello che
accadde degli altri, delle donne, dei bambini, dei vecchi, noi non
potemmo stabilire allora né dopo: la notte li inghiottí, puramente
e semplicemente. Oggi però sappiamo che in quella scelta rapida e
sommaria, di ognuno di noi era stato giudicato se potesse o no
lavorare utilmente per il Reich; sappiamo che nei campi
rispettivamente di BunaMonowitz e Birkenau, non entrarono, del nostro
convoglio, che novantasei uomini e ventinove donne, e che di tutti
gli altri, in numero di piú di cinquecento, non uno era vivo due
giorni piú tardi. Sappiamo anche, che non sempre questo pur tenue
principio di discriminazione in abili e inabili fu seguito, e che
successivamente fu adottato spesso il sistema piú semplice di aprire
entrambe le portiere dei vagoni, senza avvertimenti né istruzioni ai
nuovi arrivati.
Entravano in campo quelli
che il caso faceva scendere da un lato del convoglio; andavano in gas
gli altri. Cosí morí Emilia, che aveva tre anni; poiché ai
tedeschi appariva palese la necessità storica di mettere a morte i
bambini degli ebrei. Emilia, figlia dell’ingegner Aldo Levi di
Milano, che era una bambina curiosa, ambiziosa, allegra e
intelligente; alla quale, durante il viaggio nel vagone gremito, il
padre e la madre erano riusciti a fare il bagno in un mastello di
zinco, in acqua tiepida che il degenere macchinista tedesco aveva
acconsentito a spillare dalla locomotiva che ci trascinava tutti alla
morte.
Scomparvero cosí, in un
istante, a tradimento, le nostre donne, i nostri genitori, i nostri
figli. Quasi nessuno ebbe modo di salutarli. Li vedemmo un po’ di
tempo come una massa oscura all’altra estremità della banchina,
poi non vedemmo piú nulla
(Da: Primo Levi, Se
questo è un uomo, Torino, Einaudi)